Cevital non doveva essere un unicum
PIOMBINO 22 settembre 2016 — Come Lista Civica Ascolta Piombino è evidente che auspichiamo il meglio per l’unico progetto in campo riguardante il reimpiego degli oltre duemila dipendenti ex Lucchini .
Questo non ci esime dal dire che siamo stanchi di vedere ancora oggi quel retaggio monoculturale che si alimenta con la creazione di nemici immaginari, come gufi o cassandre, come se un qualsiasi elemento critico contenesse la benché minima forza per fermare un progetto di questa portata. La questione è quasi banale: all’epoca della “Piombino non deve chiudere”, una resistenza titanica al proseguimento del ciclo a caldo bruciava 700 milioni, oggi si cercano investimenti per 500. Come ci pare altrettanto banale il fatto che il viceministro Bellanova ritenga insufficienti 90 milioni d’investimenti; l’impressione, a dire il vero, assume una parvenza di rimpallo delle responsabilità, tanto che qualcuno potrebbe chiedersi: ma prima di oggi, gli accordi quali erano? Il progetto complesso e pluriarticolato fra dismissioni, bonifiche e progettazioni è in evidente ritardo, tanto che il tema sta diventando il tempo. Non ci sono nemici che remano contro, ci sono solo timonieri che creano cortine fumogene; timonieri si fa per dire perché questo territorio lo sta decidendo Cevital: cosa va, dove e quando va. Tre quarti del nuovo porto opzionati per la logistica, un progetto che chiede nuove aree vergini come il Quagliodromo e rilascia, non si sa quando e come, parti di aree industriali adiacenti alla città, una 398 ancora in divenire che devia stranamente percorso. Ma Azzi ci rassicura in commissione sulla bontà del progetto e sulla volontà di Cevital, ma senza le garanzie che abbiamo richiesto, ma la dimensione, ci dice, è troppo ampia. Insomma facciamo decidere tutto all’imprenditore di turno, di cui apprezziamo l’impegno, ma con il quale avremmo preferito un approccio meno servente. Pur auspicando con forza che si arrivi alla fine, e bene, del progetto Cevital, continuiamo a pensare che non doveva essere il “Progetto” della città di Piombino, non dovevamo puntare ancora soltanto su un unicum; si poteva, si doveva fare molto altro.