Il passaggio dal piano programma al piano disegnato
La cultura urbanistica e la disciplina della pianificazione territoriale in Toscana stanno affrontando un periodo di transizione, alla ricerca di elaborazioni teoriche e pratiche in grado di rinnovare il primato un po’ appannato di Regione modello nelle politiche di governo del territorio. Il percorso di revisione della Legge 1 è in fase avanzata e il testo è in via di perfezionamento dopo la discussione nella commissione regionali. L’implementazione paesaggistica del PIT, adottata nel 2009, dopo la profonda rivisitazione frutto dell’avvento dell’assessore Marson sta per concludersi con contenuti più improntati alla conservazione che alla strategia territoriale, tipici di un piano paesistico vero e proprio. E’ evidente che i piani e i progetti urbanistici attuali e futuri sono chiamati a misurarsi con il fermento, le novità e anche le incertezze del momento.
Tra i principali elementi di novità che stimolano e indirizzano il dibattito, c’è senza dubbio la cresciuta sensibilità delle comunità locali per il bene comune del territorio. La conseguenza è che il giudizio comune sull’efficacia degli strumenti di pianificazione non viene più misurato solo sugli effetti nei processi economici o sulle dinamiche sociali che riesce ad avviare, ma sempre di più sulla natura delle trasformazioni fisiche del territorio. E’ la qualità morfologica e formale del prodotto della pianificazione che determina il giudizio sulla bontà del piano. Possiamo dire che anche per i processi della pianificazione territoriale la percezione estetica diviene sempre più motivo principale di valutazione della qualità dello strumento. Torna così d’attualità, anche se in forme più raffinate, una dicotomia che ha segnato la cultura urbanistica degli anni ’80 e ’90. La contrapposizione tra il “piano programma” e il “piano disegnato”.
Leonardo Benevolo sosteneva che i tentativi di introdurre nei piani gli elementi del disegno urbano altro non era che il tentativo di nascondere sotto dei bei disegni nefandezze urbanistiche. Viene da chiedersi se i piani tradizionali “non disegnati”, anche quelli di ultima generazione, hanno evitato nefandezze e operazioni di trasformazione territoriali quanto meno discutibili. Io credo di no. Anzi, sono convinto che l’urbanistica fondata sulla zonizzazione classica del territorio sia anch’essa causa dei limiti evidenti della città moderna, del proliferare di spazi e luoghi monofunzionali, della rarefazione dei tessuti, dello sfrangiamento dei margini urbani e del disperdersi dell’identità del territorio. E gli effetti non si vedono solo sulla mancata definizione dei tessuti, sulla perdita dell’isolato organizzato per maglie viarie e sul proliferare delle villette isolate, ma anche sul regredire della qualità dello spazio pubblico. Ed è proprio su questo elemento, quello della progettazione dello spazio pubblico, che si misurano tutti i limiti della pianificazione attuale.
La legislazione urbanistica recente, fondata spesso sul rispetto “matematico” degli standards urbanistici ha fatto si che nei pezzi di città di nuova formazione il solo requisito richiesto agli spazi pubblici fosse quello di essere previsti in quantità tale da soddisfare alla percentuale imposta per legge. E’ mancato, invece, ogni criterio di valutazione fondato sulla qualità progettuale degli spazi e sulla loro funzione di “armatura”, di “struttura” e di “connessione” del contesto urbano. Si è ragionato solo sulla quantità degli spazi pubblici, non sulla loro funzione, come se la dimensione delle aree da destinare al verde urbano fosse di per sè garanzia della loro utilità alla comunità, o della possibilità di usufruirne veramente o di divenire strumento della qualità insediativa.
C’è allora bisogno che, proprio in una fase di revisione complessiva come quella odierna, si ragioni anche sulle funzioni del piano urbanistico, in modo tale da caratterizzarlo, fino dalla definizione delle strategie da perseguire, come un ragionamento anche sulle forme e sui caratteri delle trasformazioni territoriali, in relazione ai connotati dei valori insediativi consolidati. Un piano in grado di produrre un disegno urbano che dia concretezza a una città aperta, fatta di relazioni, di funzioni integrate, di spazi e luoghi che diventino simboli di appartenenza alla comunità locale. In definitiva un piano che sappia coniugare la pratica dell’urbanistica alla qualità dell’architettura.