Da Lucchini alla reindustrializzazione 2014
PIOMBINO 12 settembre 2016 — Il secondo volume della pubblicazione “La Val di Cornia dalla Lucchini alla reindustrializzazione” (si può scaricare anche dalla rubrica PUBBLICAZIONI) raccoglie gli articoli pubblicati da Stile libero Idee dalla Val di Cornia dai primi mesi del 2014 alla fine dello stesso anno.
Sono compresi gli articoli che in senso stretto riguardano i due temi in oggetto (crisi della siderurgia e reindustrializzazione), temi che peraltro si intrecciano con almeno altri due argomenti esclusi: le infrastrutture, ed in particolare ma non solo l’ammodernamento della strada statale 398 come parte della realizzanda autostrada da Rosignano a Civitavecchia, e la vicenda dello smantellamento della Concordia. Costituiranno materia di altre pubblicazioni.
L’anno inizia con la proposta avanzata dal rappresentante di un fantomatico “fondo d’investimenti arabo” (Khaled al Habahbeh) che promette un investimento di tre miliardi di euro, metà destinati a smantellare l’area a caldo dello stabilimento siderurgico (altoforno, cokeria etc.), nel cuore della città, per ricostruire un nuovo stabilimento siderurgico a Ischia di Crociano con due o tre forni elettrici, un impianto corex per la produzione della ghisa, treni di laminazione rinnovati e nuovi impianti per la verticalizzazione dell’acciaio, e metà a non meglio precisati investimenti “sociali” nelle aree liberate dagli impianti esistenti. Proposta presentata in pompa magna nella sala del Consiglio comunale di Piombino alla presenza del sindaco di Piombino (Gianni Anselmi) che la definisce “robusta”. Una storia durata mesi, ancorché non credibile fin dall’inizio, e finita malamente quando qualcuno ha scoperto e dimostrato che si trattava di una truffa e nient’altro.
Ma inizia anche con la firma di un protocollo di intesa firmato da Ministero dello sviluppo economico, Ministero delle infrastrutture, Ministero dell’ambiente, Regione Toscana, Provincia di Livorno, Comune di Piombino, Autorità Portuale di Piombino per “Interventi per la riqualificazione e la riconversione del polo industriale di Piombino”. Vengono fissati i punti su cui, pare capire, dovrebbe svilupparsi il Progetto di riqualificazione e riconversione industriale (PRRI) susseguente alla definizione di Piombino come area di crisi industriale complessa: qualificazione delle produzioni siderurgiche, infrastruttura portuale, aiuti alle imprese, formazione professionale.
Costruito su tre assi
1. Intervento di riqualificazione ambientale e produttiva del sito produttivo di Piombino della Lucchini in amministrazione straordinaria,
2. Intervento di riconversione e riqualificazione produttiva dell’area di crisi industriale complessa di Piombino,
3. Politiche attive del lavoro e misure per il reimpiego anche in progetti di riconversione,
è per molti aspetti una elencazione di ipotesi non sorrette da progetti sia pur di massima e per questo, anche quando sono stabiliti dei finanziamenti, è molto dubbio che rispondano ad esigenze reali, quelle capaci di trasformarli in realizzazioni.
Continua nel frattempo la procedura per la vendita della Lucchini e contemporaneamente la rivendicazione del mantenimento dell’attività dell’altoforno, cuore della produzione a ciclo integrale caratteristica dello stabilimento di Piombino. È un percorso accidentato reso difficile dalle interferenze della candidatura del “fondo d’investimenti arabo” e dall’abbandono del campo da parte di un gruppo di siderurgici italiani.
Il 24 aprile cessa la produzione dell’altoforno e viene firmato un accordo di programma intitolato “Disciplina degli interventi per la riqualificazione e la riconversione del polo industriale di Piombino” che ricalca le linee del precedente protocollo di intesa, mentre il 30 aprile viene siglato un accordo sindacale che legittima l’utilizzazione del contratto di solidarietà dal 2 maggio 2014 al 1° maggio 2015 per 1.995 lavoratori della Lucchini e 233 della Lucchini servizi.
