Da Boone, North Carolina, davanti a un cappuccino

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Marco Meucci

BOONE 17 gen­naio 2017 — Sono le 13:10 del 1° Gen­naio 2017; mi tro­vo sedu­to ad un tavoli­no di mat­tonelle celesti davan­ti a un cap­puc­ci­no che ha l’odore ed il gus­to di un vero cap­puc­ci­no, cosa non comune da queste par­ti. L’odore di caf­fè mi por­ta alla mente ricor­di di quan­do ero pic­co­lo. Ho sem­pre ama­to annusare l’odore dei chic­chi di caf­fè tosta­ti che usci­va dal­la Tor­refazione Giu­liani nel­la stra­da davan­ti al negozio dei miei zii. Sì, il caf­fè è una di quelle cose che mi ricor­dano casa. Chi l’avrebbe mai det­to che un giorno mi sarei sen­ti­to a casa in un paesino di trentami­la ani­me sui mon­ti Appalachi e che, davan­ti ad un cap­puc­ci­no dall’odore di famiglia, mi sarei mes­so a riflet­tere sul­la stra­da che mi ha por­ta­to fin qui.
A capo­dan­no è tradizione fare la lista dei buoni proposi­ti per l’anno nuo­vo come se, in onore del cam­bio di cal­en­dario, doves­si­mo cam­biare anche la pro­pria vita. “Anno nuo­vo vita nuo­va”, quante volte l’ho sen­ti­to dire da pic­co­lo. A pen­sar­ci bene ho vis­su­to gli ulti­mi dod­i­ci anni del­la mia vita all’insegna del cam­bi­a­men­to. Il mio pri­mo sog­no nel cas­set­to è sta­to quel­lo di diventare un atle­ta pro­fes­sion­ista e di cor­rere con la maglia delle Fiamme Gialle. Investii Qauando ero un atletamolte delle mie energie in questo prog­et­to e pas­sai la mia ado­lescen­za sui campi di atlet­i­ca fino a diventare un per­son­ag­gio temu­to sui bloc­chi di parten­za. Durante gli anni dell’Università mi resi presto con­to che per rag­giun­gere il mio obi­et­ti­vo mi man­ca­va quel­la cosa chia­ma­ta “tal­en­to” ma, con­tro ogni aspet­ta­ti­va, ero diven­ta­to un stu­dente di tut­to rispet­to. Ques­ta fu per me una grande riv­e­lazione vis­to che a scuo­la non ero mai sta­to una cima. Durante il sec­on­do anno di Uni­ver­sità iniziai il tirocinio come assis­tente allena­tore sot­to la gui­da del mio pro­fes­sore di atlet­i­ca leg­gera. Il tirocinio diven­tò presto un lavoro ed il lavoro una pas­sione. Con la lau­rea tri­en­nale in una mano ed un con­trat­to da allena­tore nell’altra, mi trovai di fronte ad un biv­io. Già iscrit­to al cor­so di lau­rea spe­cial­is­ti­ca, ricevet­ti un’offerta di lavoro come istrut­tore di atlet­i­ca leg­gera all’Università e la pos­si­bil­ità di iscriver­mi ad un mas­ter inter­nazionale in Por­to­gal­lo che mi avrebbe dato gli stru­men­ti per iniziare un dot­tora­to di ricer­ca. Ques­ta pro­pos­ta mi era sta­ta offer­ta dal pro­fes­sore del cor­so di Sport Indi­vid­u­ali a segui­to di una seg­nalazione delle allena­tri­ci del grup­po sporti­vo uni­ver­si­tario del quale face­vo parte da qualche anno. A quel tem­po non sape­vo nem­meno cosa fos­se un dot­tora­to di ricer­ca, ma finì per accettare la pro­pos­ta per­ché il prog­et­to era vera­mente inter­es­sante. Per rias­sumere una lun­ga sto­ria in poche parole, in due anni finii il mas­ter ed iniziai il dot­tora­to di ricer­ca men­tre inseg­na­vo atlet­i­ca leg­gera all’Università e lavo­ra­vo come allena­tore sul cam­po. Con mia grande sor­pre­sa nel 2010 vin­si il con­cor­so per un dot­tora­to di ricer­ca inter­nazionale e, per la pri­ma vol­ta nel­la mia vita, veni­vo paga­to per stu­di­are e viag­gia­re. Dopo aver pas­sato dod­i­ci mesi negli Sta­ti Uni­ti e tre mesi in Por­to­gal­lo, mi resi con­to che ave­vo intrapre­so una stra­da che mi ave­va allon­tana­to dai campi di atlet­i­ca ma mi ave­va dato delle nuove prospet­tive di vita. Con­clusi il