Rebrab molla se avrà il doppio di quel che ha speso
PIOMBINO 30 novembre 2017 – Siamo al redde rationem con almeno tre problemini di non poco conto da risolvere. Il primo: come liberarsi di Issad Rebrab, della sua Cevital, di Aferpi e compagnia tanto glorificata nel recente passato. Il secondo: cosa fare per far ripartire la fabbrica e/o la produzione di acciaio a Piombino. Il terzo: come riuscire a risolvere il problema dell’occupazione fino alla ripresa con 2000 lavoratori dell’indotto senza più alcuna protezione e con altri duemila che – parola del governatore Rossi – “lavorano più no che sì” e — puntualizziamo noi — praticamente non lavorano mai e campano, fin che dura, con gli ammortizzatori sociali.
Come concludere la fase con Rebrab
L’algerino è un berbero che non ha mai smesso di combattere e, per natura, raramente si arrende seguendo una tradizione familiare che ha dato prova perfino di gesta coraggiose nel periodo della colonizzazione francese. Dopo quel che ha ricevuto dal suo arrivo, ai tempi del “merci monsieur Rebrab”, non sarà quindi facile metterlo all’angolo. Se mai ce ne fosse stato bisogno lo si è ben capito dall’intervento del ministro dello sviluppo economico Carlo Calenda all’assemblea nazionale della Cgil sulla siderurgia. “Abbiamo stretto Rebrab con un addendum. — ha detto Calenda — Io l’ho incontrato cento volte per dagli la possibilità di dimostrare la capacità di far fronte agli investimenti promessi ma non lo ha mai fatto. Alla fine, insieme e consapevolmente, siamo passati ad una fase legale che io spero si concluda nella ragionevolezza dell’investitore il quale ceda di fronte ad una cosa che non sa fare e che non ha i soldi per fare”. Ma anche qui ci sono problemi. “Quando Rebrab – ha sottolineato ancora il ministro – dice che lui è pronto a uscire a patto che qualcuno gli dia più del doppio di quello che ci ha messo, è chiaro che ci troviamo di fronte ad un tentativo di speculazione e su questo non abbiamo intenzione di cedere”.
È quindi evidente come la partita con Cevital sia ancora tutta aperta ed è improvvido ipotizzare soluzioni rapide. Tanto più che, nel frattempo, il capitolo “uscita di Rebrab” fa segnare strascichi inattesi. Riferendosi alle frasi pronunciate da Matteo Renzi nella tappa del suo trenino elettorale a Donoratico il Fatto quotidiano ha scritto: “Tre anni fa era entusiasta. Si era intestato la vittoria su Twitter e l’aveva collegata ad altri suoi successi. Era il 9 dicembre 2014 e Matteo Renzi da Palazzo Chigi esultava per la cessione delle acciaierie ex Lucchini all’imprenditore algerino Issad Rebrab. Adesso che il destino di duemila operai è in bilico e il ministero dello sviluppo economico è a un passo dal riprendersi l’impianto perché alle promesse sono seguiti pochi fatti e il siderurgico è sostanzialmente fermo, l’ex presidente del consiglio ha cambiato versione: “Rebrab? Furono Rossi e Landini a volerlo. Io penso che l’operazione con Jindal, che avevo conosciuto a Firenze, andasse fatta tre anni fa”.
Il ministro Calenda, nell’assemblea della Cgil, ha liquidato la diatriba in due battute senza alcun riferimento a Renzi: “Rebrab è stato francamente accolto da tutti: dal governo, dalla regione, dal sindacato perché aveva presentato un piano che in quel momento sembrava fantasmagorico”.
Il governatore Enrico Rossi, invece, non ha proprio digerito la frase “ferroviaria” di Renzi a Donoratico e ha affidato a Toscana notizie, agenzia della Regione, una nota in cui addirittura annuncia querele nei confronti dell’ex presidente del consiglio. “Il progetto industriale presentato dall’imprenditore Issad Rebrab — ha scritto Rossi — è stato scelto attraverso una regolare procedura di gara del ministero dello sviluppo economico, sulla quale non ho avuto alcuna influenza. Le affermazioni su Piombino, così come riportate dai giornali, meritano una sola risposta: la querela. Ne sono dispiaciuto ma su questa materia non si scherza e non sono ammessi equivoci”.
Assai debole, a ruota, la replica giunta dallo staff di Renzi: “Nessuno ha mai messo in dubbio il principio della gara. Quanto a ieri (episodio di Donoratico ndr) Matteo Renzi non ha dichiarato quelle frasi ai cronisti ma si tratta di ricostruzioni giornalistiche su frasi de relato”.
