Calenda parta dalle responsabilità e cambi registro
PIOMBINO 20 febbraio 2018 — A breve arriverà il ministro Calenda a Piombino; speriamo che porti notizie buone e concrete, non solo promesse utili fino al 5 marzo. D’altra parte siamo abituati a questi metodi, passando da un’elezione all’altra senza che arrivino soluzioni. Preoccupa sentirlo esprimere in merito alla vertenza Embraco, accusando la multinazionale di “mancanza di attenzione al valore delle persone e alla responsabilità sociale di impresa”. Forse crede che le aziende siano Bancomat al servizio della politica e che la delocalizzazione non sia anche responsabilità del governo. Nel caso lo stesso sembrerebbe per lui valere anche per la vertenza Aferpi, dove la colpa sarebbe solo “dell’imprenditore inadempiente”, non di chi ha certificato una gara assegnandola a chi prometteva di “assumere persino le mogli ed i figli dei dipendenti” (in tipica salsa Olivetti, per chi ama il gusto retrò degli anni 80) presentando un foglietto spacciato per piano industriale, ridicolo persino se confrontato a un bilancio che fa una famiglia per sopravvivere. Verrebbe da chiedersi cos’ha fatto il governo in questi anni, tra piacevoli conversazioni e giochi delle parti in cui si continuava a recitare la pantomima del “progetto credibile”. Il sospetto è quello di aver voluto mantenere l’egemonia politica del territorio sulle spalle dei contribuenti, dirottando ingenti risorse pubbliche per navigare a vista, con un progetto bocciato fin da subito dal sistema creditizio e dai tecnici del settore e con un imprenditore totalmente inesperto nel campo della siderurgia. Il tutto forse con lo scopo di guadagnare preziosi anni garantendo le poltrone a coloro che oggi vedono bene di defilarsi dal carro delle responsabilità, ma totalmente corresponsabili di una politica esclusivamente assistenzialistica. Già, perché a Piombino la parola lavoro è diventato solo un bonifico che fa riferimento ad un unico e solo datore di lavoro: l’INPS. La regia del prossimo film, di altissimo livello, mette sullo schermo uno dei più antichi giochi da tavola: il gioco dell’oca. Commissariamento, anni di solidarietà, vendita, cassa integrazione, ipotetico nuovo commissariamento, nuovi anni di cassa integrazione, nuove deroghe, decreti ad hoc, il tutto per allungare il brodo nell’immobilismo più totale. In questo contesto si alimentano le “gelosie sociali” da parte di un indotto spazzato via nel silenzio più assoluto, liberi professionisti, commercianti, artigiani e piccoli imprenditori costretti a subire la beffa del “lavoro nero con sussidio” a cui, obtorto collo, visti i bisogni concreti delle famiglie, si fa finta di non vedere. Già, perchè per chi è costretto a rendere più del 60% dei ricavi allo Stato diventa difficile accettare che si possa essere pagati senza andare a lavoro, anche se questo accade non certo per volontà e responsabilità dei lavoratori. Si chieda Calenda, visto che parla a nome del governo che in parte rappresenta, anche chi è il responsabile di questa bomba ecologica di quasi 1000 ettari di rifiuti interrati, di discariche nauseabonde a cielo aperto, di infiltrazioni ipoteticamente anche malavitose, di un territorio degradato con un appiattimento culturale e professionale di livello inquietante. Certamente ci dirà che Rebrab e Jindal nella trattativa di compravendita sono a buon punto, o che si persegue il nuovo commissariamento, o chissà che altro ancora. Tutto bene, tanto fra pochi giorni si vota ed il passato scompare tutto d’un botto, dimenticando i fallimenti certificati e sottoscritti. È necessario un drastico cambio di rotta improntato al libero mercato, all’innovazione tecnologica, all’efficienza, ad aziende sane che producono profitto senza ingerenze statali, a professionisti debitamente formati che svolgono lavori in linea con i tempi che viviamo. Servono anche azioni impopolari. Serve equità sociale e nuove opportunità per i nostri figli. Serve la politica del coraggio e non delle false promesse, altrimenti non ne usciremo mai, ed i fallimenti di oggi diventeranno il dramma di domani.