Società: c’era una volta il dialogo
Crisi: “fase della vita individuale o collettiva particolarmente difficile da superare e suscettibile di sviluppi più o meno gravi…”
Libertà: “condizione di chi non subisce controlli, costrizioni, coercizioni, impedimenti…”
Società: “unione tra esseri viventi che hanno interessi generali comuni….”
Tre parole la cui spiegazione, virgolettata, è propria del dizionario ”lo Zingarelli”. Parole semplici che dovrebbe essere patrimonio di tutti, soprattutto di chi nella società è chiamato a ruoli di responsabilità istituzionale e no.
L’impressione che si ha invece è un’altra è che forse qui più che altrove ad un aggravamento della crisi, che non è solo economica, stia venendo meno quella condizione di libertà che aveva creato, negli anni, un tessuto democratico e di relazioni forti e che la società, quella partecipata (volontariato, associazionismo), quella che ha condiviso ed operato secondo interessi generali e comuni, oggi, se già non lo è, stia venendo meno.
E’ un volontariato, un mondo associativo, che si è gradualmente fatto prendere la mano dal bisogno di rispondere in termini “economici” a necessità di altra natura, è una realtà che da tempo ha perso un interlocutore, un educatore e stimolatore importante, quello istituzionale, trovando in esso solo l’imprenditore, un soggetto che spesso fa dell’associazionismo, del volontariato un mero momento sostitutivo ai propri doveri istituzionali.
Occorre cambiare rotta, il futuro, l’oltre, la ricostruzione di quel tessuto partecipativo su cui si basa la società, cioè l’unione tra esseri viventi che hanno interessi generali comuni, si gioca sulla coesione sociale delle comunità locali, sulla loro capacità di accogliere e metabolizzare le culture, sulla capacità a generare dialogo verso tutti, donne, uomini, giovani immigrati….nuove povertà.
Occorrono atti di responsabilità condivisa, nuovi linguaggi meno aggressivi, linguaggi che avvicinano, occorre sperimentarsi con il “digiuno” della parola che ferisce, occorre essere persone non solo di dialogo, ma in dialogo, persone che sanno ridisegnare le nostre realtà territoriali, trovare prima ciò che unisce piuttosto quello che ci divide.
Ecco, il limite, a mio parere, la carenza di “libertà” nella nostra società, nel nostro territorio, l’arroganza e presunzione di chi ha pensato e pensa che si possa anche fare a meno di quel tessuto partecipativo autonomo, critico ma creativo, privo di individualismi ma artefice di una fertilità di pensiero ed operativa che ha fatto grande negli 70–80 il tessuto sociale, culturale ed economico di questo territorio.
Don Milani, in tempi non sospetti diceva: “Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne insieme è la politica, sortirne da soli è l’avarizia”
Il messaggio che deve arrivare alla gente oggi, ma soprattutto a quel mondo che chiede di essere partecipe, di tornare ad essere un protagonista, è RESISTERE.
Resistere alla falsa necessità di buttare via il vecchio, “novità nella continuità” ci sentiamo spesso ripetere, è quasi sempre un modo garbato per accantonare tutto ciò che si è fatto prima, sia esso positivo o negativo.
Ci sono scelte coraggiose da fare, ripartendo però dalla dignità della persona, nell’interezza dei suoi bisogni e della capacità di far esprimere al meglio le proprie risorse.
(Foto di Pino Bertelli)