Partecipazione: fuori dal palazzo

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Martina Pietrelli

Rin­no­vare o raf­forzare il pat­to demo­c­ra­ti­co di una comu­nità è una oper­azione com­p­lessa che pas­sa dal ruo­lo delle isti­tuzioni a quel­lo del­la soci­età orga­niz­za­ta, fino all’interesse del sin­go­lo cit­tadi­no per le vicende che accadono nel luo­go dove vive. Di ques­ta com­p­lessità fan­no parte a pieno tito­lo i per­cor­si parte­ci­pa­tivi che alcu­ni comu­ni anche in Val di Cor­nia han­no pro­mosso di recente in occa­sione di prog­et­ti di trasfor­mazione o dell’intero ter­ri­to­rio o di par­ti impor­tan­ti di esso. Ma le cose, a questo propos­i­to, potreb­bero andare meglio.

Il pri­mo pun­to criti­co, che chia­ma in causa soprat­tut­to gli ammin­is­tra­tori, è che i per­cor­si parte­ci­pa­tivi pro­mossi fino ad oggi sono sta­ti occa­sion­ali e fat­ti più per util­ità polit­i­ca che per la reale con­vinzione del loro val­ore demo­c­ra­ti­co; il sec­on­do pun­to criti­co è la stru­men­tal­ità che i comi­tati e le forze politiche di oppo­sizione han­no introdot­to in questo tipo di per­cor­si, dele­git­ti­man­doli oppure car­i­can­doli di pregiudizi e sec­on­di fini che niente ave­vano a che fare con l’oggetto effet­ti­vo del­la dis­cus­sione. Nonos­tante questo e forse direi pro­prio per questo, vale molto la pena di insis­tere sul­la dif­fu­sione e sta­bi­liz­zazione di queste che chi­amerei “tec­niche demo­c­ra­tiche”.

Per­ché vale la pena? Per­ché i per­cor­si parte­ci­pa­tivi han­no il duplice pre­gio di portare la dis­cus­sione fuori dal palaz­zo, aumen­tan­do il gra­do di conoscen­za dei prob­le­mi e di coin­vol­gi­men­to nelle deci­sioni dei cit­ta­di­ni, e, sec­on­do pre­gio, aiu­tano a com­pren­dere e super­are i con­flit­ti e le resisten­ze che si cre­ano quan­do in bal­lo ci sono pro­ces­si di trasfor­mazione di pezzi di cit­tà o del ter­ri­to­rio nel suo com­p­lesso. Al net­to delle stru­men­tal­iz­zazioni e dell’opportunismo politi­co, il proces­so demo­c­ra­ti­co che questo tipo di per­cor­si è in gra­do di atti­vare vale di sicuro lo sfor­zo eco­nom­i­co e cul­tur­ale che è nec­es­sario per far­li.

Barat­ti, Piaz­za Bovio, piaz­za dei Grani per Piom­bi­no, il Piano strut­turale per San Vin­cen­zo val­e­vano sicu­ra­mente per­cor­si come quel­li che sono sta­ti via via atti­vati e con­clusi con il coin­vol­gi­men­to, in modo diret­to e indi­ret­to, di qualche centi­naio di cit­ta­di­ni per vol­ta, numeri che in tem­pi di calo del­la parte­ci­pazione e dell’interesse per la vita pub­bli­ca sono più che lus­inghieri.

