Alla ricerca della materia oscura dell’ universo
PIOMBINO 15 gennaio 2014 — Filippo Sala, piombinese classe 1986, si appassiona alla fisica negli ultimi anni del liceo. Galeotta fu la presentazione del libro “Tutti gli universi possibili” alla biblioteca comunale di Piombino. Laurea triennale all’Università di Pisa, poi specialistica (oggi magistrale) in fisica teorica sia lì che alla Scuola Normale Superiore, dove conseguirà anche il dottorato di ricerca nel Novembre 2013. Nel frattempo tante esperienze all’estero: un semestre all’ Ecole Normale Superiéure di Parigi nel 2009, due mesi al CERN di Ginevra nel 2010, sei mesi a Berkeley, California, nel 2013.
Di cosa è fatto l’universo? Quali sono le leggi fondamentali che lo regolano, dalle galassie ai pianeti fino alle particelle elementari? Sono queste alcune delle domande alla base della sua ricerca. Ricerca che, lo scorso anno, si è concentrata molto sul “bosone di Higgs”, la particella scoperta al CERN di Ginevra nel 2012, e ai cui ideatori è stato assegnato il premio Nobel nel 2013. Il bosone di Higgs costituiva il tassello mancante del “Modello Standard”, teoria sviluppata negli anni ’70, coronamento della relatività speciale di Einstein e della meccanica quantistica, le due grandi rivoluzioni scientifiche dei primi decenni del Novecento. Il Modello Standard è il modo in cui l’uomo scrive in poche righe le regole che spiegano i fenomeni fisici fondamentali finora osservati. Con qualche eccezione: per esempio la materia che conosciamo costituisce meno del 20% del contenuto totale di materia dell’universo. Il restante 80% non sappiamo cosa sia! E lo chiamiamo “materia oscura”. Ci sono un sacco di osservazioni indipendenti che provano la sua esistenza: senza non si spiegherebbe come si muovono le stelle nelle galassie, né le galassie stesse nell’universo. E nemmeno il Big Bang, l’esplosione che all’universo dette origine 14 miliardi di anni fa. Cercare di saperne di più su questa materia oscura, per esempio su come osservarla in esperimenti sulla Terra, è uno dei motivi per cui Filippo adesso lavora come postdoc al CEA-Saclay, centro di ricerca della regione parigina.
Ovunque si sia mosso il piombinese ha trovato sempre un nutrito gruppo di Italiani ai vertici della ricerca in fisica, sia in Europa che negli Stati Uniti. Merito di alcune Università italiane per l’ottima formazione offerta e al tempo stesso colpa della situazione del nostro paese che in ricerca investe sempre meno. E ovunque si sia mosso ha visto tanti colleghi spostarsi verso altri lidi, come l’economia e la finanza. Spesso non si ha idea di questi possibili altri sbocchi in cui i fisici, per le loro capacità di probem soling, sono molto richiesti.
Ma a cosa serve la ricerca di base, come la fisica teorica? A soddisfare la curiosità sul mondo che ci circonda, senza nessuno scopo altro che la conoscenza. Quando uno scienziato è al lavoro, spessissimo non ha alcun fine pratico. Poi è vero che, nel momento in cui si fa questo ricerca, si possono scoprire altre cose dal grande impatto sulle nostre vite (il world wide web è stato inventato al CERN più di 20 anni fa!). Soprattutto, se si interrompesse la ricerca di base, mancherebbero le fondamenta su cui costruire lo sviluppo del futuro. Nel 1850 il ministro delle finanze britannico chiese a Michael Faraday, fisico inglese che faceva ricerca sull’elettromagnetismo, quale fosse il valore pratico dell’elettricità. Lo scienziato rispose: “Un giorno sir, forse potrete tassarla”. Venendo ai giorni nostri, se per esempio i fisici non si fossero messi a studiare gli acceleratori di particelle, adesso non avremmo un sacco di strumenti di diagnosi (e di cura!) in medicina. Magari qualcuno in futuro — magari un piombinese delle prossime generazioni — troverà applicazioni pratiche per il bosone di Higgs o per la materia oscura.