Anche in Toscana la sinistra appare disarmata
PIOMBINO 27 giugno 2018 — I risultati toscani hanno il sapore della fine di una storia. E forse è con questo dato che dovremmo fare i conti. La fine di un’esperienza lunga e ininterrotta di una sinistra di governo locale che negli anni si è rinnovata, forse troppo poco, ma è indubbio che anche grazie a quella capacità di innovazione è riuscita, perfino nei momenti peggiori per i progressisti a livello nazionale, a custodire quello straordinario deposito di valori, buon governo e consensi che avevamo ricevuto in eredità dai partiti e dal tessuto politico, culturale e sociale della sinistra storica. Per me il punto è anche e soprattutto questo: la manutenzione di quel patrimonio, che per altro a causa di alcune scelte sbagliate è stato talvolta frettolosamente dilapidato, non basta più. Anche in Toscana sono arrivati la globalizzazione, la rivoluzione tecnologica e i grandi stravolgimenti che hanno cambiato tutto: l’economia, il lavoro, la società. E anche in Toscana la sinistra appare disarmata. Dobbiamo trovare il coraggio di spingerci in mare aperto, una volta per tutte, in cerca di nuovi approdi e nuove esplorazioni abbandonando quei porti sicuri che sicuri non sono più. Per questo non mi convince la ricerca di facili scorciatoie e capri espiatori e non mi persuadono nemmeno certe difese autoassolutorie, ormai quasi patetiche, probabilmente dettate da esigenze di autoconservazione di una classe dirigente. Credo debbano essere innanzitutto ringraziati i candidati, i volontari, gli amministratori che in queste settimane si sono fatti in quattro portando sulle loro spalle il peso di una battaglia che, in tutta evidenza, non riguardava solo loro e i loro Comuni, ma ciascuno di noi, ogni donna e ogni uomo che ancora scelgono di stare a sinistra. Quelle persone hanno combattuto anche per noi. Ed è proprio per onorare i loro sforzi e per stare vicino a chi vive momenti di sconforto e amarezza laddove abbiamo perso, oltre che per evitare ulteriori sconfitte, che abbiamo il dovere di aprire una fase nuova. Io personalmente non sono in cerca di processi sommari o rese dei conti, sono in cerca di parole di verità. Non mi piacciono gli scambi di accuse di queste ore. Non servono. Serve però un’ assunzione di responsabilità e un’analisi spietata di quello che è successo. Non possiamo continuare a non vedere che esiste un’inedita “questione toscana” che non è meno seria e meno grave della più nota questione meridionale per la sinistra. Qui perdiamo di più e in maniera peggiore che altrove. E vince una destra che mai avremmo potuto immaginare alla guida di Comuni con la storia che hanno i Comuni toscani.
Quindi per me queste sconfitte hanno radici che affondano nella storia degli ultimi decenni e che dovrebbero finalmente essere indagate. Ma non possono essere taciuti gli errori, perfino grossolani, degli ultimi anni.
In Toscana ben prima di domenica scorsa la lista di Comuni perduti era fin troppo lunga. Così come già in occasione delle regionali del 2015 con la più alta astensione al voto della nostra storia, a livello nazionale seconda solo all’Emilia Romagna, i toscani avevano voluto mandarci un messaggio di disaffezione. Poi è arrivato il referendum costituzionale che sostanzialmente tagliava la Toscana in due, quella interna e centrale dove si affermava il Sì e quella costiera dove divampava il No al netto di pochissime eccezioni, come la Val di Cornia. E infine le politiche del 4 marzo che si sono fatte carico di smentire tutti quelli che per mesi e anni ci spiegavano che le sconfitte alle amministrative erano solo un fenomeno locale e che alle elezioni politiche e regionali la storia sarebbe stata un’altra. Penso che aver negato questa realtà, aver proseguito con questo processo di rimozione della sconfitta non abbia fatto altro che aprire la strada a nuovi insuccessi. Così come la sbornia del 41% che anche in Toscana ha prodotto l’illusione di poter essere autosufficienti affievolendo e in alcuni casi distruggendo la nostra capacità di costruire alleanze politiche e sociali, facendoci apparire molto spesso arroganti e presuntuosi e fatalmente divisi e isolati. Infine le divisioni, appunto. Io non credo che basti evocarle come una delle cause, se non se ne spiega la storia. Anche molte di quelle divisioni sono frutto della sbornia di cui sopra e di certe manie di onnipotenza. La convinzione di avere la vittoria in tasca ha fatto credere a troppi dirigenti di potersi permettere il lusso di dedicarsi più a colpire l’avversario interno che quello esterno, tutti gli sforzi sono stati indirizzati contro il potenziale competitor ancorché compagno di partito, quello che avrebbe potuto strappargli il pezzetto di torta, senza vedere che la torta se la stavano già mangiando altri. Questo accade anche perché spesso la classe dirigente che esprimiamo appare lontana e distratta, poco autonoma e vincolata da un legame di fedeltà anziché di lealtà. Da questo punto di vista l’immagine più emblematica e, se mi è permesso, più triste di questi ultimi giorni è quella che c’è stata offerta venerdì scorso, quando durante l’ultimo giorno di campagna elettorale, a poche ore dai ballottaggi più delicati della storia della Toscana, buona parte del gruppo dirigente regionale del Pd era riunito a Firenze per parlare di assetti futuri, elezioni regionali del 2020, prossimi congressi (questo abbiamo appreso dai giornali che sono stati accuratamente informati), mentre tutto intorno a loro bruciava, mentre di lì a poco avremmo perso tutto. Un’immagine surreale ma sintomatica, come l’orchestra sul ponte del Titanic che suona mentre la nave affonda.
Così non si può andare avanti.
Serve una forte discontinuità. Serve un congresso? Sì, presto e ad ogni livello, purché non sia semplicemente un congresso di partito ma davvero l’occasione per aprire un processo costituente della sinistra, anche della sinistra toscana. Mettiamoci in cammino, rottamiamo la spocchia e confrontiamoci con tutti, promuoviamo luoghi in cui esperienze e persone diverse possano dialogare. Inventiamo spazi ma anche strumenti nuovi. Non possiamo rassegnarci a un mondo in cui mentre aumentano le disuguaglianze e i bisogni, la sinistra scompare abdicando ai propri doveri, alla propria missione.
Liberiamoci da ogni forma di subalternità e dotiamoci di un nostro pensiero autonomo, contemporaneo e intriso dei nostri valori.
Ieri era il 26 giugno. 51 anni fa ci lasciava un grande toscano, Don Lorenzo Milani. Quante volte ci siamo chiesti in queste ore di smarrimento da dove ripartire? Se io dovessi scegliere un luogo, non avrei dubbi: io ripartirei da Barbiana.