Diari di un viaggio in treno al campo di Auschwitz
PIOMBINO 17 marzo 2015 — Lunedì 19 gennaio è partito da Firenze, organizzato dalla Regione Toscana, Il Treno della Memoria Anche quest’anno la Provincia di Livorno ha coordinato la partecipazione delle scuole superiori del territorio e sono stati 42 gli studenti, insieme a 7 insegnanti, che sono partiti per conoscere e approfondire, attraverso la visita ai luoghi dello sterminio nazista e le testimonianze dei sopravvissuti, gli orrori della Shoah che hanno segnato in maniera indelebile la storia del ‘900 e la coscienza dei popoli europei.
Gli studenti delle scuole superiori di Piombino sono stati 18, 12 frequentanti le classi quarte e quinte dell’Isis Carducci Volta Pacinotti accompagnati dalle insegnanti Barani Odetta e Niccolini Lorella e 6 delle classi quinte dell’Isis Einaudi Ceccarelli accompagnati dalla prof.ssa Canaccini Enrica.
Durante il viaggio, in treno, sia all’andata che al ritorno studenti e insegnanti hanno partecipato, nella carrozza ristorante, ad incontri con gli esperti e con le associazioni per approfondire alcuni temi come la Shoah, la persecuzione di oppositori politici, rom, sinti e omosessuali durante il periodo del nazifascismo. L’arrivo presso la stazione di Oswiecim-Auschwitz è stato il martedì mattina presto.
Durante il viaggio è stata effettuata la visita ai campi di Birkenau, proprio il martedì, ed Auschwitz 1, il mercoledì. In entrambi i campi si sono svolte cerimonie commemorative. A Birkenau dopo la visita del campo, si è formato un corteo di studenti che, raggiungiunto il Monumento internazionale, ha pronunciato il nome il cognome e l’età di un deportato toscano che è stato loro assegnato prma del viaggio e sul quale avevano fatto ricerche e approfondimenti. Nel pomeriggio a Cracovia, abbiamo assistito presso il Cinema Kijow allo spettacolo di teatro musicale di Enrico Fink e incontrato Vera Vigevani Jarach che è dovuta fuggire dall’Italia a causa delle leggi razziste del fascismo e subire le conseguenze della persecuzione politica nella dittatura argentina di Jorge Rafael Videla.
La visita al campo di Auschwitz 1, il mercoledì, è iniziata con la cerimonia commemorativa che si è svolta presso il Blocco 11 (Muro della morte). Dopo la cerimonia ogni gruppo indipendentemente ha visitato il campo ed il museo accompagnato da una guida autorizzata del Museo-Memoriale.
Nel pomeriggio a Cracovia, ancora al Cinema Kijow gli studenti hanno incontrato i testimoni.
Ci sarà un intervento introduttivo dello storico Giovanni Gozzini e poi le testimonianze dei superstiti, Andra e Tatiana Bucci, deportate ad Auschwitz ancora bambine, Marcello Martini giovane staffetta partigiana della resistenza toscana, deportato all’età di quattordici anni a Mauthausen, Vera Michelin Salomon giovane antifascista arrestata a Roma e incarcerata in una prigione nazista in Germania, ed una video-intervista ad Antonio Ceseri. Coordinerà l’incontro il direttore di Radio Rai3 Mario Sinibaldi. Sono stati proiettati anche brevi filmati con altre testimonianze. Alla fine dell’incontro i giovani hanno potuto fare domande e proporre riflessioni.
Il giovedì è stato dedicato alla visita di Cracovia in particolare del quartiere ebraico, nel pomeriggio siamo ripartiti per Firenze, dove siamo arrivati nel pomeriggio di venerdì-
Il programma del viaggio è stato molto intenso, e forte da un punto di vista emotivo. Gli studenti erano però preparati ad affrontarlo, la Regione ha fornito loro molto materiale sul quale documentarsi, hanno fatto un percorso di formazione con le loro insegnanti che li ha impegnati da ottobre sino alla settimana precedente la partenza (quelli dell’Isis Carducci Volta Pacinotti per lo più sono al terzo anno di formazione per un progetto d’Istituto che ormai va in continuità da diversi anni, con esperienze di visita ad altri campi). Tutti i ragazzi erano consapevoli che Auschwitz non è stato il folle disegno di un gruppetto di pazzi fanatici, ma che è stato reso possibile dalla connivenza di migliaia di persone in tutta Europa, Italia compresa, che sapevano e hanno rifiutato di porsi il problema della propria responsabilità personale. Le insegnanti hanno cercato di attualizzare l’orrore di Auschwitz, riflettendo sul mondo di oggi, ponendo interrogativi su come Hitler e i nazisti siano riusciti in pochi anni a trascinare un’intera nazione nel folle progetto di dominio del mondo e degli uomini, sottolineando come centinaia di persone normali, comuni, per bene, abbiano abdicato alla ragione per subire il fascino del male, chi per scelta chi per rassegnazione, chi per missione, chi per indifferenza o per abitudine: è sempre stato facile e continua ad esserlo scivolare nella zona grigia e scendere a compromessi con la propria coscienza
Le aspettative da parte delle insegnanti erano sicuramente quelle di ogni educatore che crede nei giovani e che spera di trasmettere loro ideali e valori che li aiutino a diventare adulti responsabili, consapevoli, capaci di opporsi a qualunque forma di intolleranza, razzismo, persecuzione.…
Primo Levi diceva “L’olocausto è una pagina del libro dell’umanità da cui non dovremmo mai togliere il segnalibro della memoria”. Perché questo sia possibile è necessario che quando anche gli ultimi sopravvissuti ci avranno lasciato, ci siano altri “testimoni” che continuino a “leggere” questa pagina: questo è quello che penso ogni insegnante accompagnatore vorrebbe.….
I DIARI DEGLI STUDENTI
GAIA CANACCINI
LUNEDI’ 19
Quest’anno partire non è semplice, so già che sarà un viaggio lungo, difficile e stancante. Ci aspettano più di 20 ore di viaggio in treno e non solo: quest’anno la destinazione è Auschwitz, l’unico campo rimasto quasi intatto ed in cui è possibile rivivere il dramma che ha sconvolto e segnato per sempre la storia del mondo. È la shoah e non l’Olocausto come ci spiega uno dei rappresentanti della comunità ebraica: utilizzare questo termine, prettamente religioso, equivale a dire che gli ebrei furono un sacrificio fatto a Dio per volere di Dio in realtà ciò che è accaduto è stato solo un volere dell’uomo, è stata la sua mano a compiere questo gesto e la sua mente a mettere su un progetto di sterminio così ben organizzato.
