Cave, scelte errate e nessuna programmazione
CAMPIGLIA 15 febbraio 2014 — Il piano delle attività estrattive adottato il 10 gennaio 2014 dalla Provincia di Livorno riguarda quasi esclusivamente la Val di Cornia. Qui si concentra oltre l’80% di tutte le escavazioni della Provincia.
A Campiglia e San Vincenzo si estrae il 94% del calcare che a sua volta rappresenta l’86% delle escavazioni totali. Tra il 2000 e il 2010 sono stati estratti 6,4 milioni di metri cubi nelle cave di Monte Calvi e Monte Valerio e 6,5 milioni nella cava di San Carlo. Quantità enormi destinate ad un mercato che travalica i confini della provincia e della stessa Regione. Non a caso il piano definisce la Val di Cornia come “distretto Toscano delle attività estrattive”, secondo solo al distretto dei marmi delle Apuane. A Suvereto c’è la cava di marmi e di pietrischi più grande della Provincia.
A Piombino ci sono milioni di metri cubi di scorie industriali siderurgiche che, se recuperate, possono sostituire gli inerti vergini di cava in molte opere infrastrutturali. Un problema ambientale enorme da affrontare per consentire il recupero di terreni industriali altrimenti inutilizzabili e per ridurre le escavazioni dalle colline. A Piombino c’è anche l’impianto TAP (di cui tutti i Comuni sono oggi azionisti) realizzato esattamente per questo fine con soldi pubblici. Di questo il piano non solo non parla, ma addirittura auspica che il calo della domanda di inerti che si è registrata nelle cave campigliesi negli ultimi anni possa essere compensata dalla realizzazione di grande infrastrutture come l’autostrada tirrenica o le opere marittime previste nel porto di Piombino. Si tratta di scelte in netto contrasto con le leggi che obbligano ad impiegare materiali di recupero nelle opere pubbliche, con accordi di programma sottoscritti in passato tra Regione e Comuni, con i piani strutturali che i Comuni hanno approvato di recente e con gli stessi indirizzi della Regione che , non a caso, demandano alle Province il compito di redigere “piani delle attività estrattive, di recupero delle aree scavate e di riutilizzo dei residui recuperabili della provincia”.
Tutto questo sembra non interessare i nostri Comuni e la Provincia che, sulla base degli indirizzi regionali, avrebbe dovuto pianificare escavazioni e recuperi già nel decennio compreso tra il 2003 e il 2012. Cosa che non ha fatto lasciando agire le imprese sulla base delle proprie esclusive convenienze. E’ una responsabilità politica enorme. Solo ora, nel 2014, ha adottato un piano per il decennio il 2013–2022.
Il piano registra il calo della produzione (in particolare di calcare nell’ultimo biennio, di cui però non fornisce i dati), ma non ne ha trae nessuna concreta indicazione programmatica. Nel prossimo decennio prevede una riduzione del 23% dei materiali da scavare (da 15,4 a 11,8 milioni di metri cubi), ma consente lo sfruttamento delle cave esistenti allungandone i tempi di coltivazione senza rispettare le scadenze stabilite dalle autorizzazioni comunali. Non è previsto nessun riutilizzo di materiali recuperabili, nonostante l’esistenza di enormi quantità di rifiuti industriali e di impianti pubblici per trattarli. Solo auspici. Non si riflette sul fatto che la convenienza ad utilizzare inerti di cava anziché rifiuti recuperati discende anche dal fatto che i contributi richiesti alle imprese estrattive per lo sfruttamento dei giacimenti lapidei (che appartengono alla collettività) sono ridicoli e che la Regione si guarda bene dal rivederli. Non si prende neppure in esame l’ipotesi di concentrare le produzioni in alcune cave e di avviare in altre processi di riduzione/riconversione per favorire altre attività, nuova occupazione e il miglioramento delle condizioni ambientali dei territori. Si prevede addirittura che nel territorio provinciale ci possano essere quattro cave in più. Di fatto non si pianifica un bel nulla, se non il prolungamento fino al 2022 di tutto quello che è in atto.
A Campiglia si potranno ancora scavare 10,6 milioni e a San Vincenzo 9,7 milioni di mc. di calcare. Per le cave campigliesi si prevede il sostanziale mantenimento delle escavazioni antecedenti la crisi. Non si fa cenno alcuno al fatto che le convenzioni sottoscritte nel 2000 prevedono la cessazione delle escavazioni nel 2018 per Monte Calvi e nel 2020 per Monte Valerio. Si prosegue senza particolari disposizioni sulla destinazione dei materiali, sugli obblighi generalmente disattesi per i ripristini ambientali e sulle criticità che talune cave generano nel rapporto con altre attività o con beni comuni. Solo parole, ma nessuna seria prescrizione. Per la cava di Monte Calvi (una delle più grandi e con maggiori criticità) non si dice come garantire l’utilizzo del calcare per l’industria siderurgica piombinese, mentre per gli evidenti conflitti con il parco archeominerario di San Silvestro ci si limita a scrivere che esiste una “rinnovata necessità di definitiva compatibilizzazione con il sistema dei Parchi che in questi anni ha rappresentato una scelta di fondo assunta dagli enti pubblici della Val di Cornia”. Chi, come e quando lo deve stabilire? Non ci sono risposte. Per ora la cava nel 2006 ha costretto il parco a chiudere aree aperte al pubblico, mai più riaperte per il pericolo delle mine.
Per la cava di Monte Calvi vengono al pettine gli effetti delle scelte compiute dal Comune di Campiglia tra il 1997 e il 2002. E’ bene ricordare che nel 1997 l’amministrazione Banti modificò le convenzioni rendendo possibile la libera vendita del calcare estratto a Monte Calvi, (contrariamente alle decisioni di tutti gli anni precedenti che destinavano quel calcare alle sole esigenze dell’industria siderurgica piombinese) e che nel 2002 l’amministrazione Velo approvò una variante che consentiva di aumentare le escavazioni da 4,8 a 8,5 milioni di metri cubi. Senza quelle decisioni oggi avremmo una cava funzionale alle sole esigenze dell’industria piombinese, con impatti ambientali molto ridotti e una reale possibilità di farla coesistere con un parco che può ancora crescere e dare risposte concrete al turismo e all’occupazione della Val di Cornia.
Sono elementi di grandissima rilevanza che meriterebbero ben altra attenzione e ben altra capacità di affrontare le sfide del futuro. Quello che appare evidente, invece, è che non esiste una strategia politica della Provincia, che la Val di Cornia non esiste più da tempo e che i singoli Comuni sono in grado di esprimere una progettualità per i propri territori. A meno che il silenzio e il lasciar fare alle imprese estrattive sia la vera e unica scelta della Provincia e dei Comuni, la peggiore.