Che dire? Lavoro intenso per avvocati e magistrati in versione italo-africana e forse anche pontederese-fiorentina.
Come far ripartire la fabbrica
Non c’è da illudersi: il problema è davvero serio. Come è noto, al riguardo, le scuole di pensiero sono sostanzialmente due: continuare a considerare la siderurgia come l’asse trainante dell’economica della vallata oppure pensare alla stessa siderurgia come una componente importante ma assai contenuta e affatto esclusiva per creare, quindi, condizioni di sviluppo anche in altri settori. Partendo dalle bonifiche delle aree e dagli investimenti nelle infrastrutture essenziali.
Decisamente orientato per l’ipotesi del ritorno alla piena produzione dell’acciaio è Enrico Rossi che nell’assemblea della Cgil è intervenuto ribadendo la promessa di proprie dimissioni dalla presidenza della giunta regionale se l’obbiettivo non verrà colto. La convinzione di Rossi nasce dal fatto che una regione come la Toscana “non può fare a meno di produrre acciaio per la cui lavorazione a Piombino esistono competenze maturate in anni”, perché “è dimostrato che di turismo non si vive” e perché infine “si può produrre acciaio in modo sostenibile”.
Quali i soggetti protagonisti in questo recupero? Rossi non ha dubbi: “Se questo è un settore importante, anzi strategico, lo Stato non può limitarsi ad indire qualche gara, deve offrire proprie dirette garanzie per il futuro”. Come dire che la mano pubblica deve intervenire e partecipare direttamente. Un passo avanti, secondo Rossi, verso una vera politica industriale per il Paese. Secondo molti anche un ritorno alle Partecipazioni statali che non hanno offerto in passato occasioni di luminosi ricordi.
Non lontanissima dalle posizioni di Rossi è la Cgil che non disdegna l’arrivo di nuovi investitori privati ma pensa anche ad un fondamentale ruolo pubblico. Rosario Rappa, responsabile della siderurgia nella Fiom, ha auspicato che “il governo svolga un ruolo attivo, perché per noi è fondamentale che Piombino torni a produrre acciaio”. Maurizio Landini è andato anche oltre: “Non avremmo nulla in contrario se anche le regioni volessero entrare dentro le nuove società che venissero realizzate”.
Non è dato sapere quanto il governo sia favorevole ad avventurarsi su un cammino che nel passato ha condotto poco lontano. Tuttavia, se proprio fossimo costretti ad azzardare una previsione, non giocheremmo un centesimo su un diretto impegno dell’esecutivo che, tra l’altro, nel settore della siderurgia ha anche altri e consistenti fronti aperti. Calenda non ha neanche vagamente accennato al possibile coivolgimento governativo in qualunque assetto societario presente e anche futuro. Del resto l’esperienza recente ha raccontato più di disimpegni che non di impegni governativi. L’impressione è che si cerchi il coinvolgimento di Jindal e di gruppi tipo British steel. Realtà imprenditoriali che – va detto – guardano molto al sodo, ovvero ai bilanci e alla possibilità di realizzare utili. Non disdegnando, come è capitato loro in altri “salvataggi”, di tagliare ciò che è improduttivo senza eccessivo riguardo anche all’occupazione. Non ci sono notizie certe al riguardo ma si indica con molta prudenza l’ipotesi secondo cui l’arrivo di imprenditori del genere possa davvero garantire la piena ripresa della produzione di acciaio e l’impiego di tutto il vecchio organico ex Lucchini. Non va dimenticato, per esempio, che Jindal, prima della scelta dei progetti di Rebrab, aveva manifestato il proprio interesse solo per i laminatoi.
Il problema dell’occupazione
Il problema è molto rilevante per tanti aspetti, non ultimo quello della dignità dei dipendenti costretti a stare a casa e a vivere di sussidi. Peraltro in una infinita incertezza sul proprio futuro.
Duemila nell’indotto, ormai senza tutele, e duemila che si barcamenano tra un ammortizzatore e l’altro in Aferpi, Piombino Logistics e via parlando sono davvero troppi perché un comprensorio possa reggere. Al riguardo, oltre alla situazione nota, un solo fatto nuovo è stato possibile cogliere nell’assemblea della Cgil sulla siderurgia. Il governatore Rossi, che ha rivendicato la propria battaglia nel recupero di 30 milioni non spesi per la cassa integrazione, ha promesso, a partire dal prossimo gennaio, 500 euro “a chi ha perso tutto”. Queste sono state le sue parole accompagnate dal termine “elemosina” e dalla confessione che “di più non possiamo fare”.