È qui che interviene una rappresentante della comunità ebraica, che con poche e pungenti parole mi fa pensare: ho sentito spesso dire “dov’era Dio?”, sia quando si parla di shoah sia quando si tratta di qualche strage o evento catastrofico attuale o morte causata da incidenti dovuti a distrazione umana ma perché non ci chiediamo più giustamente “dov’era l’uomo?”. Convinta ci dice che non è giusto sparlare della religione ma è necessario cercare i “responsabili” fra gli uomini, perché la colpa non può essere attribuita a qualcosa di superiore.
Nonostante l’incontro non sia stato particolarmente emozionante, dato che eravamo in piedi e tutti schiacciati, e per di più alle spalle degli interlocutori, ho captato frasi e concetti nuovi per le mie orecchie che mi hanno particolarmente incuriosito e colpito:
1. Lo scopo del giorno della memoria non è ricordare i morti nei campi di sterminio, ma bensì far riflettere e capire come la mente umana possa giungere ad organizzare un tale sistema di sterminio, quanto sia facile in una società civile compiere un gesto talmente incivile.
2. L’unicità della shoah sta nel constatare come in così poco, l’Europa civilizzata, la nostra società, sia diventata una macchina di sterminio.
3 Studiare la shoah non per ricordare le vittime, ma per capire i carnefici
4 Esiste una corrente di pensiero che rifiuta l’utilizzo della shoah perché appare come un modo per gli ebrei di richiedere dei diritti.
5 Il senatore Fulvio Colombo aveva proposto il 16 ottobre come data per il gorno della memoria, data della deportazione degli ebrei dal ghetto di Roma, ma questo avrebbe voluto dire, per l’Italia, assumersi le sue responsabilità.
6 La rivolta del ghetto di Varsavia è stata scelta dalla comunità ebraica polacca come loro giorno della memoria.
MARTEDI’ 20
Non lo so, non so davvero come cominciare a raccontare.….stasera è davvero difficile: sarà la stanchezza, sarà che le emozioni provate oggi sono davvero tante, troppe tutte insieme e così forti che ti investono, smuovono tutto quello che hai dentro, lo colpiscono con violenza, ma, inspiegabilmente, tu rimani ferma, immobile, con il vento freddo che accarezza il tuo viso e i piedi che affondano nel fango.
E allora ti chiedi, ti viene spontaneo, come facessero loro, i deportati, a resistere indossando solo un uniforme, il più delle volte strappata, sudicia, bagnata.…e con ai piedi degli zoccoli, scomodi, duri, freddi, con cui rimanevano impantanati nel fango. Non è possibile trovare una risposta, né a questa né alle altre domande che ti poni continuando a camminare. Onestamente, entrando nelle baracche in muratura del blocco femminile di Birkenau, fai fatica a credere che veramente delle persone abbiano potuto, o meglio siano state costrette a dormire su scaffali di legno come quelli: chiamarli infatti letti sarebbe un PARADOSSO, considerando che erano a 3 piani, l’ultimo dei quali senza essere minimamente sollevato da terra e quindi ricoperto di fango o terra secca, i piani superiori erano leggermente migliori, in quanto lontani dal terreno, ma comunque scomodi e soggetti alla caduta di pidocchi o escrementi provenienti dal piano superiore o dal soffitto.
Una cosa che sicuramente ho sentito è stato l’imbarazzo di fronte a quella impeccabile organizzazione che contraddistingue tutto il campo, perché è vero che i tedeschi sono caratterizzati da una certa precisione, ma notare che le baracche erano speculari fra loro e perfettamente simmetriche, così come le altre costruzioni, così come i forni crematori 2 e 3 situati dove oggi si trova il monumento commemorativo alle vittime, così come i crematori
4 e 5, più distanti, oltre i magazzini denominati “Canada”, dove i deportati erano costretti a lasciare tutti i beni che si erano portati da casa, convinti di poter iniziare una nuova vita, ti lascia basito.
Al termine della visita si è svolta la cerimonia commemorativa durante la quale noi studenti abbiamo pronunciato il nome di tanti ebrei deportati, morti o sopravvissuti, nome che che ci era stato assegnato prima della partenza e sul quale avevamo provato a documentarci: il silenzio che ci circondava era rotto solo dalle nostre voci che creavano un’eco assordante.
Credo di essermi resa realmente conto di quello che avevo visto una volta risalita in autobus e allora ho pensato che no, non è stato uno scherzo, e la paura, l’ansia, hanno invaso il mio corpo e mi sono sentita triste.
“Storie di ieri e memorie di oggi: da una complicità dei fatti del passato e la volontà di ricordare e memorizzare come abbiamo fatto oggi pronunciando i nomi è un modo per essere un attimo anche noi ex deportati, figli della shoah. Possiamo tentare di prevenire il crearsi di una nuova situazione del genere. Per dire no alla guerra dobbiamo ricordare e memorizzare.”
E’ così che Ugo Caffaz apre l’incontro del primo pomeriggio a Cracovia durante il quale abbiamo assistito allo teatrale di Enrico Fink e alla travolgente testimonianza di Vera Vigevani Jarach.
Fink, di origine ebrea, ha deciso attraverso la sua voce e la sua musica di raccontarci una storia, la storia della sua famiglia: è partito da un foto, una giacca (del nonno), e da un foglio della questura di Ferrara che certificava l’arresto del bisnonno. In realtà il suo è solo un inizio, infatti è una storia in continua costruzione, egli sta continuando a cercare notizie sui nonni che non ha mai conosciuto. Ha chiuso il suo intervento con una poesia, “Addio mondo” con la quale ha colpito la mia sensibilità.
A seguire abbiamo ascoltato la testimonianza di una donna con una forza d’animo enorme e penso che, se tutti avessimo un minimo della sua forza saremmo in grado di affrontare senza paura, le piccole cose che la vita ci mette contro.
Lei è Vera Vigevani Jarach, testimone, protagonista e vittima di due episodi che hanno segnato il secolo precedente: è nipote di un ebreo deportato, morto nei campi, e madre di una desaparecidos, uccisa con i voli della morte.