dot­tora­to di ricer­ca all’età di ven­tot­to anni e, cosciente del fat­to che non sarei mai rius­ci­to a diventare pro­fes­sore in Italia, iniziai a cer­care lavoro negli Sta­ti Uni­ti con la sper­an­za di vin­cere un con­cor­so all’Università dove ave­vo stu­di­a­to. I miei prog­et­ti non andarono in por­to e finii per rimanere dis­oc­cu­pa­to con due lau­ree ed un dot­tora­to di ricer­ca attac­cati alle pareti di casa. For­tu­nata­mente il buon lavoro spes­so ripa­ga e dopo due mesi ricevet­ti una pro­pos­ta di lavoro per fare ricer­ca in un’azienda ital­iana di fama inter­nazionale con la quale ave­vo col­lab­o­ra­to durante i miei anni di stu­dio. Quan­do si dice che non tut­ti i mali ven­gono per nuo­cere! In poco più di un anno ho cre­ato le basi per un prog­et­to di ricer­ca tutt’ora in svilup­po, acquisi­to com­pe­ten­ze tec­niche e viag­gia­to in Italia e all’estero per instal­lazioni di apparec­chia­ture e pro­mozione di prodot­ti. Non barat­terei quel peri­o­do del­la mia vita con nient’altro. Ero felice, mi sen­ti­vo parte dell’azienda ed ave­vo ormai fat­to piani per il futuro quan­do ricevet­ti Appalachian State Universityuna email dal mio pro­fes­sore amer­i­cano con un’offerta di lavoro all’Università. La vita a volte è pro­prio strana: ti prende alla sprovvista e vuole vedere se sei pron­to a rimet­ter­ti in gio­co. La mia vita è cam­bi­a­ta rad­i­cal­mente nell’agosto 2014 quan­do mi sono trasfer­i­to a Boone, North Car­oli­na, per inseguire il mio sog­no di diventare pro­fes­sore uni­ver­si­tario.
Che cosa è cam­bi­a­to in questi anni? È inter­es­sante pen­sare a quan­to sono cam­bi­a­to in questi anni, pen­sare a come i miei sog­ni, i miei desideri e le mie scelte mi han­no fat­to cam­biare ma anche a come, nonos­tante tut­to, mi piac­cia seder­mi al tavoli­no di un bar per odor­are e gustare un cap­puc­ci­no ascoltan­do parole a me famil­iari come “moca!”, “làte!”, “càpu­ci­no!”, ammirevoli ten­ta­tivi del cameriere di annun­cia­re l’arrivo di un prodot­to ital­iano ormai parte del­la vita degli amer­i­cani e mai usci­to dal­la mia.
In questi ulti­mi anni mi sono più volte chiesto chi sia Mar­co Meuc­ci. “Mar­co l’atleta”, come mi iden­ti­fi­ca­vano la mag­gior parte degli ami­ci di famiglia che seguiv­ano i miei risul­tati sportivi pub­bli­cati sul gior­nale locale? “Mar­co il toscanac­cio”, come mi ave­vano nom­i­na­to gli ami­ci romani all’Università? “Mar­co the crazy Ital­ian”, come amano chia­mar­mi i col­leghi amer­i­cani? “Dr. Miu­ci”, come mi chia­mano i miei stu­den­ti che, nonos­tante s’impegnino, non riescono a pro­nun­cia­re cor­ret­ta­mente il mio nome? Qualche giorno fa ho real­iz­za­to che Mar­co non è altro che una per­sona con dei sog­ni, degli obi­et­tivi ed un piano più o meno chiaro su come rag­giunger­li. Mar­co è una per­sona che ama le sfide, inco­sciente al pun­to gius­to da met­ter­si con­tin­u­a­mente in dis­cus­sione e suf­fi­cien­te­mente deter­mi­na­to ed orgoglioso da portare in fon­do ogni lavoro al meglio delle pro­prie pos­si­bil­ità. Non ho mai dimen­ti­ca­to quan­to in quin­ta supe­ri­ore uno dei miei pro­fes­sori ci disse: “Per lau­rear­si all’Università non bisogna essere geni, bisogna avere tre qual­ità. 1. essere dotati di un’intelligenza media, 2. essere orga­niz­za­ti, nel­la vita e nel­lo stu­dio e 3. lavo­rare sodo”. Ho sem­pre sti­ma­to quel pro­fes­sore di tec­nolo­gia dell’Istituto Tec­ni­co Indus­tri­ale “Pacinot­ti” di Piom­bi­no che per me è sta­to, insieme ad altre maestre e pro­fes­sori che han­no sem­pre cre­du­to in me, un pun­to di rifer­i­men­to ed un’ispirazione.
