Clandestina a 40 anni: l’odissea di una rumena
Ecaterina ha 52 anni e viene dalla Romania. La sua storia non è una bella storia e purtroppo è simile a quella di tanti immigrati nel nostro Paese. Episodi che si possono comprendere vivendoli, che mettono a dura prova la dignità personale, la propria forza di reazione, la resistenza a umiliazioni che purtroppo e spesso rappresentano la quotidianità. Che non sempre è possibile capire per chi ha gli stessi problemi.
Come è iniziata la tua avventura in Italia?
“Tutto è iniziato dopo la rivoluzione del ’89 quando, con la caduta del regime Ceaușescu, si determinò un periodo d’instabilità politica e una grave crisi economica. Sono laureata in ingegneria genetica e a quel tempo lavoravo all’ interno dell’università; fui una delle prime ad essere licenziata, avevo tre figli da mantenere e così mi misi subito a cercare un altro lavoro. Ottenni, per un periodo, un impiego come riscossore delle imposte per i rifiuti ma con la crisi e il malcontento svolgere le funzioni di esattore diventò un lavoro pericoloso; c’era il rischio di venire aggredita o addirittura derubata. Quindi fui costretta a smettere. Trovai una nuova occupazione al centro analisi del pronto soccorso e contemporaneamente lavoravo al nero come operaia in una fabbrica di calzini. Ma, nonostante questi due lavori non riuscivamo ad avere un tenore di vita degno: i soldi ci bastavano appena per arrivare alla seconda settimana”.
Perché proprio l’Italia?
“In quel periodo ci fu un grosso flusso migratorio dal nostro paese verso la Spagna e l’Italia; avevo degli amici in Toscana che mi convinsero a partire. Sapevo che venire in l’Italia avrebbe significato una vita clandestina ed infatti, prima scegliere, presi in considerazione altre ipotesi: Tel Aviv e Vienna. Non si lascia il proprio paese e i propri figli se non si è in una situazione estrema, volevo assicurare alle mie ragazze un futuro: la più grande frequentava l’università, l’altra stava facendo un corso professionale per parrucchiere. Se non avessi fatto questa scelta non avrei potuto più garantire loro un futuro. Così decisi di partire”.
Come sei arrivata in Italia?
“A Bucarest esistevano alcune agenzie turistiche che organizzavano viaggi andata/ritorno in Italia; dovevi dimostrare di avere almeno l’equivalente di 500 dollari, stipulare un’assicurazione sanitaria e richiedere un visto turistico di tre mesi. Chi organizzava questi viaggi, però, era ben consapevole che coloro che partivano non avrebbero fatto ritorno. In Romania lasciai i miei figli, mia madre diabetica, che pochi mesi dopo la mia partenza morì, gli amici, insomma tutta la mia vita. Non sapevo cosa mi aspettava in Italia, non conoscevo la lingua: l’unica sicurezza era la partenza senza sapere quando avrei rivisto i miei cari”.
Qual è stato l’impatto con l’Italia?
“L’impatto è stato duro. La prima cattiva notizia era che i miei titoli di studio qui erano carta straccia, non parlavo l’italiano, quindi ero uno dei tanti romeni immigrati in Italia. La cosa peggiore è stata quando, scaduto il visto, sono divenuta ufficialmente clandestina. Non è facile integrarsi in un paese quando vivi clandestinamente, ti senti un corpo estraneo nella società, non hai riconoscimenti, non hai un lavoro regolare e anche il rapporto con gli italiani diventa difficile; conoscevo un po’ l’inglese ma non mi è servito, quando cercavo di parlare con qualcuno ogni volta che aprivo bocca e capivano che non ero italiana l’espressione del viso del mio interlocutore cambiava. Non è razzismo è solo diffidenza ma questo accentuava il mio senso di alienazione”.
Che lavori hai svolto?
“Come dicevo i miei titoli di studio non servivano a niente, quindi ho iniziato a fare la badante e poi ho trovato lavoro in agricoltura dove sono rimasta fino ad oggi. Quasi tutto quello che guadagnavo lo spedivo in Romania ai miei ragazzi, cercavo di tirare la cinghia più possibile. Inizialmente me la cavavo, ma da quando è stato introdotto l’euro ho dovuto fare più fatica. Come tutti credo”.
E il rapporto con gli italiani?
“La mia non è un esperienza positiva, si contano sulle dita di una mano quelli che davvero mi hanno aiutato. A parte il mio attuale compagno e le persone vicine a lui, ho ricevuto tante porte in faccia.
Capisco che molti pensino che chi emigra rubi loro il lavoro o che addirittura venga per delinquere, ma bisogna mettersi anche nei nostri panni, Se lasci la famiglia, il tuo paese a 40 anni lo fai solo perché non hai altra scelta. Forse proprio l’età non mi ha aiutato, se si è giovani è più facile socializzare ed integrarsi.
L’esperienza più brutta che ho vissuto è stata quando sono andata a cercare lavoro per la raccolta nei campi, una mia amica italiana mi disse che c’era un agricoltore che cercava manodopera, io ci andai. Ma quando mi presentai da lui mi disse: <Io non assumo immigrati, li disprezzo>.
<Allora — gli chiesi — perché mi aveva fatto venire a parlare con lei dal momento che la mia amica le aveva detto che io ero straniera> . Lui mi rispose che queste parole me le voleva dire in faccia”.
Hai avuto anche esperienze positive?
“Sì, certo. Ho trovato un compagno italiano con cui mi sono sposata da poco, vivo una vita normale e tranquilla e tra poco avrò anche la cittadinanza. l’Italia, nonostante i problemi che ci sono, è ancora un paese civile. Sono stata di recente in Romania, per alcune pratiche burocratiche; le persone sono al limite della sopportazione non c’è il rispetto per gli altri, ti ringhiano contro”.
Rifaresti la scelta di 13 anni fa?
“Se penso al mio compagno, alla situazione attuale, sì, ma se mi guardo indietro per quello che ho passato, la rifarei solo se mi trovassi in condizioni peggiori di quelle in cui mi trovavo allora. Non augurerei neanche al mio peggior nemico la vita da emigrante, lontana dai tuoi figli, in clandestinità, non sapendo quando li potrai rivedere e sapendo anche che non potrai fare niente se essi dovessero avere problemi. Quando rientravo da lavoro mettevo le loro foto sul tavolino e parlavo con loro, spesso piangevo. C’è da diventare pazzi. Poi, per fortuna, pochi mesi prima che la Romania entrasse nella UE ho avuto il permesso di soggiorno e li ho potuti rivedere”.