La sua infanzia, come dice lei, finì con le leggi razziali che spinsero la famiglia ad allontanarsi dall’Italia e ad emigrare in Argentina. Il suo progetto è quello di dimostrare la responsabilità del governo fascista mettendo in evidenza gli ambiti in cui ciò è ancora negato, esaltare i giusti, e approfondire il tema delle “Terre promesse” . La ricerca di queste ultime si ripete nel tempo, ma sempre con nuovi sintomi: abbiamo il desiderio di costruire un ponte nella memoria grazie ai mezzi che ci offre la democrazia.
Vera ci dice che la democrazia ha insegnato ad essere partecipi e a non stare mai in silenzio quando ci rendiamo conto che qualcosa sta per succedere. Condanna profondamente il silenzio, ci racconta di averlo detto anche a Papa Francesco: al silenzio deve opporsi il rumore della memoria: quello del treno che portò via suo nonno .…quello dell’aereo dal quale è stata gettata sua figlia.…questo rumore ti scuote dentro…
Si parla sempre di rumore alla fine, quel rumore che, anche se non c’è niente attorno a te (come è successo a Birkenau), ti stordisce. Tra le tante cose che ha detto ed ho cercato di annotare sul telefono, ricordo che abbia sottolineato il fatto che le madri di Plaza de Majo non si siano fatte giustizia con le proprie mani, ma che abbiano avuto la forza di saper aspettare per farsi ascoltare: hanno sofferto e aspettato tanto, ma ce l’hanno fatta. Mi ha colpito il fatto che ci dica che la sua forza venga dall’amore, che la vita è una sola.
Mi sono veramente sentita piccola, piccola, quando alla domanda “se fosse contenta della sua vita”, Vera ha risposto di esserlo: è nata in un paese meraviglioso, l’Italia, ha conosciuto l’Argentina che l’ha “salvata”, ha incontrato l’amore della sua vita ed ha avuto una figlia meravigliosa, è vero che le è stata portata via, ma l’ha avuta.
È proprio questo l’importante: sentir parlare i sopravvissuti, i testimoni.….solo le loro voci possono aiutarti a capire davvero quello che è successo, solo unendo quello che abbiamo visto con quello che abbiamo udito, possiamo davvero capire.
Vorrei davvero che tutte le persone che non hanno condiviso il percorso che mi portato fino a qui, capissero quanto tutto questo sia importante, non solo per me che l’ho vissuto direttamente, ma anche per tutti coloro che vorranno ascoltare il mio racconto.
MERCOLEDI’ 21
Il vedere non basta, bisogna sapere! Il motivo per cui facciamo i viaggi è la curiosità di conoscere qualcosa che ancora non conosciamo. Noi abbiamo visto il posto dove si è svolto il peggior atto di cattiveria umana che la storia abbia mai conosciuto.
Auschwitz 1 è la seconda parte della mostruosa macchina messa in piedi dai nazisti, che visitiamo. Questo campo nasce come campo di concentramento e di lavoro non per gli ebrei, ma per i cittadini polacchi. La struttura del campo, detto campo madre, era già presente, ma viene modificata per poter essere sfruttata al meglio. A partire dalla cosiddetta “Soluzione finale”, verranno deportati qui prevalentemente ebrei.
Una cosa abbastanza sconcertante è stato entrarvi all’interno, infatti, una volta oltrepassato il cancello con la scritta “Arbeit macht frei” (il lavoro rende liberi), ti sembra di essere in un luogo di villeggiatura, nel quale tutto è in ordine e ben curato, gli edifici perfettamente allineati e numerati, con uno spazio dedicato alla banda etc.…e invece no, ti basta guardarti attorno per vedere recinti di filo spinato e torrette di controllo, che non possono non farti pensare che quel luogo avesse un solo, scopo: concentrare, sfruttare e spingere alla morte quelle persone innocenti che furono condannate ad un destino che nessuno dovrebbe mai subire. Oggi le strutture visitabili sono adibite a musei e ospitano foto e pezzi di storia. Sono tutte, in un modo o nell’altro, un pugno nello stomaco:
Il blocco 11, il blocco della morte, ti spiazza, perché qui puoi realmente vedere i metodi di prigionia che portavano alla morte i carcerati, inevitabilmente.
Il blocco a lato, non visitabile, è il 10 e in questo i “medici” di Auschwitz 1 effettuavano esperimenti sui deportati.
Ad unire i due blocchi, il “muro della morte”. Qui si sparava a sangue freddo ai deportati che avevano commesso qualche disattenzione.
Ad Auschwitz 1 è possibile vedere l’unica camera a gas ancora interamente intatta. Quello che si prova entrando non è spiegabile a parole, è qualcosa che parte dallo stomaco, ma non si ferma lì, passa alle gambe e alle braccia e tu non puoi far altro che camminare, trascinando il tuo corpo, pesantemente all’interno di quella stanza opprimente.
L’esperienza di Auschwitz 1 non è facile, come non lo è Birkenau.…è impossibile tutto.
È impossibile soprattutto rimanere indifferenti quando le due sorelle Tatiana e Andra Bucci ci raccontano la loro storia all’interno del campo, ci parlano della loro baracca, della loro indifferenza di fronte al pensiero che la madre fosse morta…
E’ impossibile rimanere indifferenti quando Vera Salomon racconta la sua storia, che l’ha vista incarcerata a Regina Coeli prima e poi in Germania e, umilmente, afferma che la sua è una storia piccola, fatta di resistenza e di amicizia. Nella sua testimonianza questa è una cosa che ritorna spesso, l’importanza dell’amicizia: ci dice con molta sicurezza che l’amicizia e gli amici, sono fondamentali in tutti i momenti della vita e senza è tutto più difficile.
Quello che ti colpisce è la forza con cui queste persone raccontano la loro storia. Vera ci lascia un messaggio importante: ˂Di diverso non c’è nessuno, la diversità non esiste, quando pensi alla diversità devi fermarti e dire che c’è qualcosa di sbagliato˃.
È impossibile rimanere indifferenti, chi rimane indifferente ha bisogno di essere aiutato, perché di fronte all’orrore che è stato non si può rimanere indifferenti, perché l’indifferenza è come il silenzio di cui parlava Vera Jarach: è un segnale che ci avverte che c’è il rischio che lì si riproponga, un’altra volta, un dramma come quello che ha colpito l’Europa nel secolo scorso.
