Parchi, un’esperienza sprecata
PIOMBINO 15 marzo 2014 — Pare che tra i Sindaci sia diffusa l’idea di mandare in soffitta l’esperienza dei parchi realizzati e gestiti direttamente dai loro Comuni per approdare ad un nuovo “ente parco regionale”. A parte che dell’argomento non hanno mai discusso i Consigli Comunali, cui spetta la decisione, non c’è dubbio che siamo di fronte ad un bel passo indietro visto che la vera novità dell’esperienza della Val di Cornia, universalmente riconosciuta, è stata proprio quella di essere riuscita a realizzare parchi senza istituire enti con funzioni sovraordinate a quelle dei Comuni e con un piano del parco separato dai piani urbanistici comunali. Generalmente si ricorre agli enti parco quando i Comuni non sono in grado di tutelare da soli i loro beni. Qui, invece, i problemi sono stati affrontati e risolti dai Comuni già negli anni ‘80 con una pianificazione urbanistica coordinata che individuava autonomamente sia i beni da tutelare sia lo strumento operativo per la loro valorizzazione e gestione in un’ottica di impresa culturale, ossia la Parchi Val di Cornia Spa.
I risultati sono noti. Progressivamente il sistema dei parchi e dei musei, grazie al bilanciamento tra attività culturali e servizi, nel 2007 raggiunse il pareggio tra costi e ricavi di parte corrente riducendo così il contributo richiesto ai Comuni. Sono nate nuove imprese turistiche e il territorio nel suo insieme ha potuto beneficiare del valore aggiunto dei parchi.
Il sistema è cresciuto negli anni e sarebbe potuto crescere ancora inglobando altre gestioni, come quella della riserva naturale degli Orti Bottegone la cui affinità con le aree umide del parco naturale della Sterpaia sono evidenti.
Se ben gestito avrebbe potuto garantire la tutela, la valorizzazione e la gestione integrata di tutti i beni culturali e naturali del territorio, perseguendo l’obiettivo della sostenibilità economica. Sarebbero occorse capacità amministrative e manageriali ma, come dimostra la storia di questa esperienza, l’obiettivo dell’autofinanziamento non era affatto impossibile. Come non era affatto impossibile far crescere con i parchi nuova qualificata occupazione e nuove imprese nel campo dei servizi culturali e del turismo in generale. Le attenzioni e le speranze che i parchi della Val di Cornia hanno suscitato in ambito nazionale ed europeo risiedono tutte in questi pochi concetti.
Purtroppo per i parchi, come per tutto ciò che richiedeva coesione istituzionale e condivisione strategica, nell’ultimo decennio i Comuni hanno fatto prevalere logiche di corto respiro e ritorno a confuse visioni localistiche che male si conciliano con un progetto che aveva nell’integrazione territoriale e nella gestione unitaria di beni e servizi culturali il suo punto di forza.
Hanno iniziato sostenendo che andavano ridotte la ricerca e la valorizzazione dei beni, perché troppo costose e non sostenibili, quando i bilanci della società Parchi evidenziano senza ombra di dubbio che il miglioramento dei risultati economici e occupazionali sono cresciuti fin tanto che sono stati fatti investimenti per creare nuove offerte culturali e nuovi servizi di accoglienza. Con queste premesse hanno scientemente rinunciato ad investire nella ulteriore valorizzazione del patrimonio, rinunciando così ai fondi europei che in passato avevano contribuito in modo consistente a sostenere gli investimenti nei parchi.
Anziché estendere e qualificare il sistema le amministrazioni, con il presunto obiettivo di ridurre il costo pubblico dell’impresa, hanno lavorato confusamente alla ridefinizione della missione della società Parchi orientandola verso un non meglio precisato “marketing territoriale, come se le due cose fossero alternative. E’ invece evidente che il marketing territoriale non può prescindere dalla qualificazione dell’offerta del territorio e quindi anche dei parchi. Non è un caso che fino ad oggi queste idee non abbiano prodotto nessun significativo miglioramento della promozione in Val di Cornia.
Com’era prevedibile, lo smarrimento della visione strategica del progetto e della sua solida collocazione all’interno dei processi di riconversione e innovazione economica ha lasciato campo libero a politiche contingenti di piccolo cabotaggio, fino all’emergere di una conflittualità tra i Comuni che sta minando la sostenibilità di ciò che fino ad oggi è stato costruito.
Contravvenendo a convenzioni e contratti in vigore, a partire dal 2011 la Conferenza dei Sindaci (un organismo senza potere deliberante concepito per sopperire al vuoto lasciato dalla soppressione del Circondario), senza mai coinvolgere i Consigli Comunali ha accettato la richiesta del Comune di Piombino di sottrarre alla società Parchi i ricavi dei parcheggi dei parchi della Sterpaia e di Baratti. Si tratta di oltre un milione di euro che ha ridotto drasticamente la capacità di autofinanziamento del sistema, oggi di poco superiore al 50%. Per coprire quel buco i Comuni decisero d’istituire nel 2012 la tassa di soggiorno, contrapponendo inopinatamente parchi e operatori turistici. Decisero anche, senza averne i poteri, che i contribuiti dei Comuni non sarebbero più stati ripartiti sulla base dei residenti (come stabilito dalla convenzione in vigore per la gestione associata dei parchi), ma di altri criteri tra cui quello delle presenze turistiche. In realtà ai parchi sono andate meno risorse; prova ne è che oggi sono costretti a ridimensionare i propri servizi, contrariamente a quanto servirebbe per il sostegno e la destagionalizzazione del turismo.
