Acqua, un progetto travolto dai fatti e mai adeguato
CAMPIGLIA MARITTIMA 31 marzo 2019 — Sull’acqua non c’è da parlare di mezze verità e mi sento di ribadire l’assoluto ritardo con cui si è intervenuti e si continua ad intervenire sull’argomento.
La storia dell’acquedotto “Cornia Industriale” lo dimostra senza lasciare margine al dubbio.
L’acquedotto per i bisogni delle Acciaierie
L’acquedotto, nato per convogliare i reflui alle acciaierie limitando in tal modo il prelievo dalla falda, è entrato in funzione nel 2012, appena due anni prima dello spegnimento dell’altoforno.
Da subito a fronte di 1,85 milioni di metri cubi annui di potenziale, il consumo dell’industria è sempre stato limitato. Perfino nel 2012, 2013 e 2014 le amministrazioni hanno assistito, senza reazione alcuna, allo spreco di enormi quantitativi d’acqua che, già allora, potevano e dovevano conoscere altro utilizzo visto che, con ogni evidenza, non servivano all’industria.
Nel dettaglio i volumi giunti alle acciaierie sono stati appena di 233 mila metri cubi nel 2012, 1.266 mila nel 2013 e 721 mila nel 2014.
Dunque già a quei tempi la politica, anziché assistere inerme allo spreco di milioni di metri cubi d’acqua, avrebbe dovuto provvedere alla riconversione strategica dell’opera. Non l’ha fatto, ma le responsabilità più gravi arriveranno dopo.
La mancata riconversione del progetto “Cornia industriale”
Nell’aprile del 2014 si chiude l’epoca del ciclo integrale a Piombino. Il fabbisogno idrico di Aferpi, la società algerina che ha rilevato le acciaierie, si riduce in modo drastico tanto da rendere pressoché inutile l’opera pubblica “Cornia industriale” e da rendere assolutamente urgente la sua riconversione. Segnali evidenti che sarebbe stato necessario pensare al classico “Piano B” non erano difficile da leggere neppure per i più distratti ma stiamo ai fatti. A fronte di 1,85 milioni di metri cubi potenziali, nel 2015 i metri cubi che non finiscono in mare sono appena 25 mila 710 e 51 mila 142 nel 2016.
I cambiamenti climatici e la crisi in agricoltura
Nel contempo gli effetti dei cambiamenti climatici hanno reso la necessità di irrigazione delle colture sempre più impellente e la politica avrebbe dovuto facilmente individuare come intervento di interesse pubblico la riconversione strutturale di un’opera pensata per un’epoca ormai alle spalle.
Si giunge così al 2017, l’anno della maggiore siccità della storia, quando si sconta l’inerzia degli anni precedenti e ci si fa trovare “scoperti” persino sull’emergenza che si concretizzava.
Ricordo infatti che la siccità del 2017, esattamente come quella che può concretizzarsi quest’anno, si era annunciata già dal mese di dicembre dell’anno precedente. Eppure ciò che si riuscì a fare fu un intervento di piena emergenza (non pianificato negli anni come sarebbe dovuto e potuto essere) dovendo persino chiedere la deroga per l’uso irriguo di quelle acque. Un ritardo che comportò danni pesantissimi alle colture.
I giorni nostri
Eccoci ai nostri giorni. Non mi interessa distribuire colpe tanto per contestare qualcuno, vorrei che tutti riflettessero sui dati. In cinque anni (2012/2017) a fronte di un potenziale di 9.25 milioni di metri cubi di acqua, le amministrazioni hanno assistito inermi al consumo effettivo di 2,3 milioni, nemmeno la Val di Cornia avesse le disponibilità idriche dell’Alaska.
Nel 2017, venne concesso l’uso delle acque in deroga alle normative vigenti poiché serviva un ulteriore trattamento per rendere utilizzabili a tutti gli effetti questa preziosa risorsa. Siamo nel 2019, al mio calendario sono passati altri due anni, è sconfortante che si torni ad agire con l’acqua alla gola (anzi senza una goccia d’acqua) per tentare di installare, speriamo entro maggio, i sistemi di depurazione necessari a superare in modo definitivo il problema. Questo stando, almeno, alle dichiarazioni del presidente del Consorzio di bonifica.