GIOVEDI’ 22, VENERDI’ 23
Siamo arrivati alla fine di questo viaggio, il treno ci sta riportando a casa e mancano poche ore per riabbracciare le persone che ho lasciato ad aspettarmi.
Quest’anno, il mio terzo viaggio della memoria, ho avuto la fortuna di condividerlo con persone che meritano. Adesso mi sento in dovere di dire qualcosa che possa restare nel tempo e possa colpire molti:
E’ stata dura, questo viaggio è stato davvero difficile, è stato faticoso più di quanto potessi pensare, tempi ristretti, ore in piedi, viaggio in treno interminabile…e poi il campo, il vuoto, le testimonianze.
C’è stato anche un momento in cui, me ne vergogno, ho lasciato che qualcuno mi facesse sentire in colpa, come se avessi fatto la scelta sbagliata a partire. È stato solo un momento, lo giuro!
Ho creduto in questo percorso fin da subito, dal momento in cui Odetta me lo ha presentato, io ci ho creduto e ci credo ancora e ci crederò sempre!
Non sarà una persona, e nemmeno 100, a farmi dubitare di me e delle mie scelte. Questo progetto, questo viaggio, mi hanno aiutato a crescere, capire e anche un po’ a credere di più in me stessa.
Per me è stato un onore affrontare questo viaggio e non ci sarà mai un momento in cui mi pentirò di averlo intrapreso e di non averlo mai abbandonato. E se sono riuscita ad arrivare fin qui lo devo solo ad una persona, la mia professoressa.
Io oggi mi sento una persona migliore, in grado di camminare a testa alta, consapevole di avere un grande compito, quello di trasmettere agli altri, a chi non si sofferma a pensare, quello che io ho sentito. Perché tutti i giorni, anche nelle cose più banali, si ripresentano atti di discriminazione e violenza ed oggi non possiamo più permetterlo.
È la fine del mio “diario di bordo”, in cui ho cercato di mettere il mio cuore; ma è solo l’inizio per il cammino che ho intrapreso: grazie con tutto il cuore, sarò riconoscente per tutta la vita.
ISABELLA DEVITO
LUNEDI’ 19
E’ il giorno della partenza del Treno della Memoria 2015. Dopo ben due ore di ritardo, finalmente siamo partiti. Lo scompartimento è spartano, forse riusciremo a capire ancora di più quanto sia stato duro il viaggio dei deportati, sicuramente molto peggio del nostro.
Verso le 15 abbiamo incontrato la comunità ebraica che ci ha spiegato il vero significato di Shoah e la differenza che c’è con il termine “Olocausto”. Sono stati gentili e disponibili, anche se il tempo a nostra disposizione è stato poco.
Il nostro viaggio in treno è continuato con un desiderio sempre maggiore di arrivare. Abbiamo visto paesini innevati che sembravano presepi, ma anche boschi oscuri e fitti che ci mettevano sempre più agitazione e che probabilmente agitavano anche gli ebrei 70 anni fa.
MARTEDI’ 20
Siamo arrivati alla stazione di Oswiecim (Auschwitz in tedesco) verso le 7.30, senza trovare alcun fiocco di neve. Giunti al nostro autobus abbiamo incontrato Isabella, la nostra guida che ci accompagnerà in questi 3 giorni in Polonia.
La nostra prima tappa è Auschwitz 2 – Birkenau a pochi minuti di distanza dal centro città. Purtroppo non siamo potuti entrare dal cancello principale dal quale entravano i deportati poiché essendo quest’anno il 70° dalla liberazione del campo, è stata montata una struttura che copre tutto l’edificio che comprende l’entrata.
Ci siamo diretti subito alla baracca n°25, adibita ad “ospedale” per le donne. Le baracche sono ben conservate e originali, sui “letti” è possibile trovare alcune rose lasciate in ricordo dei cari.
Entrando in questi dormitori si prova una sensazione di incredulità, sembra quasi impossibile che un essere umano riuscisse a sopravvivere al freddo e alle malattie che erano molto frequenti nel campo.
Subito dopo abbiamo visitato la baracca dei bambini, strutturalmente simile a quella precedente, ma con disegni dipinti sui muri. È come se quei bambini cercassero di portare nel lager un po’ della loro quotidianità.
Lavatoi e latrine sono perfettamente costruiti, i nazisti avevano progettato tutto con un rigore geometrico eclatante.
Il binario è sicuramente uno dei luoghi più toccanti, perché è lì che veniva deciso il destino dei prigionieri appena arrivati. Quelle lunghe rotaie che partivano da paesi diversi e lontani, ma che portavano ad una sola meta che quasi sempre coincideva con la morte.
Il campo è immenso e dispersivo e mentre ci spostiamo da un posto all’altro noi, visitatori, possiamo riflettere. Il mio pensiero costante era cercare di interpretare quella forte emozione mai provata prima. Sembra di essere sul set di un film horror, ma purtroppo questo è un posto reale, dove sono avvenuti fatti “bestiali” veramente. Chissà come si sentiva un prigioniero mentre camminava in quell’immensa distesa di terra e fango.…
Molto probabilmente guardava il bosco di betulle, paesaggio che ricorda la libertà e la serenità, e che per assurdo era l’anticamera delle camere a gas e dei crematori oggi distrutti. Vicino ai crematori si trovavano dei laghetti artificiali che servivano per raccogliere le ceneri dei cadaveri.
Vicino a questo luogo si trovava il locale per l’accoglienza dei nuovi internati, qui venivano spogliati, rasati, sottoposti a disinfezione, tatuati, dopo di che diventavano un pezzo di quel grande macchinario che è il lager.
Verso le 12 è iniziata la cerimonia commemorativa: a noi studenti è stato assegnato un deportato, ne dovevamo pronunciare il nome e l’età al momento della deportazione. Dopo gli interventi istituzionali sono state recitate 3 preghiere, una in sinto da un esponente della comunità rom e sinti di Prato, una in ebraico recitata da Enrico Fink, poi è stata letta una preghiera cattolica di padre Turoldo.
Nel pomeriggio ci siamo spostati a Cracovia dove al cinema Kiow abbiamo assistito allo spettacolo di Enrico Fink sulla storia della sua famiglia, in cui si sono alternati canti e narrazione, e alla testimonianza di Vera Vigevani Jarach sulla shoah e sui desaparecidos.
