Dal Giglio a Genova: niente feste ma onore al merito
PIOMBINO 27 luglio 2014 — Ha ragione il premier Renzi: non è tempo di celebrazioni ma di ringraziamenti. E forse — aggiungiamo — anche di ricordi.
La Concordia è giunta nel porto finale, quello che ne segnerà la scomparsa dopo un lungo lavoro di rottamazione. La nave non potrà non restare nei ricordi soprattutto per due caratteristiche incancellabili. È stata ed rimane l’immensa bara di 33 innocenti: quella dei 32 che in una notte del gennaio 2012 non riuscirono a mettersi in salvo e l’altra di un sub morto durante i lavori intorno al relitto. Non lo cita ormai più nessuno ma noi vorremmo ricordare anche un altro sub, un filippino di 54 anni trovato cadavere nel box doccia della sua camera, nella nave-albergo ancorata davanti alla Costa Concordia per ospitare il personale che lavorava alla rimozione del relitto. Un decesso avvenuto per cause naturali, un infarto. L’uomo si era immerso l’ultima volta 36 ore prima del decesso.
E la Concordia resterà anche l’eterno esempio di una leggerezza senza pari, assurda ed ingiustificata che ci ha riempito di ridicolo agli occhi del mondo ed è stata la causa di lutti e di danni infiniti.
Quindi, nel momento che tutto si concluse con l’arrivo del relitto a Genova, non è davvero il caso di festeggiare. È invece l’ora di ringraziare e di riflettere. Quando davanti al porto del Giglio è apparsa un’immensa nave semi sommersa ed adagiata sugli scogli, è scattata una gara di solidarietà che ha visto per protagonisti gli abitanti di un piccola isola ed anche tanti operatori che al Giglio sono subito accorsi per portare aiuto. Un’opera instancabile che è continuata per mesi e ha meritato il plauso del mondo. Al punto che in ogni angolo del pianeta si ricorda e si ricorderà per molto tempo un minuscolo scoglio nel mar Tirreno, l’isola della Costa Concordia.
Quel relitto poteva essere lasciato a marcire davanti al Giglio oppure, come è stata giustamente opinione di tutti, doveva essere rimosso.
Quasi 300 metri di lunghezza, 71 di altezza, una stazza enorme, la Concordia è qualcosa di mostruosamente eccezionale. Rimuovere la sua carcassa è apparsa subito impresa titanica. Come fare a risollevarla, a farla rigalleggiare e a trasportarla in un porto adatto alla demolizione?
Interrogativi che hanno proposto soluzioni diverse. Per mesi un’ipotesi possibile è apparsa quella dell’uso del Vanguard, il chiattone semisommergibile capace di scendere sott’acqua per accogliere il relitto in una sorta di enorme culla, per quindi riportarlo in superficie e traghettarlo, senza che neanche toccasse il mare, in porti anche molto lontani.
La Costa ha addirittura opzionato il Vanguard che alla fine però non è mai arrivato al Giglio.
I motivi della rinuncia sono sostanzialmente due. Il primo ha essenzialmente un carattere tecnico legato all’incremento del peso della nave per i cassoni necessari a mantenerla a galla in posizione corretta e per l’acqua ancora presente nel fondo della scafo. Una massa eccessiva, rischiosa da sollevare dagli abissi e da trasportare anche per un gigante come il Vanguard.
Il secondo motivo ha natura politica. Il governo italiano ha sempre premuto perché la rottamazione della Concordia avvenisse in Italia (da ultimo tutta l’operazione avrà un costo di 1,5 miliardi di euro, quindi un gran business). Il costo del Vanguard (30 milioni di dollari) poteva essere giustificato solo nell’ipotesi di un trasferimento del relitto in un porto lontano, ovvero ad Aliaga in Turchia.
Alla fine la Costa non è rimasta sorda alle indicazioni dei tecnici e alle sollecitazioni del governo. Da qui la scelta di trainare il relitto con i rimorchiatori. Di fronte a questa ipotesi, come è stato più volte riferito, solo il porto di Genova-Voltri aveva le caratteristiche per accogliere e demolire la nave.
Altre ipotesi, pur prese in considerazione, sono risultate palesemente impraticabili. Tra queste la destinazione di Piombino che è stata indicata, sostenuta, caldeggiata, spesso urlata dall’ex ministro Clini, dal governatore Rossi, dall’ex sindaco Anselmi, dal commissario Guerrieri, dall’onorevole e poi sottosegretario Velo, dai presidenti provinciali Marras e Kutufà, dagli onorevoli D’Angelis e Manciulli, dai sindacati e da molti altri.
Oggi quando la Concordia è a destinazione, al porto di Piombino si devono ancora effettuare gran parte dei lavori.
