Decalogo contro la stupidità della fotografia
PIOMBINO 13 gennaio 2017 -
DECALOGO CONTRO LA STUPIDITÀ DELLA FOTOGRAFIA (1)
SULLA TEOLOGIA EVERSIVA DELLA FOTOGRAFIA SITUAZIONISTA.
LA FILOSOFIA DELL’ANGELUS NOVUS E LA SOCIETÀ CHE VIENE
a Michèle Bernstein,
perché sapeva bere un bicchiere di vino e fumare una sigaretta
con la disperata dolcezza dei poeti…
“Di qualunque cosa si tratti, io sono contro!”.
Groucho Marx
1.
La teologia eversiva della fotografia situazionista o di strada si riconosce nella pedagogia degli oppressi (2) che unisce teoria e prassi e secondo l’insegnamento di Paulo Freire, tende a modificare la relazione tra l’uomo oppresso e l’ambiente che lo circonda. La coscienza critica della fotografia situazionista come teologia di liberazione, trova un suo linguaggio e diventa essa stessa icona o traccia di trasformazione radicale della società ingiusta. Il trionfo della merce sorge nella civiltà dello spettacolo e i paradisi sono tutti artificiali. “Lo spettacolo non canta gli uomini e le loro armi, ma le merci e le loro passioni…Lo spettacolo è il capitale a un tal grado di accumulazione da divenire immagine… lo spettacolo non è un insieme di immagini, ma un rapporto sociale fra individui, mediato dalle immagini (Guy Debord)” (3). Tutto vero. Quello che Debord considera “spettacolo”, per Marx significava “alienazione” sociale o cosificazione dell’individuo (4) che affoga la propria vita in una rappresentazione… quella del mercato/dittatura delle illusioni. La critica radicale della società mercantile e dei regimi comunisti non può dunque essere possibile se non nella pratica di un’azione rivoluzionaria volta ad eliminare secoli di soggezione, violenze e burocratizzazione dell’immaginario. Il vero uccide la vita, che solo la rivolta sociale rende possibile.
2.
La teologia della fotografia situazionista si oppone alla violenza istituzionalizzata e non si scandalizza che contro la violenza ingiusta degli oppressori, possa sorgere la violenza giusta degli oppressi. Quando l’ingiustizia ha posto al suo servizio la legalità, l’ordine, il diniego… le classi povere private del diritto alla voce, alla dignità, alla presenza… alla fotografia situazionista non resta che lavorare per un’educazione liberatrice e passare dalle condizioni di vita inumane a condizioni più umane, con ogni mezzo necessario. Trasformare l’illusione di una menzogna in pratica della realtà.
3.
La teologia della fotografia situazionista non ha altra bellezza se non quella di aiutare a spezzare le catene della malvagità, sciogliere i legami del giogo, dare libertà agli oppressi… dividere il tuo pane con l’affamato, vestire chi è nudo e non voltare le spalle al tuo simile, diceva Isaia, è ricordare ad ogni essere umano che la liberazione autentica sarà opera degli oppressi o non sarà. Una teologia della speranza è, nel contempo, una teologia di risorgenza o d’insurrezione. Non c’è storia della politica se non c’è storia della libertà.
4.
La teologia della fotografia situazionista (e non importa essere situazionisti per praticarla) emerge dalla lezione etica di poeti del disagio rovesciato come Riis, Hine, Sander, Vischniac, Capa, Modotti, Smith, Cartier-Bresson, Lange, Evans, Shahn, Arbus, Weegee, Frank, Koudelka, Salgado (che allarghiamo con l’insolenza che c’è propria a Mapplethorpe, Barbieri, Toscani)… contiene una teoretica della dissidenza che si scontra con l’ortodossia o sovraidentità delle democrazie dello spettacolo che distruggono legami sociali e seppelliscono culture e memorie storiche. “Un popolo che venga generalmente maltrattato contro ogni diritto non deve lasciarsi sfuggire l’occasione in cui può liberarsi delle proprie miserie, scuotendo il pesante giogo che gli viene imposto con tanta ingiustizia… dimodoché le rivoluzioni… non si verificano in uno Stato per colpe leggere commesse nell’amministrazione degli affari pubblici… Quando in realtà si verificano colpe gravi, il popolo ha il diritto di resistere e difendersi” (Hannah Arendt) (5). Ogni forma di rivoluzione è sempre in primo luogo distruzione dell’antico regime.