La storia di Vera mi ha colpito particolarmente. Suo nonno è stato deportato ad Auschwitz e qui è morto, sua figlia Franca è stata rapita e uccisa durante la dittatura argentina degli anni ’70, a distanza di circa 30 anni dopo “l’insegnamento” di Auschwitz.
Questa donna, nonostante tutto riesce a dimostrarci una forza incredibile e una positività travolgente. Nessuno, nemmeno lei stessa si spiega come abbia fatto a superare tutto. Per poter sfuggire alla deportazione e sopravvivere, Vera con i suoi genitori è stata costretta a lasciare l’Italia e ad andare in Argentina, luogo in cui dopo la guerra si sono rifugiati anche molti capi nazisti. Parla lei stessa di questa troppa positività, che secondo me però è l’unica cosa che può aiutare ad affrontare certi ostacoli.
Non si spiega bene, ma sono persone come lei che danno sempre più forza a noi giovani e ci stimolano a non arrenderci.
MERCOLEDI’ 21
Anche oggi la giornata inizia presto e tutti noi pensiamo di doverla affrontare in modo ancora più forte ed intenso.. Ci siamo recati al campo madre di Auschwitz 1. Si trova molto vicino alla città e il primo pensiero va a come i cittadini abbiano ignorato tutto quello che stava succedendo nel campo.
È molto più piccolo di Birkenau e si nota la differenza tra campo di lavoro e sterminio. È costruito in modo molto preciso e lineare, ben ordinato, in modo quasi maniacale. La prima cosa che mi ha colpito è stata la “B” dell’insegna del cancello, messa sottosopra, forse come atto di ribellione dei prigionieri verso i nazisti.
La camera a gas e il forno crematorio di Auschwitz 1 sono gli unici originali ancora rimasti: entrando nella prima si prova un senso di angoscia che diventa sempre più forte man mano che ci si avvicina alle botole da cui i tedeschi inserivano lo ziklon b.
Ci siamo poi diretti verso il “muro della morte”dove si è svolta un’altra cerimonia commemorativa: dopo gli interventi istituzionali tra i quali c’è stato anche quello della rappresentante del Parlamento degli Studenti, è stata deposta una corona di rose ai piedi del muro, in memoria delle vittime.
Dopo la cerimonia è iniziata la visita dei blocchi. È incredibile pensare che realmente un uomo possa essere stato lì. Mentre camminiamo tra le vie del campo, vengono alla mente tutti i libri che raccontano, ma in particolar modo mi è tornata alla mente la poesia di Primo Levi, che è un monito a non dimenticare i crimini di Auschwitz. Mai come in questo momento, sono riuscita a capire cosa Levi intendesse dire: l’uomo non è più uomo ma è un numero.
Altro momento sconvolgente è stato vedere montagne di valige, occhiali, spazzole, scarpe, ma soprattutto capelli. Capelli di donne che dovevano servire per fare stoffe per le uniformi delle SS.
La visita del Blocco 11 è molto emozionante perché nelle celle che si trovano nel sotterraneo proviamo una sensazione di oppressione anche noi visitatori, pur sapendo che dopo poco torneremo alla libertà. Sono luoghi che colpiscono e lasciano un ricordo indelebile soprattutto quando ripensiamo a ciò che abbiamo visto in maniera più lucida.
Nel pomeriggio ancora al cinema Kiow, abbiamo incontrato Marcello Martini, deportato politico a Mathausen, il più giovane, Vera Salomon, altra deportata da giovane a Dachau, anche lei politica, e infine le 2 sorelle Bucci deportate bambine ad Auschwitz e scelte dal dottor Mengele, perché sembravano gemelle, per i suoi esperimenti.
Sono questi incontri i momenti più toccanti, soprattutto perché i sopravvissuti hanno avuto una grande forza d’animo per raccontare le loro storie, sembra quasi che siano loro a dare la forza a noi studenti e non viceversa.
Non hanno perso la speranza anche nelle situazioni disumane r terribili.
Siamo rientrati in albergo, distrutti, ma sicuramente cambiati, maturati.
GIOVEDI’ 22
E’ arrivato il momento di rifare le valige perché il nostro treno riparte. Dopo una breve cerimonia di chiusura, sempre diretta da Ugo Caffaz, siamo risaliti sul treno per tornare a Firenze. Durante il viaggio abbiamo potuto incontrare le sorelle Bucci per potergli fare delle domande. Sono state gentili e disponibili, come se parlassero ai loro nipoti.
VENERDI’ 23
Siamo giunti veramente al termine di questo viaggio ed è in questo momento che capisco la grande fortuna che ho avuto nel partire. Torno a casa, sicuramente cambiata, mi sento un po’ più matura e con un’opinione diversa sulle mie priorità: ciò che ritenevo un problema, ora lo vedo solo come una sciocchezza da non prendere in considerazione.
Ora il mio compito, come per gli altri, è quello di raccontare ciò che abbiamo visto e provato, perché tutti si convincono che non ci dovranno più essere tragedie della portata di questa di Auschwitz, oppure come dice Levi “ vi si sfaccia la casa, la malattia vi impedisca, i vostri nati torcano il viso da voi”.
ANNA CONFORTI
LUNEDI’ 19
Oggi è il primo giorno di viaggio. Questo è un viaggio diverso da quelli che ho fatto fino ad ora, sono emozionata, un po’ malinconica, stanca. In realtà non so come mi sento davvero, sento tante cose contrastanti tra di loro. Ci aspettano 20 ore di viaggio, siamo in 6 in uno scompartimento piuttosto piccolo e scomodo, abbiamo caldo e la cena non è stata il massimo e da quando siamo salite non facciamo altro che lamentarci, ma se poi penso che i deportati hanno fatto questo viaggio senza sapere la destinazione, senza sapere cosa avrebbero trovato, un viaggio al buio in condizioni diverse dalle nostre oggi…
Verso le 15 abbiamo partecipato all’incontro con la Comunità Ebraica, non mi ha entusiasmato molto, ma bello è stato l’intervento di una signora che ha detto: <Noi ci chiediamo sempre: “Dove era Dio ad Auschwitz”, ma la vera domanda da farci è: “Dove era l’uomo?”perché chi ha voluto Auschwitz non poteva essere ritenuto uomo.>
Penso di tornare da questo viaggio diversa, cresciuta sicuramente, con qualcosa in più, diventando anch’io una “testimone” di ciò che è stato.