Il governatore Rossi ha opposto all’ipotesi Vangurd la protesta di una teoria di barchette schierate per non far avanzare il chiattone e, quando il Vanguard è caduto, ha palesato rischi ambientali considerevoli per il traino del relitto fino in Liguria.
Si è insistito sul presunto danno al santuario dei cetacei in un tratto di mare attraversato ogni giorno da navi di ogni tipo che si muovono a velocità enormemente superiori a quella dei 3–4 chilometri orari del traino della Concordia.
Si sono tirati in ballo i francesi (“Cosa penseranno della nave trascinata nei pressi della costa della Corsica?”) ed è finita con madame Segolene Royal che, venuta a vigilare con una nave militare, invece delle temute chiazze d’olio ha trovato nel mar Tirreno qualcosa di abbastanza simile ad un’azione inutile per non dir di peggio.
Si sono viste spedizioni con rimorchiatori degli ormeggiatori del porto rincorrere la rotta che avrebbe dovuto battere la Concordia per documentare i rischi del traino. Roba senza alcun fondamento finita tra le cose da dimenticare alla svelta. Per la cronaca dell’impresa ha fatto parte il segretario della federazione del Pd, Valerio Fabiani e, in un primo tratto, anche il sindaco di Piombino Massimo Giuliani.
Si sono viste cose nelle quali l’improvvisazione ed il dilettantismo si sono scontrati e sono stati sommersi dalla professionalità, dallo studio, dalla ricerca, dalla sperimentazione e dall’ingegno di tecnici che sono riusciti in un’impresa mai effettuata prima.
Il ringraziamento, come ha fatto Renzi, va all’impegno di coloro che hanno reso possibile non il rimedio ad un avvenimento irrimediabile ma all’esecuzione di un progetto unico, in grande parte concepito ed eseguito dall’Italia, eccezionale ed apprezzato ad ogni latitudine.
Per gli annunci, le previsioni, le certezze annunciate dagli altri, nulla c’è da dire se non che chi abbia voglia può trarre le debite conseguenze.
Mentre la Concordia è ferma a Genova si impongono due ultime considerazioni. La prima è una speranza, quella che l’ultimo corpo ancora da trovare, quello del cameriere indiano Rusell Rebello, possa presto avere una sepoltura.
La seconda è una preoccupazione. Come ha confermato di fronte alle telecamere di Sky, il presidente dell’autorità portuale di Genova, Luigi Merlo, come ribadisce in un dettagliato articolo “Il Sole 24 Ore”, come si può da tempo leggere negli atti della Regione Liguria, a Genova si sta lavorando per la creazione di un polo per la rottamazione delle navi secondo il regolamento europeo recentemente approvato. La Concordia in questa visione sarebbe la prima grande nave da demolire. È questo lo stesso identico progetto prospettato per mesi per il porto di Piombino e per il quale si lavora tuttora prelevando consistenti quantità di materiali dalle cave di Campiglia per riempire il mare.
Domanda scontata? È morto a Piombino il progetto per il polo della rottamazione delle navi? Perché chiaramente, come abbiamo avuto modo di scrivere già alcune settimane fa, due poli per rottamare le navi a distanza di 270 chilometri non sono concepibili.
Lo stesso premier Renzi, implicitamente riferendosi all’ultimo accordo di programma per Piombino, ha parlato di “alcune navi militari” da assegnare al porto per la rottamazione.
Tutti sappiamo che la marina militare italiana non assomiglia neanche lontanamente a quella americana e le nostre unità da rottamare non sono né la Nimitz, né la Enterprice, né quindi sono numerosissime. Cosa se ne deduce? “Quell’<alcune>, indicato da Renzi, giustifica un investimento di 113 milioni e la ulteriore devastazione delle colline di Campiglia?”
Piombino ha bisogno di investimenti pubblici consistenti che di questi tempi non si annunciano tuttavia enormi; forse quei 113 milioni potevano servire ad altro. C’è da chiderselo. O almeno ci si dica come si vogliono concretamente e proficuamente utilizzare le opere che si stanno oggi realizzando al porto.
Quelli che in 40 anni non sono riusciti a fare una strada alternativa per Piombino e una visione diversa oltre l’acciaio hanno avuto in Rossi una sponda per illudere gli abitanti e sopratutto i votanti della zona. In Toscana si spende circa 150 milioni per un presunto bacino di rottamazione quando il valore del lavoro della Concordia è stabilito in 200ml. Ma quale grande impresario avrebbe fatto un investimento di questo tipo che non ha oltretutto prospettive future. Con i soldi non propri è più facile fare progetti irrealizzabili e promesse, tanto a fine mandato subentra un altro compagno che continua a elargire piani per la disfatta.