Cer­to bisogna miglio­rare, evi­tan­do di pro­fes­sion­al­iz­zare ecces­si­va­mente queste tec­niche, di atti­var­le non per arginare o stem­per­are le pres­sioni derivan­ti dai con­flit­ti generati dalle deci­sioni delle ammin­is­trazioni ma per­ché siamo real­mente con­vin­ti del­la loro util­ità demo­c­ra­t­i­ca, infine, di con­sid­er­ar­le sos­ti­tu­tive o alter­na­tive alla democrazia rap­p­re­sen­ta­ti­va, che res­ta indis­cutibil­mente l’espressione più alta di gov­er­no pen­sa­ta dagli uomi­ni dall’Atene del V° sec­o­lo in poi. Il pun­to caso­mai è un altro, quel­lo cioè di rius­cire a includ­ere sta­bil­mente i per­cor­si di parte­ci­pazione all’interno dei pro­ced­i­men­ti urban­is­ti­ci e di trasfor­mazione, facen­doli diventare un meto­do di lavoro e una parte fon­da­men­tale del per­cor­so che por­ta ogni ammin­is­trazione ad assumere legit­ti­ma­mente e autono­ma­mente delle deci­sioni. Se ci rius­cis­si­mo cre­do pro­prio che avrem­mo fat­to un pas­so avan­ti impor­tante ver­so l’innalzamento del gra­do di qual­ità del­la nos­tra democrazia.

 

 

 

 

5 risposte a “Partecipazione: fuori dal palazzo”

  1. Nicola Bertini says:

    Sti­ma­ta Pietrel­li, con­di­vi­do for­ma e mer­i­to di gran parte di ciò che ha scrit­to, mi piac­erebbe sapere qual è la stru­men­tal­iz­zazione oper­a­ta dai comi­tati. Sarei curioso anche di conoscere nel det­taglio cosa si intende per “sec­on­di fini”.
    Gra­zie

  2. Non siamo d’ac­cor­do sul­l’af­fer­mazione sul sec­on­do pun­to criti­co. E’ un’af­fer­mazione gener­i­ca, mas­si­mal­ista e peri­colosa. La dif­feren­za tra un grup­po che vuole lavo­rare per fare democrazia parte­ci­pa­ta e le isti­tuzioni e i par­ti­ti che gestis­cono attual­mente il potere in Val di Cor­nia sta nel non usare luoghi comu­ni, nel non usare slo­gan e nel dare infor­mazioni pre­cise. Ci ven­ga det­to chiara­mente i nomi dei comi­tati e delle forze politiche di oppo­sizione che han­no deligit­ti­ma­to i per­cor­si di parte­ci­pazione intro­ducen­do pregiudizi e sec­on­di fini.

  3. Rispon­do a entram­bi i com­men­ti con questo uni­co post per­ché mi sem­bra che la ques­tione pos­ta sia più o meno la stes­sa. Ho cer­ca­to di pro­porre un’analisi dei per­cor­si parte­ci­pa­tivi a tut­to ton­do, che ne evi­den­zia i pun­ti di forza e quel­li di debolez­za, per­ché cre­do nel loro val­ore e pen­so che per farne real­mente uno stru­men­to effi­cace di democrazia vadano miglio­rati sia nel­la loro prog­et­tazione che nel loro uti­liz­zo. L’aggressività con la quale la ques­tione viene pos­ta in par­ti­co­lare da uno dei miei due crit­i­ci, mi fa capire che forse ho toc­ca­to un ner­vo scop­er­to. Purtrop­po per me e per voi, non solo la mia val­u­tazione non ha niente di stig­ma­tiz­zante o per­son­ale, ma non è nem­meno una mia inven­zione, per­ché ampi stu­di e rif­les­sioni che ho avu­to modo di appro­fondire, in par­ti­co­lare gra­zie alla Regione Toscana che ha pro­pos­to nel tem­po delle lezioni sui vari per­cor­si parte­ci­pa­tivi effet­tuati nel nos­tro paese e a liv­el­lo europeo, affrontano in modo pre­ciso questo tema, las­cian­do­lo del tut­to aper­to e irrisolto, come un’aporia con la quale sare­mo sem­pre costret­ti nos­tro mal­gra­do a con­frontar­ci. Tra i pun­ti crit­i­ci e neg­a­tivi di questi per­cor­si quel­lo del­la stru­men­tal­iz­zazione a fini politi­ci da parte dei comi­tati o comunque di chi si oppone alle deci­sioni prese dal­la pub­bli­ca ammin­is­trazione è, infat­ti, uno dei nodi che minano l’efficacia e l’utilità reale di queste tec­niche. Così come l’introduzione mas­s­ic­cia nel­la dis­cus­sione di ele­men­ti di pre-giudizio, vale a dire di giudizi a pri­ori già ben for­mati, che, come dice la paro­la stes­sa, pre­ce­dono la dis­cus­sione e, pur essendone attra­ver­sa­ti, si ritrovano intat­ti alla fine come se nul­la fos­se accadu­to. Col­pa del per­cor­so male imposta­to o mal gesti­to o del­la refrat­ta­ri­età del sogget­to che parte­ci­pa alla val­u­tazione degli ele­men­ti aggiun­tivi che il per­cor­so dovrebbe portare alla sua atten­zione? Entrambe le cose forse, in ogni caso il prob­le­ma è serio, almeno per me, e in questo sen­so l’ho pos­to, con la sper­an­za che arrivassero con­tribu­ti tesi a con­sid­er­are il prob­le­ma che pon­go come fonda­to o al con­trario lo dichiari­no pri­vo di fon­da­men­to, spie­gan­do nat­u­ral­mente il per­ché.