Intanto le piantine vanno messe a dimora e non si può pensare di basare una filiera produttiva sulla speranza della pioggia.
Riflessioni e considerazioni
Poche parole, più che per capire la gravità delle responsabilità di chi ha governato, per spiegare le “ricette” su cui alcuni polemizzano per il futuro.
L’intervento “Cornia industriale” aveva il pregio di offrire una risposta definitiva alla questione dell’approvvigionamento idrico dell’industria piombinese. Perché ciò è avvenuto? Perché al centro delle attenzioni amministrative dei governi locali c’è stata la fabbrica. L’errore grave sta nel fatto che i segnali della crisi del comparto siderurgico — in special modo del ciclo continuo che consuma molta più acqua — erano ben presenti quando si decise di spendere oltre nove milioni di euro (viene da piangere se si paragonano alle cifre che servono per i sistemi di depurazione dei reflui di cui si parla da due anni) per portare 1,85 milioni di metri cubi d’acqua all’acciaieria.
Oggi l’urgenza della riconversione produttiva di un’intera area geografica pone in capo alle Amministrazioni la responsabilità di pianificare con altrettanta concretezza — se non di più — la riconversione delle strutture essenziali per garantire stabilità al sistema agricolo.
Non si tratta — mi si perdonerà — della solita burocrazia italiana. Si tratta di una sottovalutazione del comparto agricolo e agroindustriale nella logica del rilancio economico di un’area. La vicenda del protocollo d’intesa per lo spostamento a Campo alla Croce dell’Italian Food è solo una riprova di questa sottovalutazione.
Le Amministrazioni hanno grandemente e reiteratamente sottovalutato il problema della crisi idrica strutturale della Val di Cornia, hanno ignorato le politiche di difesa passiva della risorsa (conservazione ambientale, preservazione dall’impermeabilizzazione dei suoli, corretta pianificazione degli usi della risorsa) e di difesa attiva (pianificazione degli interventi sugli acquedotti da pretendere da parte del gestore, politiche di risparmio negli usi civili, industriali e agricoli), i frutti di questa politica si raccolgono oggi.
La burocrazia intralcia sempre, ma qui manca una visione di ciò che è strategico per il futuro del territorio. La burocrazia non ha impedito di trasformare la discarica dei rifiuti solidi urbani di Ischia di Crociano in discarica per rifiuti speciali né di portarla a quota 32 metri il tutto in pochi mesi. Dall’aprile 2014 l’altoforno è spento ma non siamo ancora stati capaci di destinare in modo definitivo quella condotta idrica alle necessità dell’agricoltura. Che vorrà dire?
È importante maturare la consapevolezza della complessità delle interazioni tra attività umane, inefficienze e crisi idrica strutturale. Il campo pozzi è una conseguenza di ciò, se si vuol sperare in una soluzione bisogna agire sulle cause. In questo caso si parlava però di un singolo intervento (“Cornia industriale”) che,come ho dimostrato a chi sosteneva mezze verità, è già abbastanza complesso di suo e di cui conosciamo bene genesi e gestione in virtù del fatto che, negli anni passati, a fare opposizione su questi temi e a sforzarsi di proporre soluzioni alternative, io c’ero. Io.
* Nicola Bertini è candidato sindaco del “Gruppo 2019” a Campiglia Marittima
Il Movimento 5 Stelle di Piombino ha presentato a giugno 2017 e fatto approvare in consiglio comunale il 18 settembre dello stesso anno, una mozione in tal senso.
Purtroppo, come è successo spesso, dove era impossibile bocciare le proposte che venivano dall’opposizione, si sono limitati a farle sparire negli archivi.
Motivo in più che ci spinge a voler governare questo Comune.
https://drive.google.com/drive/u/1/folders/0B0A4eKM4Q2QZdzVOdklFUHlHZnM