Da Lucchini alla reindustrializzazione 2015
PIOMBINO 22 settembre 2016 — Il terzo volume dell’ebook “La Val di Cornia da Lucchini alla reindustrializzazione”, che i lettori possono scaricare anche dalla rubrica PUBBLICAZIONI, raccoglie gli articoli pubblicati da Stile libero Idee dalla Val di Cornia dall’inizio alla fine del 2015.
È l’anno iniziato con la verifica della possibilità di riaccensione dell’altoforno, per quanto l’ipotesi fosse considerata irrealizzabile da tutti, e caratterizzato da alcuni accordi sindacali, dalla firma del contratto di vendita della Lucchini a Cevital e da due accordi di programma, l’uno per l’approvazione del progetto di riconversione e riqualificazione industriale dell’area di crisi industriale complessa di Piombino e l’altro per l’attuazione del progetto integrato di messa in sicurezza, riconversione industriale e sviluppo economico produttivo delle aree del complesso industriale ex Lucchini di Piombino.
Per i contenuti ed i giudizi si rimanda ovviamente alla lettura degli articoli ma qui vale la pena di sottolineare ciò che realmente è successo.
La ripresa industriale della Val di Cornia è stata legata a un piano industriale siderurgico non credibile (così come successivamente risulterà in tutta evidenza) con due appendici relative alla logistica ed all’agroindustriale i cui lineamenti erano almeno sfumati se non indefiniti. Lo stesso sviluppo portuale sostenuto da finanziamenti pubblici ingenti è stato subordinato per almeno due terzi allo stesso gruppo industriale, Cevital Aferpi o Piombino o Logistics che si voglia chiamare. Per non parlare del fatto che è rimasta ben lontana la soluzione dei collegamenti ferroviari e stradale necessari.
La reindustrializzazione è stata costruita prevalentemente sul modello degli incentivi alle imprese, nonostante che ormai da diversi anni sia chiaro che i sussidi non fanno crescere gli investimenti; oltretutto in questo caso i sussidi erano del tutto avulsi dalle esigenze reali del e nel territorio.
Le bonifiche non poggiavano su nessun progetto approvato ed i finanziamenti erano risibili.
Sono così venuti al pettine via via i nodi che non si è voluto risolvere e che avevano a che fare con scelte e decisioni che da un lato richiedessero all’acquirente di Lucchini un piano credibile e fattibile e dall’altro per la parte pubblica una scelta di priorità (ad esempio le infrastrutture collegate ed integrate tra sé e con le bonifiche) che rendesse possibile la realizzazione definitiva di infrastrutture materiali e immateriali su cui poi poggiare la concorrenza tra più privati sul mercato. Insomma un progetto di sistema e un’ossatura di poche priorità che costruisse un sistema funzionale e funzionante e per questo aperto, disponibile e concorrenziale
Ma anche dal punto di vista dell’occupazione il mantenimento degli occupati nella Lucchini ha lasciato del tutto scoperto il fatto che esso, anche nella migliore delle ipotesi, sarà sicuramente in sostituzione di lavoro già svolto da imprese e lavoratori dell’indotto e che dunque la somma finale sarà certamente negativa.
I ritardi e le difficoltà che già alla fine del 2015 hanno cominciano a registrarsi sono solo l’inizio di un processo che continuerà e si accentuerà nel 2016.
La mancanza della volontà e del coraggio di ampliare lo sguardo a un ventaglio più ampio di possibili soluzioni legate a risorse presenti sul territorio e di metterle a valore in maniera programmata e integrata, ancor prima di legarsi esclusivamente alla siderurgia, così come quella di confrontarsi sulle compatibilità e sulle priorità, ma sopratutto di svolgere un ruolo autonomo da parte di istituzioni e forze sociali, rispetto a idee provenienti sempre e solo dall’esterno, ed in particolare da un solo imprenditore, non hanno affatto facilitato la soluzione di problemi di per sé molto complicati.