Cave: poca occupazione, molti danni al territorio
PIOMBINO 31 agosto 2019 — Le conclusioni alle quali si arriva leggendo il Piano Regionale Cave adottato recentemente dalla Regione Toscana in merito al settore estrattivo in Val di Cornia non possono che essere univoche:
- il carattere strategico delle risorse del sottosuolo è costituito storicamente dai calcari destinati alla “filiera corta” delle industrie chimiche e siderurgiche della costa livornese, i cui fabbisogni non sono però stimati e i cui giacimenti non sono preservati da usi diversi da quelli strategici;
- dal punto di vista occupazionale rappresenta un settore ben poco significativo, con problemi di sostenibilità non certo di natura contingente;
- evidenti sono le interferenze con altre risorse del territorio, segnatamente beni culturali e paesaggio, e con un sistema economico locale che unanimemente, a parole, si vorrebbe orientato verso strategie di innovazione e diversificazione.
Già Stile libero Idee dalla Val di Cornia ha fornito nell’ articolo In silenzio la Val di Cornia è distretto regionale cave i dati sui quantitativi di materiali che il Piano Regionale Cave prevede di estrarre dalle colline della Val di Cornia nei prossimi 20 anni. Sono 30.496.689 metri cubi ed equivalgono al volume di circa 100.000 appartamenti sufficienti per una media città di oltre 200.000 abitanti. I Comuni interessati sono tre: Campiglia Marittima, San Vincenzo e Suvereto. Dalle colline di Campiglia e San Vincenzo si potranno estrarre 28.861.503 metri cubi di calcari per l’industria e le costruzioni, mentre dalle colline di Suvereto si potranno estrarre 1.635.195 metri cubi di calcari ornamentali (marmi). La Val di Cornia sarà il primo bacino della Toscana per l’estrazione di materiali per l’industria (21.669.820 metri cubi pari al 59,88% del totale regionale) e sarà di poco secondo al bacino dei marmi di Carrara per quantitativi complessivi di materiali da estrarre nel prossimo ventennio.
Le cave rappresentano indubbiamente un’attività rilevante per la Val di Cornia con molteplici effetti sul territorio e sull’economia.
Dal punto di vista del territorio gli impatti riguardano gli assetti idrogeologici, il paesaggio, il consumo di suolo e la qualità dell’ambiente in generale. Già oggi le cave in esercizio in Val di Cornia occupano oltre 250 ettari di territori collinari, destinati a crescere con le nuove escavazioni previste dal Piano Regionale. L’incremento dei volumi e delle superfici di cava, in particolare sui versanti del Monte Calvi, sono in evidente conflitto con le economie connesse alla valorizzazione del patrimonio culturale e naturalistico, di cui il parco archeominerario di San Silvestro e il sito d’interesse comunitario per la biodiversità (SIC) di Monte Calvi rappresentano le emergenze più significative. Una circostanza ben evidenziata negli atti di pianificazione territoriale del Comune di Campiglia (tuttora vigenti anche se spesso contraddetti) che auspicano la progressiva riduzione degli impatti delle cave sulle colline.
Dal punto di vista produttivo le cave di San Carlo e di Monte Calvi hanno storicamente assicurato il calcare per le industrie della costa livornese. La cava di San Carlo ha rifornito e rifornisce lo stabilimento chimico della Solvay di Rosignano e quella di Monte Calvi ha rifornito le acciaierie di Piombino, di cui è stata a lungo un’appendice produttiva, anche sotto il profilo delle proprietà. Questo quadro è oggi notevolmente mutato. Con la cessazione del ciclo integrale è cessato il fabbisogno di calcare nelle acciaierie di Piombino e, in ogni caso, la cava di Monte Calvi non fa più parte degli asset produttivi di quello stabilimento. Dalle dichiarazioni rese dagli imprenditori del settore, quella cava fornisce oggi calcare soprattutto allo stabilimento chimico Solvay di Rosignano. Il Piano Regionale non contiene stime sui fabbisogni dell’industria chimica e siderurgica della costa livornese nei prossimi 20 anni, ma è realistico immaginare, anche nell’ipotesi più che remota di costruzione di nuovi forni elettrici nelle acciaierie di Piombino, un consumo di gran lunga inferiore agli oltre 21 milioni di mc. di calcari assegnati alle cave di San Carlo e Monte Calvi per usi industriali. Non vi è dubbio che quei calcari sono stati e sono strategici per la “filiera corta” delle industrie della costa livornese, ma il Piano Regionale non garantisce la loro preservazione destinandoli genericamente al mercato dei calcari per l’industria.