Quest’anno ho avu­to il piacere di pas­sare il Natale con mio fratel­lo. Io e mio fratel­lo siamo legati da un cor­done ombe­l­i­cale che si allun­ga ma non si spez­za, da un legame così forte che sem­bra aver con­dizion­a­to perfi­no le nos­tre scelte di vita. Usci­to di casa all’età di dician­nove anni, mio fratel­lo ha com­ple­ta­to i suoi stu­di all’Università di Pisa e fini­to per trasferir­si nei Pae­si Bassi per lavoro. Io e mio fratel­lo siamo cresciu­ti in sim­biosi per diciot­to anni; abbi­amo fre­quen­ta­to la stes­sa scuo­la ele­mentare e media, avu­to gli stes­si ami­ci, fat­to gli stes­si sport. Durante queste vacanze è sta­to inter­es­sante vedere quan­to il tem­po abbia cam­bi­a­to anche mio fratel­lo e come il nos­tro rap­por­to, invece di inde­bolir­si, sia diven­ta­to anco­ra più forte di pri­ma. Cre­do che il nos­tro col­lante siano sta­ti i val­ori che ci sono sta­ti trasmes­si negli anni dai nos­tri gen­i­tori, due per­sone spe­ciali che han­no sem­pre cre­du­to in noi e che ci han­no sup­por­t­a­to nelle nos­tre scelte, anche in quelle che ci han­no allon­tana­to.
Sto rac­con­tan­do tut­to questo per­ché da solo non ce l’avrei mai fat­ta (sen­za la famiglia e gli ami­ci veri non avrei mai cre­du­to in me stes­so e sen­za il loro sup­por­to non avrei mai intrapre­so questo inter­es­san­tis­si­mo viag­gio), ma anche per­ché tutte queste per­sone han­no avu­to la forza di cam­biare quan­do si sono rese con­to che il mon­do intorno a loro sta­va cam­bian­do, sono cam­bi­ate man­te­nen­do però la pro­pria iden­tità ed i pro­pri val­ori. Ques­ta breve sto­ria è una sem­plice rif­les­sione sul­la vita, una vita che cam­bia, che si diverte a met­ter­ci alla pro­va scoz­zan­do con­tin­u­a­mente le carte e ser­ven­do­ci ogni vol­ta una nuo­va mano come per dire “bra­vo ce l’hai fat­ta, vedi­amo come ti giochi ques­ta”, una vita che non puoi affrontare con rigid­ità o in soli­tu­dine. Durante questi anni ho conosci­u­to tan­tis­sime per­sone, alcune di queste sono state la chi­ave dei cam­bi­a­men­ti del­la mia vita, altre sono state fon­da­men­tali affinché con­tin­u­as­si a credere nei miei sog­ni e rius­cis­si a rag­giun­gere i miei obi­et­tivi.
Vor­rei con­clud­ere ques­ta breve sto­ria con un “take home mes­sage”, come si è soli­ti fare in ambito acca­d­e­mi­co alla fine di ogni pre­sen­tazione. La vita mi ha inseg­na­to ad essere paziente, aspettare il momen­to gius­to e non fare scelte affret­tate. Siate onesti con voi stes­si e con gli altri, lavo­rate sodo ma con­cede­te­vi momen­ti di felic­ità da con­di­videre con le per­sone a voi care. Osser­vate quel­lo che vi suc­cede intorno ed abit­u­at­e­vi ad ascoltare in modo criti­co ciò che vi viene det­to. Un giorno un pro­fes­sore a scuo­la ci disse “Tenere gli occhi aper­ti e le mutande di ban­done”. Sono con­vin­to che avrebbe potu­to esprimere il con­cet­to in modo migliore, ma il mes­sag­gio arrivò forte e chiaro. La vita ci offre sem­pre nuove oppor­tu­nità, il pren­der­le spet­ta a noi.

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