Fino all’ottobre 2014 sembra che vi siano molte probabilità che la Lucchini sia acquistata da Jindal
(JSW Steel) limitatamente agli impianti di laminazione, quando improvvisamente si fa avanti un nuovo acquirente, la società algerina Cevital, con una proposta che il sindaco di Piombino, Massimo Giuliani, così descrive: «…la proposta del nuovo gruppo prevede la realizzazione di 2 forni elettrici da 2 tonnellate di acciaio, che saranno localizzati a Ischia di Crociano utilizzando il preridotto. Questo è prodotto in Algeria dove il gas viene estratto ed esportato a costi inferiori. Prevedono inoltre la realizzazione di un terzo laminatoio che si aggiunge ai due esistenti. Realistici anche i tempi di realizzazione dei forni (prospettato in 18 mesi). Altro aspetto importante dell’offerta la parte logistica interessante soprattutto per il settore dell’agroalimentare di cui Cevital è uno dei più grandi produttori al mondo (oli vegetali da utilizzare anche come combustibile, mangime biologico, zucchero). Nella loro proposta prevedono l’occupazione di 3.500 persone tra dipendenti diretti e indotto…».
Il 2 dicembre il Ministero dello Sviluppo economico autorizza il commissario straordinario Piero Nardi ad accettare l’offerta presentata da Cevital per l’acquisto dei rami d’azienda Lucchini Piombino, Lucchini Servizi e Vertek Piombino e delle azioni (69,27%) di GSI Lucchini e il 9 dicembre viene firmato a Palazzo Chigi il preliminare di accordo Lucchini-Cevital per la vendita della Lucchini di Piombino. Alla firma sono presenti Issad Rebrab, presidente di Cevital, e Piero Nardi, commissario straordinario Lucchini, firmatari del preliminare, oltre al premier Matteo Renzi, al ministro per lo sviluppo economico Federica Guidi, al presidente della Regione Toscana Enrico Rossi e al sindaco di Piombino Massimo Giuliani.
I contenuti del preliminare e dell’annesso piano industriale alla fine dell’anno non sono ancora conosciuti ma Issad Rebrab dichiara: «..l’intenzione è quella di smantellare entro 6 mesi dalla firma del contratto l’acciaieria e l’altoforno. Non sarà un lavoro da poco. Serviranno 3 o 4 ditte con personale adeguato. Poi concludere la bonifica e realizzare la piattaforma logistica con la realizzazione di 150mila metri quadrati di capannoni. Concentreremo tutta l’attività siderurgica dove attualmente ci sono due laminatoi, nella zona di padule. Il primo forno elettrico da 1 milione di tonnellate sarà realizzato entro 18 mesi, il 2° forno, per un altro milione di tonnellate, in 24 mesi…».
Naturalmente la realtà ha smentito ampiamente tutte queste previsioni, e non poteva non essere altrimenti, così come gli annunci di finanziamenti che non c’erano, di tempi mai rispettati, di opere inesistenti e di nuovo lavoro non creato.
Ma non c’è solo questo.
Continua ed anzi si rafforza, nel 2014 la pervicace non volontà di svolgere da parte dei Comuni un ruolo di elaborazione di ipotesi di sviluppo almeno da confrontare con l’unica legata indissolubilmente alla siderurgia. Anzi alla produzione di acciaio prima che di prodotti finiti. Quasi fosse un’ideologia o addirittura una fede. Qualunque ipotesi diversa non è nemmeno presa in considerazione. E poi la dipendenza da tutto ciò che viene dall’esterno, Regione, Stato o industriale che sia, anche senza sapere né tantomeno approfondire le proposte (addirittura sbandierate come piano industriale) che vengono declamate. Una danza condotta da altri, non direttamente ed in prima battuta dal territorio interessato. Ed ancora il modello di riconversione al quale si pensa: un po’ di infrastrutture, un po’ di bonifiche, un po’ di agevolazioni alle imprese, un po’ di ammortizzatori sociali e poca formazione. Un po’ di tutto per accontentare tutti. Senza coerenza, senza analisi delle compatibilità e senza progetti cantierabili. Si accentuano i difetti già presenti precedentemente.
L’ipotesi di un piano integrato di riconversione territoriale, in realtà, non è mai stato preso in considerazione. Il fatto che di esso non siano state messe in questo periodo nemmeno le premesse avrà successivamente conseguenze negative che non sono ad oggi terminate. Anzi se ne risentiranno gli strascichi molto a lungo nel tempo sia dal punto di vista dell’economia che da quello dell’occupazione della Val di Cornia.