Adesso ci prepariamo per la giornata di domani che sarà stancante, ma soprattutto piena di emozioni.
MARTEDI’ 20
Un brivido continuo lungo tutta la giornata di oggi. È la quarta volta che strappo la pagina perché non riesco a trovare le parole per descrivere questa giornata.
Oggi abbiamo visitato il campo di concentramento e sterminio di Auschwitz 2 – Birkenau. Solo la parola “sterminio” mi fa venire i brividi, mi da un senso di freddezza, solitudine e lontananza da un fatto che in realtà è molto più vicino a noi di quanto si possa pensare. Prima di entrare probabilmente non mi rendevo conto di dove mi trovavo, era come se per qualche momento non provassi niente, una sensazione strana e fastidiosa, ma una volta passato il cancello e la recinzione di filo spinato, le emozioni sono iniziate ad affiorare e subito mi sono venute le lacrime agli occhi immedesimandomi nei deportati che cercavano di sopravvivere a quelle torture, a quei lavori, a quei “posti”, a quell’odore di morte che ormai erano diventati il loro quotidiano, a cercare di capire cosa pensavano delle loro condizioni, o cosa provavano nei confronti di coloro che hanno contribuito a rendere la loro vita un inferno. E poi mi sono chiesta cosa stavo provando io, cosa pensavo, come mi sentivo, perché. E non ho trovato una risposta.
Dopo averci lasciato qualche minuto per riflettere su quel luogo dove eravamo appena entrati, la guida ha iniziato a darci alcune informazione storiche, passando poi alle spiegazioni sui vari blocchi. Noi eravamo nella parte femminile del campo e il primo blocco in cui siamo entrati è stato quello “della morte” dove le internate aspettavano la morte, molte speravano arrivasse presto per porre così fine alle loro sofferenze.
Quando sono entrata sono iniziati brividi, pensare a quante persone hanno passato l’ultima parte della loro vita in questo blocco, costrette a dormire su quei letti, se così si possono definire, o addirittura nel fango.
Proseguendo siamo entrati nella baracca dei bambini nella quale mi si sono bloccate le gambe e sono rimasta ferma immobile di fronte a due disegni sulle pareti del corridoio centrale, in uno dei quali era disegnata una scuola con dei bambini sorridenti che con alcuni giochi si avvicinavano per entrare. Sono rimaste ferma con la tremarella alle gambe, incapace di muovermi per qualche minuto davanti a questo disegno. Come si fa a dipingere una scuola a Birkenau?
Siamo poi arrivati ai binari e quindi ad uno dei carri bestiame su cui venivano costretti a stare i deportati per viaggi che duravano giorni e giorni. Non c’era modo di poter vedere dentro e questo significa che non c’era modo di respirare, a meno che una persona non fosse molto alta.
Altri brividi.
Mentre ci stavamo avvicinando al bosco di betulle e quindi alle camere a gas e ai forni crematori ormai distrutti, mi sono come isolata, non sentivo più alcuna voce, c’era un silenzio fastidioso, rumoroso, il silenzio della morte, il silenzio che c’era allora, nel caso dei “desaparecidos”, come ci ha detto Vera Vigevani Jarach, una militante della memoria come lei stessa si definisce, e oggi in molti fatti (ad esempio la mafia) che si vogliono nascondere, forse per vergogna, forse per paura.
Credo che il silenzio sia una delle armi più potenti, se non la più potente, perché con questa arma che tutti possiamo avere, permettiamo lo sviluppo e la concretizzazione di fatti come questi.
Penso di essermi resa conto davvero di dove ero e che cosa stavo provando in questa situazione: solitudine, inadeguatezza, e troppo piccola in mezzo a questa organizzazione diabolica.
Prima della cerimonia al monumento sono stata “intervistata”, sul nome che avrei dovuto pronunciare e nel dirlo mi sono commossa e mi si è rotta la voce, perché ormai Giorgio Piperno fa parte della mia famiglia, un parente di cui bisogna far memoria.
Il pomeriggio abbiamo assistito allo spettacolo di Enrico Fink, che raccontava la storia del suo bisnonno, poi c’è stata la testimonianza di Vera Vigevani Jarach. È stata molto commovente, soprattutto quando raccontava la storia di suo nonno facendo un accenno al rapporto che aveva con lui e il mio pensiero è volato subito al mio di nonni, perché il rapporto che avevo con lui era molto simile.
Vera ci ha raccontato anche di sua figlia, Franca, una dei 30mila desaparecidos. Raccontava questa storia con una tranquillità particolare, una tranquillità che solo una donna con la sua forza e il suo coraggio poteva avere.
MERCOLEDI’ 21
Stamani la sveglia è suonata molto presto per affrontare una giornata piena di tristezza e di emozioni.
Durante tutto il viaggio per Auschwitz mi sono chiesta che cosa avrei provato oggi, pensavo di essere preparata, ma in realtà non lo ero affatto. Una volta arrivata nel piazzale ho guardato fuori dal finestrino e la prima cosa che ho visto è stato il filo spinato che circonda tutto il campo e nella mia mente è apparsa qualche immagine di film che ho visto, prigionieri che vi si gettavano contro per porre fine alle loro sofferenze, e un brivido mi ha percorso tutta la schiena.
“Arbeit macht frei” questa sono le parole scritte sopra il cancello di entrata al campo. Sapendo quello che avveniva al di là di quel cancello ho subito pensato alla malvagità che caratterizzava i nazisti.
Una volta varcata la soglia d’entrata, mi è sembrato quasi di fare un salto in dietro nel tempo e mi sembrava di vedere lì, davanti ai miei occhi, dei deportati costretti a fare lavori estenuanti e le SS che li controllavano e si divertivano nel vedere quelle persone soffrire. Proprio all’ingresso avevano posizionato un’orchestra che doveva suonare per “salutare ed accogliere i deportati” e mi sembrava di sentire quelle musiche, quelle marce.