Dal punto di vista occupazionale il Piano Regionale cave fornisce dati per il solo quadriennio 2013–2016. Mancano quelli antecedenti alla crisi del 2008 e quelli più recenti del 2017 e 2018. Non si capisce perché, visto che il dato sull’occupazione viene indicato tra quelli che le imprese estrattive devono fornire obbligatoriamente alle istituzioni. Non è una lacuna da poco. I dati (il settore 1 è costituito dai materiali per l’industria e le costruzioni, il settore 2 è costituito dai materiali ornamentali per abbellimento di edifici e spazi urbani) sono riportati nella tabella che segue.
Le medie del quadriennio 2013–2016 ci dicono che gli occupati sono stati 110 nelle due cave del Comune di Campiglia (Monte Valerio e Monte Calvi), 33 nel Comune di San Vincenzo (cava di San Carlo) e 18 nel Comune di Suvereto (cava di Monte Peloso). Da notare che nella cava per materiali ornamentali di Suvereto, la più piccola della zona (è di molto inferiore ai 10 ettari) lavorano più della metà degli addetti della cava di San Carlo, la più estesa della zona con circa 130 ettari di superficie occupata. Sempre dal Piano apprendiamo che nel quadriennio la media degli occupati in Val di Cornia è stata del 7,28% rispetto al totale della regione, mentre l’incidenza delle escavazioni sul totale dei volumi estratti in tutta la Toscana è stata del 18,87%. Sono dati che evidenziano un peso infinitesimale dell’occupazione nel settore estrattivo nel quadro d’insieme della Val di Cornia (il Censimento Industria e Servizi del 2011 documenta in Val di Cornia nel settore estrazione di minerali da cava e miniere 5 unità locali attive su un totale di 4.435 e 109 occupati su un totale di 17.205 ). C’è infine da considerare, come afferma lo stesso Piano Regionale, che tutto il settore è stato oggetto di una crisi strutturale. A conferma delle difficoltà a garantire l’occupazione ci sono i dati sull’utilizzo degli ammortizzatori sociali. Dai dati ufficiali del Ministero del Lavoro risulta che la società Cave di Campiglia (titolare della cava di Monte Calvi) ha utilizzato la cassa integrazione guadagni per contratti di solidarietà a partire dal 2013, così come la società Unicalce, collegata alla cava di Monte Calvi per la produzione di calce, ha utilizzato dal 2015 al gennaio 2018 la cassa integrazione straordinaria per crisi aziendale.
Sono numeri che non possono non portare alla conclusione dalla quale si è partiti:
- il carattere strategico delle risorse del sottosuolo è costituito storicamente dai calcari destinati alla “filiera corta” delle industrie chimiche e siderurgiche della costa livornese, i cui fabbisogni non sono però stimati e i cui giacimenti non sono preservati da usi diversi da quelli strategici;
- dal punto di vista occupazionale rappresenta un settore ben poco significativo, con problemi di sostenibilità non certo di natura contingente;
- evidenti sono le interferenze con altre risorse del territorio, segnatamente beni culturali e paesaggio, e con un sistema economico locale che unanimemente, a parole, si vorrebbe orientato verso strategie di innovazione e diversificazione.
La Regione ha preso le proprie decisioni e le ha sottoposte al vaglio delle osservazioni entro il 20 ottobre 2019.
Chiunque può esprimersi, Comuni compresi.
Documentazione
Il lettore interessato alla discussione svoltasi in Consiglio Regionale sulle modifiche alla legge regionale precedente in materia di cave e a quella sul Piano Regionale Cave può scaricare i seguenti due documenti: