Dagli spizzichi a un coerente esperimento europeo
PIOMBINO 14 novembre 2019 — Per descrivere l’attuale situazione della Val di Cornia può essere di una qualche utilità un prisma triangolare: su una faccia appare una popolazione calante e vecchia, su un’altra tanti disoccupati, tanti assistiti, tanti invisibili. I numeri di volta in volta pubblicati da Stile libero Idee dalla Val di Cornia hanno dimostrato che quantitativamente si tratta di proporzioni maggiori e dunque peggiori delle medie dell’intera provincia di Livorno, della Toscana ed anche dell’Italia. È una situazione strutturalmente preoccupante per l’oggi e per il futuro, tale che ci si aspetterebbe di vedere, nella terza faccia del prisma, un insieme di politiche pubbliche di lunga durata di qualità e dimensioni pari ai problemi da affrontare.
Ed invece no, nella terza faccia compaiono purtroppo almeno quindici anni fatti di annunci tutti smentiti dalla realtà, iniziative episodiche che, anche quando finanziate, o non sono state realizzate o lo sono state in maniera tale che, non avendo organicità, non hanno prodotto né i risultati propagandati né quelli sperati. Al massimo ci si è guardati intorno, si è sperato nello straniero di turno, si è pensato di utilizzare qualche legge incentivante, quella più a portata di mano, ma niente più. E sono passati più di quindici anni. Assai dubbio è ad oggi anche l’investimento, anch’esso grandemente propagandato ma di cui Jindal mai ha garantito l’attuazione, nei forni elettrici, strumento perché “Piombino deve riprendere a colare l’acciaio”.
Ma così il prisma non ci farà vedere i colori dell’arcobaleno, purtroppo manifesterà solo una tonalità, nella migliore delle ipotesi, pesantemente grigia.
Si può invertire la tendenza? Forse sì, ma solo se si passerà dall’episodico e dalla riproposizione di interventi rivelatisi poco buoni già in qualche altra realtà al pensare in grande, insomma se si riprenderà il tema della riconversione produttiva, sociale e culturale di una zona di antica industrializzazione. Tema che non può essere fatto di un colare acciaio che ci deve essere per forza, di uno spizzico di portualità, di un altro spizzico di turismo e così via di spizzico in spizzico. E di una discussione politica che verte su quale deve essere lo spizzico più grosso.
Può diventare la Val di Cornia un terreno di sperimentazione di un’economia che da hard passa a smart? Che si colloca cioè sul fronte più avanzato delle strategie europee per un’economia intelligente, sostenibile e inclusiva, caratterizzata da alti livelli di occupazione, produttività e coesione sociale? Non certo con un po’ più di eolico, un po’ più di fotovoltaico, un po’ più di agricoltura biologica e così via, naturalmente sempre con i relativi finanziamenti pubblici. Non che tutto questo non ci voglia, anzi a partire dalla raccolta differenziata spinta dei rifiuti urbani ci vuole, eccome, ma non basta. E non certo con un po’ più di artigianato, un po’ più di turismo, un po’ più di piccola e media impresa, naturalmente sempre con i relativi incentivi pubblici. Non che tutto questo non ci voglia, anzi probabilmente sarà indispensabile, eccome, ma non basta.
Ciò che occorre è una visione, che non fa certo tabula rasa dell’esistente (se i laminatoi funzionano e perché funzionino occorre investirci, perché no) ma a partire dall’esistente indica una direzione di sperimentazione. E non si possono nemmeno ripetere pedissequamente esperienze di altre zone di reindustrializzazione europee, anche se da esse c’è da prendere molti esempi e suggerimenti, perché oggi le situazioni sono mutate, perché oggi in Val di Cornia c’è bisogno di una visione che si confronti con i problemi dell’oggi e del domani. Facendo i conti col mercato, senza l’illusione di programmazioni fondate sulla spesa pubblica, ma con un minino di coerenza sì, senza quella tutto è inutile.
Se la Val di Cornia continuerà a ripetere la pratica degli spizzichi difficilmente avrà un futuro almeno decente, se si proporrà come terreno di una sperimentazione di cambiamenti economici, sociali e culturali forse una qualche speranza ci sarà. Da hard a smart per una economia ed una società della conoscenza va bene? Ed è possibile? Forse vale la pena di provare.
Di provare anche ad avere ascolto in quelle istituzioni che di questo dovrebbero occuparsi e su questo legittimarsi. Perché una simile ipotesi ha bisogno di un perno locale e di molti protagonisti e soprattutto ha bisogno di essere riconosciuta da livelli pubblici regionali, nazionali ed europei. Cosa non semplice, ma del resto all’esigenza di questo stesso riconoscimento alternativa non c’è. L’alternativa degli spizzichi è già fallita.
(Foto di Pino Bertelli)
Condivido l’articolo solo in parte. La mia età mi permette di dire che la parola” reindustrializzazione” l’ho sentita quando ero poco più che maggiorenne, nella seconda metà degli anni 80, ed era pronunciata da chi si poneva il problema del ” dopo acciaierie”, da chi si domandava cosa sarebbe diventata Piombino senza acciaierie. Nessuno dava ascolto a queste domande né la popolazione, nè l’imprenditoria locale e tanto meno la politica. Ci lamentavamo dei puzzi, dei rumori, dello spolverino ma andava bene così. Sono passati quasi 35 anni ed ora abbiamo la prova del tempo perso del ciò che non volevamo vedere ma che immancabilmente è avvenuto. La politica degli spizzichi avrebbe funzionato se davamo credito a chi immaginava una Piombino priva delle acciaierie, se in quegli anni avessimo iniziato una politica volta ad attrarre e/o a far crescere una imprenditoria nuova, diversa. Non concordo con l’articolo perché invece con un pizzico, più un pizzico, più un pizzico ecc.ecc. avremmo fatto il pieno e sarebbe stato un bene perché una economia variegata avrebbe risposto al meglio alle variabili di mercato. Oggi ci troviamo ad inseguire l’impossibile e proprio perchè impossibile ci lasciamo incantare ancora ed ancora da imprenditori che guardano solo ed esclusivamente alle loro tasche. Invocare investimenti pubblici è una chimera, solo promesse. Dobbiamo farcene una ragione: siamo lasciati soli! Ma allora come uscirne? Dobbiamo aspettare una nuova generazione di piombinesi, politici, sindacati, cittadini, che sappia ragionare senza la presenza ingombrate delle ex-acciaierie.
Come tutti gli italiani che sono c.t. della nazionale anch’io mi sono fatto un idea che potrebbe dare una mano a portare Piombino dalle paludi e che ovviamente non è “La” soluzione ma una di queste ed è qui che concordo con l’articolo della redazione. Fare rete non è astratto, anzi, significa portare in campo tutto ed quando dico tutto intendo veramente tutto! Tutto ciò che può sviluppare economia e raccoglierla, farne una sintesi per inserirla in un portale che soddisfi la più ampia platea di visitatori. Ecco la smart economy che va a braccetto con la smart governance e poi l’antica arte del sapersi vendere, ovvero, la pubblicità.