Concordia, la sfida è anche italo-americana
ISOLA DEL GIGLIO 8 maggio 2014 — Se a metà aprile il responsabile per Costa Crociere della rimozione della Concordia, Franco Porcellacchia, considerava “un azzardo” pensare di rimuovere il relitto prima di settembre, oggi quell’azzardo è una certezza. L’incidente del cassone S13, con la necessità di riportarlo a Genova per rimetterlo in sesto dopo il crollo dal lato di dritta, crea ritardi che si aggiungono alle altre, non poche, difficoltà per rispettare il cronoprogramma con il trasloco previsto nel mese di giugno.
La facile previsione per lo slittamento ad autunno non può peraltro non accompagnarsi ad altre considerazioni che riguardano l’attuale fase dei lavori al Giglio in previsione della destinazione finale del relitto.
L’impressione è che sia in corso un momento di riflessione che appare come la principale causa per la quale l’armatore non si decide ad indicare il porto ultimo per la Concordia. Non sono poche le sollecitazioni che alla Costa stanno giungendo per guadagnare il relitto e con esso un business da 500 milioni di euro. Il governo italiano per iniziativa del ministro dell’ambiente Gianluca Galletti sta portando avanti con insistenza la tesi di un porto nella Penisola. Al contrario del suo predecessore Corrado Clini, Galletti non parla di Piombino forse nella convinzione che la carta del porto livornese non sia spendibile con successo. L’armatore propone Genova o la Turchia e, di fronte a questa alternativa, si può capire quale sia la pressione su Costa da parte delle autorità liguri che tra l’altro hanno il vantaggio di dividere con l’armatore la coabitazione nella stessa città. Se, come è noto, l’arte del compromesso è una caratteristica del Belpaese, verrebbe da concludere che altissima e quasi scontata è la probabilità che alla fine venga scelto davvero il porto di Genova con buona pace di ogni altra candidatura. Ma quel che sembra scontato evidentemente tanto scontato non è. In molti si chiedono se davvero Genova sia la soluzione migliore e non solo per la considerevole distanza dal Giglio ma anche per i criteri (un preventivo passaggio prima a Voltri) con cui si dovrebbe procedere alla demolizione del relitto. Dopo l’incidente del cassone numero 13 i già alti dubbi sul traino di una bestione dal galleggiamento molto precario, si sono trasformati in una inconfessabile ma ben avvertita paura di un insuccesso. E un flop del genere non è neanche contemplato soprattutto dalla casa madre, gli americani della Carnival i quali da sempre hanno cercato di rimediare alla catastrofe offrendo agli occhi del mondo il successo di tecnologie mai sperimentate prima. Per esempio non si è spenta ancora l’eco dell’eccezionale ribaltamento della Concordia che ha richiamato sul Giglio i riflettori del mondo intero. Qualcosa che potrebbe ripetersi con l’inedito caricamento di una nave lunga 300 metri su un chiattone semisommergibile che raccoglierebbe il relitto dal fondo del mare per farlo riemergere e trasportarlo in sicurezza anche in porti lontani. Gli americani, lontani anni luce dai nostri stressanti modi di affrontare problemi di questa natura, chiaramente puntano da sempre e ora più che mai sul Vanguard che costa molto (30 milioni di dollari) ma che può offrire un ritorno di immagine, oltre che una sicurezza nelle operazioni incomparabilmente superiore rispetto a qualsiasi altro criterio di rimozione e trasporto della Concordia, Tanto più che col Vanguard in Turchia ci si può arrivare davvero ed è noto al mondo che i costi turchi per lo smaltimento sono infintamente più bassi di quelli di qualsiasi altro porto. Tutto da definire, in previsione dell’uso del chiattone, è oggi il problema dello svuotamento dell’acqua che ancora si trova nella parte sommersa del relitto. Secondo la tesi “ambientalista”, che non può essere certo ignorata, l’emersione della nave col Vanguard porterebbe ad uno sversamento in mare aperto di una enorme quantità di liquidi inquinati. Per cui sarebbe necessario, prima del sollevamento, la completa e non certo facile eliminazione dell’acqua ancora all’interno dello scafo. Altre tesi sostengono che questo tipo di problema sia meno drammatico di quanto venga oggi dipinto.
Al di là di tutto è ormai evidente come due diverse logiche si stiano se non scontrando almeno confrontando e questo crea un’ impasse nella scelta definitiva della destinazione del relitto. Ma di certo la decisione sui criteri di trasporto del relitto non si potrà protrarre ancora a lungo. L’uso del Vanguard infatti impone opere immediate da eseguire sulla Concordia mentre, d’altra parte, il traino richiede diversi accorgimenti anch’essi urgenti.
In questo dibattito le possibilità di un ingresso o di un ritorno in campo dell’ipotesi Piombino appare più confinata nelle logiche del dibattito politico-elettorale che in quelle di un’opzione concreta. I lavori vanno avanti ma sono tante le opere ancora da realizzare per arrivare a settembre con il solo completamento della banchina e del dragaggio (comincerà secondo quanto annunciato nella terza decade di giugno e quindi dovrà essere ultimato in poco più di due mesi). Per il cantiere invece lo stesso commissario dell’autorità portuale Luciano Guerrieri dice che non sarà pronto prima di un anno. Anche se si riuscisse a realizzare in tempi rapidissimi (anzi mai visti in Italia) le attrezzature per ospitare il relitto che cosa accadrebbe dopo senza il cantiere per la demolizione?
Purtroppo – perché sia chiaro la Concordia a Piombino farebbe bene – si deve prendere atto che un armatore che deve decidere in fretta ha buon gioco a scartare una soluzione che almeno al momento non può offrire garanzie. Se la politica riesce a vincere viene da pensare che al massimo il porto prescelto sarà “italiano” come del resto chiede il ministro Galletti, ovvero il governo. Per Piombino forse conviene non continuare ad illudersi troppi. Anche se, ovviamente, esistono pur sempre i miracoli.