Ad Auschwitz 1 i blocchi, una volta “casa” dei prigionieri, sono adibiti a museo. I vari stanzoni oggi sono pieni di foto ingrandite: guardando gli occhi di alcuni di loro ho potuto leggere il terrore di chi aveva già capito dove li avrebbe portati quel treno, che non sarebbero mai più tornati. Guardando ancora attentamente altri occhi, altri volti, ne ho notati 4 che fanno un mezzo sorriso al fotografo che li immortalava, loro non avevano ancora capito.
La guida ci ha portati in un’altra stanza e le gambe mi iniziano a tremare, gli occhi a riempirsi di lacrime, e ogni pensiero nella mia mente lascia spazio alla rabbia, rabbia nei confronti di chi ha permesso certe barbarie. Per loro nessuna giustificazione.
In quella stanza c’era una vetrata lunga, quasi 12 metri, riempita da capelli, capelli che i nazisti tagliavano alle donne, facendo così perdere loro ogni dignità, rendendole tutte uguali. Capelli che poi inviavano in Germania alle industrie tessili.
L’indignazione e la rabbia aumentavano man mano che si entrava in altre stanze. Una vetrata piena di valige, con ancora scritto all’esterno nome e cognome.
Ormai non mi stupivo più di niente, come se mi aspettassi che i nazisti potessero commettere simili atrocità. Nonostante questo, la tristezza per i deportati, il disprezzo verso chi aveva organizzato questo piano diabolico, la rabbia verso chi in qualunque modo aveva permesso che questo accadesse, anche solo rimanendo in silenzio, crescevano dentro di me.
Altre vetrate: occhiali, pentole, protesi…..i nazisti requisivano qualsiasi cosa.
Ciò che più mi ha dato fastidio, è stato vedere tutte quelle scarpine, vestitini di bambini innocenti che non sono mai diventati grandi.
Non ho parole per le innumerevoli atrocità che qui venivano commesse quindi mi limiterò ad elencarle: il muro della morte dove si eseguivano le fucilazioni, minuscole celle sotterranee dove venivano rinchiuse 4 persone e vi si lasciavano finché non morivano, tutto il Blocco 11, il blocco delle torture, dove nessuno ha mai saputo con precisione cosa vi avvenisse all’interno.
Malgrado il tentativo dei nazisti di annientare l’umanità e la fratellanza, fra i deportati ci sono stati casi in cui la solidarietà tra gli uomini ha preso il sopravvento, come nel caso di Padre Massimiliano Kolbe che si offrì di morire al posto di un detenuto nel tentativo di salvargli la vita perché era un padre di famiglia. Venne rinchiuso nel Blocco 11, dove attese, pregando, la fine.
Nel pomeriggio abbiamo assistito alle testimonianze di 4 sopravvissuti: Marcello Martini, Vera salom, Andra e Tatiana Bucci. Sono state tutte molto commoventi, ma quelle che mi hanno colpito di più sono le sorelle Bucci. È la seconda volta che sento la loro storia, la conosco quasi a memoria, ma non mi stanco mai di ascoltarla, incantata. Oggi sono riuscita ad abbracciarle, baciarle e a fare una foto con una di loro, mi ritengo molto fortunata di aver conosciuto queste due persone così forti e speciali dalle quali vorrei prendere esempio.
VENERDI’ 23
Siamo sul treno, in viaggio verso casa, siamo tutte molto stanche, ma tutte insieme abbiamo parlato. Scambiandoci le nostre emozioni, sensazioni, opinioni, su questo viaggio che mai dimenticheremo.
I deportati quando entravano ad Auschwitz, venivano marchiati con un numero, noi allo stesso modo siamo stati “marchiati”, da questo viaggio che porteremo sempre con noi, che racconteremo ai nostri amici, parenti, diventando anche noi testimoni. Sono contenta di aver condiviso questa esperienza con questo gruppo di persone dove ho trovato nuove amicizie e rafforzato altre che con gli anni avevo perso.
Vera Vigevani aveva ragione quando all’incontro di martedì ha detto che l’amicizia è l’augurio e il regalo più bello che si possa fare.…
IRENE PERILLO
LUNEDI’ 19
Ha inizio il nostro viaggio della memoria! Siamo in treno e domattina arriveremo ad Oswiecim dove parteciperemo alla cerimonia commemorativa al Monumento Memoriale alle vittime della deportazione.
Alla partenza ci sono stati consegnati dei libri sul campo e altri di testimonianza di deportati che potranno distrarci dal lungo viaggio verso la Polonia.
In treno abbiamo anche partecipato ad un incontro con la Comunità ebraica di Firenze: è stato interessante.
Si è fatta sera, la stanchezza si fa sentire…è arrivato il momento di dormire in attesa della lunga, ma entusiasmante giornata di domani!
MARTEDI’ 20
Giorno d’arrivo, finalmente! Oggi ci aspetta una lunga giornata: stamani visiteremo il campo di sterminio di Auschwitz 2 – Birkenau…le emozioni saranno molte e forse, in certi casi, indescrivibili, ma proverò comunque a riportarle.
La visita comincia con la descrizione generale del campo fatta dalla guida che ci spiega che i primi internati in questo campo erano solo polacchi e che probabilmente nessuna famiglia è riuscita a salvarsi dalla deportazione di un familiare. Abbiamo visitato varie baracche e percorso tutto il campo: è immenso e quello che abbiamo scoperto su come venivano trattati i “lavoratori”mi ha lasciata senza parole.
Durante tutta la visita ho continuato a chiedermi se fosse successo davvero quello che stavo vedendo, ma soprattutto come un uomo avesse potuto trasformare i suoi simili (uomini, donne e bambini) in vere e proprie bestie!
La guida ci ha portato a visitare la baracca 25, all’interno della quale venivano tenute le donne inabili al lavoro, sinceramente, vedendo i letti dove stavano fino a 12 donne per piano dal ’44 in poi, ho provato a chiedermi quale piano fosse il migliore ma non sono stata in grado di darmi una risposta…
Nella baracca dei bambini sul muro del corridoio centrale c’è disegnata a tempera una scuola come per illuderli che lì avrebbero potuto condurre una vita normale e divertirsi.…
I bambini presenti in quella baracca erano quelli scelti per gli esperimenti medici del Dottor Mengele, “l’angelo della morte”, tanti dei quali gemelli. Mengele si presentava loro come un bravo uomo (come raccontano anche le sorelle Bucci), per poi utilizzarli per scopi disumani.