Contemporaneamente il Comune di San Vincenzo, cambiando colore alle strisce stradali, decideva autonomamente di mettere a pagamento i parcheggi del parco di Rimigliano e di introitarne i ricavi. La gestione non è stata affidata alla Società Parchi, gestore del parco, ma ad altro soggetto.
Si è trattato di scelte improvvisate, in contrasto con la visione originaria che aveva portato a concepire il sistema dei parchi come bene unico dell’intera Val di Cornia, da gestire in forma unitaria per gli aspetti legati alla fruizione e alla sostenibilità economica.
Gli effetti del caos amministrativo sono emersi in modo nitido anche di recente, quando i Comuni sono stati chiamati a rinnovare il contratto di servizio scaduto a dicembre del 2013. Anziché predisporre ed approvare un unico atto, le amministrazioni si sono mosse in ordine sparso. Sarà inevitabile che riconducano ad unità il contratto, ma intanto continuano a dimostrare volontà molto diverse.
La Giunta di Piombino, continuando ad ignorare i contenuti della convenzione tra i Comuni tutt’ora in vigore, ha approvato un nuovo contratto di durata triennale che prevede la ripartizione dei contributi sulla base delle presenze turistiche e del numero dei parchi e dei musei di ciascun Comune.
La Giunta di San Vincenzo ha invece approvato il rinnovo per un solo anno del contratto scaduto, confermando il precedente criterio di ripartizione dei contributi in base ai residenti, stabilendo però che il suo contributo non supererà i 90.000 euro.
Campiglia (per ora l’unico Comune che ha portato l’argomento in Consiglio Comunale) ha approvato il rinnovo per un anno del contratto scaduto, prevedendo quindi che tutte le entrate dei parchi restino nei parchi, parcheggi compresi, e che la ripartizione di eventuali contributi tra i Comuni avvenga in base ai residenti. Sono principi chiari e condivisibili, ma molto diversi da quanto accaduto negli ultimi anni.
L’insieme di queste decisioni conferma confusione strategica, improvvisazione e mancato rispetto di atti sottoscritti dai Comuni. Gli effetti sono l’indebolimento del progetto dei parchi, l’immobilismo, le crescenti difficoltà di bilancio della società di gestione e la riduzione dei servizi culturali che si ripercuoterà negativamente sul turismo, nonostante l’imposizione della tassa di soggiorno.
Ora, dopo aver demolito i tratti innovativi del progetto, i Sindaci chiedono alla Regione d’istituire un “ente parco” con costi aggiuntivi, inevitabili appesantimenti burocratici e minore efficienza nel perseguimento degli obiettivi.
Non si tratta di fare il tifo per l’uno o l’altro modello. L’istituzione di enti parco talvolta è indispensabile se si vuole assicurare la tutela del patrimonio culturale. Generalmente accade quando le amministrazioni non sanno organizzarsi in forma associata e autonoma. Bisogna però ricordare che nelle esperienze degli enti parco i risultati non sempre sono stati corrispondenti alle attese.
In Val di Cornia abbiamo un osservatorio privilegiato perché qui possiamo misurare i risultati dei diversi modelli. Basta confrontare quelli della “Società Parchi” e quelli dell’“Ente Parco di Montioni”. Entrambi sono stati costituiti alla metà degli anni ’90. Basterà analizzare gli investimenti effettuati, il patrimonio effettivamente valorizzato, i bilanci, i visitatori , l’occupazione e l’indotto.
Non sarà difficile comprendere le differenze e capire perché, con la richiesta di istituire un altro ente parco, siamo di fronte all’ennesima regressione culturale e amministrativa della Val di Cornia.
Massimo ha delle buone ragioni. Non entro nel merito delle posizioni dei vari Comuni, è certo però che qualcosa oggi non funziona come dovrebbe.
Dopo l’iniziale dedizione per la Soc. Parchi Val di Cornia, dovuta forse all’impegno e all’intuizione di poche persone, oggi viene a mancare l’opera di mantenimento e manutenzione che è necessaria per continuare a credere in tale iniziativa che è stata anche un esempio di collaborazione con la Soprintedenza.
In considerazione che quasi tutto il patrimonio del Parco è costituito da beni naturali e archeologici all’aperto, o si mantiene in modo decoroso o l’opinione dei fruitori, locali o visitatori, andrà verso il negativo.
Io frequento la Costa Est e ritengo che occorre un minimo sforzo per regolamentare i percorsi sulla duna e retroduna, e per i percorsi accessibili al pubblico dentro la Sterpaia, sarebbe necessario eseguire un modesto taglio d’erba e frasche degli arbusti laterali, dove necessario. Già questi piccoli interventi uniti ad una pulizia delle aree a parcheggio, darebbe un’immagine migliore verso chi gestisce un bene pubblico.
Quel poco che rimane dei pini e tamerici sulla duna, a partire dalla vecchia Pontedoro, sono l’opera realizzata, se non erro, negli anni 50 ed oggi, ogni anno, ne spariscono una certa quantità a causa del vento e delle mareggiate.
In attesa di intervenire con opere più consistenti per le quali occorrono somme considerevoli, perché non fare un’opera di rimboschimento partendo da essenze di piccole dimensioni, tamerici, pini ed altre autoctone, poco costose?
Per gli interventi sopraindicati, manutenzioni e piantumazioni, perché non trovare il sistema di utilizzare l’opera di coloro che percepiscono il contributo di disoccupazione senza dare niente in cambio?