  4. Giorgio Pasquinucci says:

    Bisogna cer­to riconoscere che i per­cor­si parte­ci­pati in alcu­ni casi han­no dato frut­ti pos­i­tivi come, a mio giudizio sul caso di Barat­ti. Piaz­za Bovio meriterebbe un dis­cor­so a parte, vis­to che in ques­ta piaz­za ven­gono per­me­sse attual­mente cose del tut­to con­trarie alla let­tura che ne han­no dati i cit­ta­di­ni.
    Tut­tavia, sen­za nul­la togliere alla pro­fes­sion­al­ità di chi ha accom­pa­g­na­to queste espe­rien­ze, cre­do che deb­ba essere riconosci­u­to che i per­cor­si parte­ci­pati di questo tipo si ren­dono nec­es­sari quan­do si è di fronte a poca capac­ità di ascolto quo­tid­i­ano del­la gente e ci si trin­cera nei Palazzi e negli stu­di di architet­tura. Se la polit­i­ca perde, come ha per­so, la capac­ità di ascoltare ha sostanzial­mente tra­di­to il suo com­pi­to fon­da­men­tale.
    I per­cor­si parte­ci­pati sono un sur­roga­to di quan­to dovrebbe fare la polit­i­ca. Inoltre, a mio parere, i per­cor­si parte­ci­pati non van­no osan­nati più di tan­to, poiché comunque sono des­ti­nati a coin­vol­gere solo una pic­co­la parte del­la gente, guar­da caso la più atti­va, quel­la che si ritro­va poi nei par­ti­ti e nei comi­tati. Se a questo non cre­dete pren­dete l’e­len­co dei parte­ci­pan­ti ai tavoli.
    Il vero prob­le­ma è quel­lo di tornare alla capac­ità di ascolto del­la polit­i­ca ed alla costruzione di grup­pi diri­gen­ti in gra­do di fare la sin­te­si (non la som­ma alge­bri­ca) di quel­lo che si muove nel­la soci­età. Cer­to non sca­den­do nel pop­ulis­mo, ma con la ten­sione di chi è con­sapev­ole comunque di avere un ruo­lo gui­da che gli deve con­sen­tire sem­pre uno sguar­do lun­go.

  5. Luca Rossi says:

    Aven­do parte­ci­pa­to solo al per­cor­so su piaz­za dei grani mi piac­erebbe sapere se la sua sostanziale inutil­ità ‑vis­to che nul­la è sta­to conc­re­ta­mente fat­to- è dovu­ta all’in­ca­pac­ità del­l’am­min­is­trazione comu­nale di pre­sentare buoni prog­et­ti e poi por­tar­li avan­ti o alla pre­sen­za dei “soli­ti comi­tati” . Per me, buona la pri­ma. Trop­po como­do scari­care la col­pa dei fal­li­men­ti sulle oppo­sizioni o sui comi­tati che di fat­to han­no sur­roga­to la scom­parsa dei par­ti­ti come for­ma orga­niz­za­ta del­la “democrazia dal bas­so”.

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