5.
La fotografia, tutta la fotografia, “porta il suo referente con sé” (Roland Barthes) e quando è grande, coglie il significante fotografico. La cattiva fotografia marcisce di banalità splendenti e permea l’oggetto della sua attenzione nella celebrazione del mondano (Stieglitz, Steichen, White, Kühn, Newton, Hamilton, von Gloeden, Araki, Lachapelle, McCurry Warhol e la quasi totalità della fotografia italiana). Ogni fotografia è una traccia della propria cultura o della propria stupidità. A leggere le opere dei grandi maestri si comprende che la Fotografia non si riconcilia con la società nel mito spettacolarizzato bensì ne smaschera le brutture o l’effimero. La storia della fotografia come stupore, rimanda al cambiamento del luogo comune e fa del dolore degli altri (direbbe Susan Sontag), l’istante di un’adesione o, meglio ancora, il vero bene, che è un atto morale. Scoprire il nostro non-sapere nell’uguaglianza del sentire è un gesto d’accoglienza. La fotografia randagia (situazionista o di strada) accetta i propri limiti e getta uno sguardo radicale al di là del visibile. La fotografia situazionista è desiderio di qualcosa che non si possiede e a cui si aspira… rifiuta i simulacri che riconoscono la politica, la fede o la cultura come criteri del successo che legittimano la sola felicità possibile nella società data. La fotografia situazionista custodisce lo sguardo, come il ribelle l’utopia, l’una e l’altro sono depositari dell’indicibile e l’attimo della loro diserzione da tutto quanto è merce o ideologia, segna l’interrogazione dell’ordine costituito.
6.
La fotografia muore di fotografia. La follia per la “bella fotografia” nasce da una cattiva educazione all’immagine che l’impero dei mass-media ha disperso nell’immaginario collettivo. L’ignoranza dei fotografi (specie i più foraggiati dalle marche di fotocamere, dalle gallerie del mondano o dalle aziende di calendari) è abissale. Credono di sapere tutto sul valore degli attrezzi di lavoro, sulle sensibilità delle pellicole, sull’avanzare del digitale nella presa del potere della fotografia da parte del popolo… e insieme ad una marea montante di squinternati che si attaccano al collo, come un giogo, la macchina fotografica e imperversano a ogni angolo delle metropoli, delle campagne o nei viaggi specializzati nel turismo sessuale sui bambini… non si accorgono che la loro cecità creativa è una sorta di schiavitù e di prostrazione ai riti e ai codici della società dello spettacolo.
7.
Nell’epoca del mercato globale ogni guerra è giustificata dalle promesse dei governi dei Paesi ricchi. Il genocidio continua. Dopo Auschwitz, Hiroshima, i campi di sterminio (nazisti, sovietici, cinesi del nostro tempo)… il linguaggio delle armi ha preso il posto della ragione e i canti dei poeti e i pianti dei bambini sono seppelliti nella distruzione di massa dei popoli impoveriti. I limiti etici del profitto non hanno confini. I veri “nemici” dell’umanità sono i rigidi trattati di libero commercio, le armi nucleari, le tecnologie produttive basate sulla violenza, l’ingegneria genetica, le guerre del petrolio e dell’acqua, lo sviluppo del neocolonialismo di pace… “Il terrorismo è la guerra dei poveri, la guerra è il terrorismo dei ricchi” (Frei Betto, diceva). Maledette siano le guerre e le canaglie che le fanno.
8.
