Ballottaggi: le regioni rosse ormai non esistono più
PIOMBINO 27 giugno 2017 — Un giornale ieri titolava “Non ci sono più le regioni rosse”. Il grande serbatoio di voti una volta del Pci e poi sempre meno dei partiti che dal Pci sono spuntati con varie annacquature, è diventato poco più che una tanichetta spesso sfondata. Quando Bologna cedette per una volta la poltrona di sindaco al centrodestra sembrava che fosse caduto il mondo. Di elezione in elezione hanno ceduto altre roccaforti. Con l’ultimo turno di ballottaggio in molti Comuni, 22 dei quali capoluoghi di provincia, si è celebrato il de profundis dell’imbattibilità casalinga della sinistra. Semplicemente perché una casa vera e propria ormai per il Pd non esiste più. Le nuove generazioni, che non hanno conosciuto l’ideologia e la vecchia linea del partito, disdegnano qualsiasi direttiva e, se non disertano le urne (sempre più preoccupante il calo dei votanti), tracciano segni sulla scheda che non trovano motivazioni negli schemi e nelle categorie con cui oggi operano i partiti o quel che ai partiti vorrebbe assomigliare.
Chi avrebbe scommesso, solo qualche mese fa, sulla resurrezione del vecchio Cavaliere addirittura nelle elezioni locali che al centrodestra non hanno mai portato bene? Chi avrebbe immaginato un frano dei grillini la cui quota di consensi imperterritamente ha resistito per mesi ad ogni intemperie politica ed alla valutazione di ogni sondaggista?
E chi avrebbe pensato ad una retromarcia così vistosa del Matteo di Rignano sull’Arno a così poca distanza da quella affermazione nelle europee che il segretario del Pd non riesce a dimenticare?
E chi, colpito dalla innocente pacatezza del ministro antirenzi, Andrea Orlando, poteva ritenere che il riferimento di amministratori, quadri e quadretti del Pd delle nostre terre, avesse così poca forza da risultare sconfitto addirittura tra le mura domestiche, in quella Liguria spezzina dove il centrodestra ha sempre ricevuto più sberleffi che voti.
E vogliamo parlare di Pistoia, città senza tentennamenti, patria del vecchio Vannino Chiti, territorio per il quale un cronista di grido, visti i risultati, ha affermato: “Se il Pd perde qui è fritto”.
Una meraviglia a cui si è aggiunto rinnovato stupore quando le televisioni hanno comunicato il risultato di Sesto San Giovanni, ieri la Stalingrado d’Italia, oggi una delle tante anonime Caporetto.
E ci tocca dire, con partecipazione, come hanno fatto in tanti su Facebook, di Carrara, intrepida fortezza, dalla gente dura come il marmo, più ombrosa della vecchia quercia che per un po’ è stata il simbolo più amato da quelle parti e altrove. Toscani per orgoglio ma perfino goffi a parlare la lingua di Dante sostituita qui da un lessico tagliente che più tagliente diventa nei momenti del litigio. E quanti litigi ci sono stati a Carrara all’interno del Pd! Tanti da invocare un paciere che il Partito regionale ha trovato nell’ex sindaco piombinese Gianni Anselmi, uno che con gli avversari ha sempre cercato di parlare con il linguaggio del gufo più che con la tenera voce della colomba. Si dice che Anselmi si sia sforzato parecchio ma che l’impresa gli sia risultata quasi impossibile. Il candidato che il Pd ha messo in campo nella zona delle Apuane non solo ha perso ma ha rimediato proprio una batosta: 34,59 per cento a fronte del 65,41 del vincitore. E il nuovo sindaco carrarino non è uno qualsiasi ma addirittura una creatura che ha conquistato l’unica poltrona grillina nei ballottaggi dei capoluoghi di provincia.
Quindi a conti fatti: Livorno e Carrara a Grillo, Grosseto, Arezzo e Pistoia al centrodestra, Lucca alla riconta dei voti con il giornalista candidato sindaco del centrodestra ad un pelo di distanza dall’esponente del Pd che pare aver avuto la meglio. Restano Firenze, Prato, Siena e Massa. Impensabile quando ancora si viveva nella certezza di Regioni rosse inespugnabili.