La fotografia eversiva situazionista è una scrittura visuale dei corpi. È un viaggio o un ritorno verso i valori dell’umanesimo, riconosciuti o fissati nella storia in un’immagine che è in grado di reinventare l’unicità dei ritrattati. Lewis Hine, August Sander o Diane Arbus, lavorando su visioni diverse dell’esistente, sono giunti al medesimo fine: non basta più trasformare il mondo, perché esso muta di pelle con le truccherie e i tradimenti delle politiche dominanti. Si tratta di interpretare adeguatamente questo mutamento (con tutti gli strumenti necessari) affinché esso non produca il regno degli idioti che emerge dalla civiltà che si autodefinisce “moderna”.
9.
La teologia eversiva della fotografia situazionista mostra che l’inferno e il paradiso sono lastricati di buone intenzioni ma la via verso la saggezza non può avere inizio se non nella distruzione pura e semplice dell’ordine istituito… e la filosofia dell’angelus novus che non partecipa alla passione di dio ma alla resurrezione dell’uomo… il momento dell’angelus novus è un colpo di dadi sul culo della storia. Conferisce all’istante scippato alla particolarità del qualunque, l’aura del singolare, dello straordinario, del fatato… è una rottura del consueto e in una specie di lotta amorosa tra ritrattato e fotografo, la comunicazione di un’esistenza che s’intreccia con un’altra esistenza e tutto ciò dà vita ad una filosofia della meraviglia che fa dell’esperienza del limite, lo strappo con tutte le scritture cifrate, decifrandole.
10.
Non importa essere fotografi né situazionisti per fare della fotografia di strada/situazionista, basta essere belli e intelligenti, appartenere a un paese qualunque, non riconoscere nessuna patria e nessuna bandiera come propri… rifiutare le menzogne della plebaglia politica, religiosa, culturale e la feccia dei barbari della finanza con quel pizzico di lucida follia che non dispensa di passare dal sarcasmo all’agire a fianco dei popoli oppressi contro i saprofiti del crocifisso, dell’assassinio e del terrorismo dei dividendi bancari… nei suoi momenti migliori, la nostra epoca è stata sanguinaria, come si addice ad ogni società fascista, nazista, comunista, consumerista… veramente ispirata… inquisizione, conquista, violenza sono stati eccelse nel massacro e nell’assoluzione… ed hanno mostrato che gli stupidi ragionano sempre al contrario. Quando è vissuta anzitutto nel sangue dei giorni, la fotografia acquista un’eccezionale carica di verità.
Per chiudere ma anche per aprire: La società spettacolarizzata non ha solo trasformato servilmente la percezione, ma soprattutto ha fatto del monopolio dell’apparenza, la ricostruzione e il confortorio dell’illusione religiosa. “L’insieme delle conoscenze che continua attualmente a svilupparsi come pensiero dello spettacolo dove giustificare una società senza giustificazione, e porsi come scienza generale della falsa coscienza” (Guy Debord) (6). Il sistema spettacolare esprime una sotto-comunicazione diffusa che smussa i conflitti sociali e ri/produce spettatori o complici. Quando alcuni storici, galleristi o critici della fotografia — iscritti nei gazebi dei saperi accademici o dell’avanguardia del vuoto — ci hanno chiesto a cosa serve nell’epoca della tecnologia satellitare la Fotografia, abbiamo risposto con un motto di spirito: — “A niente, come la musica di Mozart!”
1 Questo decalogo è estratto da, Sulla teologia eversiva della fotografia situazionista. La filosofia dell’angelus novus e la società che viene, Piombino, 12 volte gennaio 2017.
2 Paulo Freire, La pedagogia degli oppressi, Mondadori, 1973.
3 Guy Debord, La società dello spettacolo, Vallecchi, 1979.
4 Karl Marx, Manoscritti economico-filosofici del 1844, Einaudi,1980.
5 Hannah Arendt, Sulla rivoluzione, Einaudi, 2009.
6 Guy Debord, La società dello spettacolo, Vallecchi, 1979.