In seguito siamo andati a visitare i forni crematori: ne sono stati costruiti molti, migliori ogni volta e quando erano tutti pieni i cadaveri venivano bruciati su roghi all’aria aperta. In questo campo anche le camere a gas sono andate distrutte, si può però immaginare che cosa succedeva all’interno di esse…e questo crea una sensazione di angoscia, di paura, pensando a tutto quello che la mente umana è riuscita da ideare.
La visita si è conclusa con una cerimonia commemorativa davanti al monumento memoriale di Birkenau: ognuno di noi studenti presenti ha pronunciato nome e età di un deportato sotto l’ascolto di alcuni sopravvissuti. La cerimonia è stata molto toccante.
Nel pomeriggio ci siamo recati a teatro dove abbiamo potuto ascoltare la storia del bisnonno di Enrico Fink, ebreo. Ha realizzato un vero e proprio spettacolo teatrale/musicale cantando melodie ebraiche che probabilmente cantava anche suo bisnonno, catturando la nostra attenzione.
La seconda testimonianza è stata quella di Vera Vigevani Jarach, italiana, di padre ebreo, antifascista. Ci racconta la storia della propria famiglia: nel 1938, con l’entrata in vigore delle leggi razziali, grazie all’insistenza della madre, consapevole del fatto che altrimenti sarebbero stati deportati, si trasferisce con la famiglia in Argentina, il nonno rimane a Milano e viene deportato ad Auschwitz dal “Binario 21”.
Vera lo descrive come un binario con tre vagoni, uno oggi visitabile, dove i bambini che non arrivavano alle fessure poste in alto per respirare, avevano poche possibilità di sopravvivere al viaggio. Il nonno era stato catturato a causa del tradimento dei “passatori” ai quali aveva dato dei soldi perché lo conducessero in Svizzera. Vera si definisce una militante della memoria e lo è a tutti gli effetti anche per un altro evento che ha colpito la sua vita, ma soprattutto il suo cuore: la sparizione e la morte della figlia Franca a causa della dittatura argentina degli anni ’70. la sua testimonianza è stata molto toccante e ha aiutato tutti noi studenti a riflettere sulla vita, ci ha insegnato che non dobbiamo mai perdere la forza di combattere contro tutto ciò che ostacola il nostro cammino, ma soprattutto lottare per la giustizia.
La vedo come un esempio, perché, diciamoci la verità, quanti di noi riuscirebbero a raccontare con il sorriso sul volto la morte della propria figlia. Ma Vera l’ha fatto e merita ogni tipo di ringraziamento ad ognuno di noi per la forza e la speranza che ci ha dato con le sue parole.
MERCOLEDI’ 21
Da Cracovia l’autobus ci ha riportato ad Oswiecim dove abbiamo visitato Auschwitz 1. Credo che quello che abbiamo visto lì sia la prova materiale di quello che è successo: i cumuli di scarpe, capelli, spazzole ed altri oggetti di uso quotidiano, mi hanno fatto riflettere sui pensieri dei deportati alla partenza.….poi alle speranze distrutte all’arrivo nel campo, nel quale ognuno di loro ha perso la propria identità ed alcuni perfino la propria fede.
Abbiamo visitato vari blocchi ed ho potuto notare vari reperti che mi hanno colpito veramente molto… In una stanza sono stati riportati sul muro ad altezza di bambino, alcuni disegni che i bambini avevano fatto nella loro baracca: mi ha colpito il modo in cui sono riusciti ad avere la consapevolezza di ciò che succedeva attorno a loro.
La visita della camera a gas, mi ha quasi traumatizzato: una volta entrata ho sentito l’aria che mi mancava e mi tremavano le gambe, forse perché è stata la prima volta in cui mi sono davvero resa conto di come le persone fossero trasformate in bestie.
Varcati i cancelli dei campi ogni essere vivente perdeva tutto quello che aveva, non solo le cose materiali, ma anche gli affetti, l’anima, l’identità.
Devo dire che le emozioni più grandi sono arrivate quando siamo entrati nel blocco 11, quello delle torture. Tra questo blocco e il blocco 10 si trova il muro della morte. Nello stesso cortile ci sono anche i pali utilizzati per le torture. Le finestre del blocco 10, quello degli esperimenti, sono chiuse: i nazisti volevano impedire la visione di quello che accadeva in questi luoghi.
Sono rimasta stupefatta dalla perfetta organizzazione di tutto, ma anche spaventata dalla mentalità diabolica che l’ha resa possibile, penso che ognuno di noi abbia provato paura, ma soprattutto abbia pensato che tutto questo potrebbe riaccadere.
Noi siamo coloro che attraverso questa esperienza dobbiamo impedire ciò si verifichi di nuovo, raccontando ciò che abbiamo visto e trasmettendo le emozioni che abbiamo provato. Dobbiamo diventare testimoni della storia.
Nel pomeriggio al cinema Kiow abbiamo incontrato i testimoni, i sopravvissuti ai campi: Marcello Martini e Vera Salomon deportati politici, Andra e Tatiana Bucci, ebree deportate con la madre, la nonna, la zia e il cuginetto Sergio.
Tutte queste testimonianze ci hanno fatto riflettere su quello che è stato e ci hanno fatto riflettere su quello che è stato e ci permettono di portare avanti la memoria anche quando non ci saranno più testimonianze, per non permettere a chi nega la shoah di avere la meglio.
GIOVEDI’ 22
Iniziamo la giornata e concludiamo il nostro viaggio con la visita alla città chi ci ha ospitato, Cracovia. Nel pomeriggio, dopo i saluti e i ringraziamenti risaliamo sul treno, stanche, ma pronte ad affrontare il viaggio di ritorno.
VENERDI’ 23
Siamo ormai arrivate a destinazione piene di pensieri su tutto ciò che abbiamo visto, ma soddisfatte dell’esperienza fatta. Ringrazio veramente molto le professoresse che mi hanno permesso di fare questo viaggio, ma soprattutto consiglio a tutti di fare questa esperienza perché aiuta a maturare e a vedere il mondo con occhi diversi.
Grazie.
IRENE LAMI
LUNEDI’ 19
Oggi è il primo giorno di viaggio, dopo ben due ore di ritardo siamo partiti da Firenze per Oswiecim. La prima impressione che abbiamo avuto del treno non è stata delle migliori, ma piano piano ci stiamo ambientando, , dovremmo arrivare alla stazione polacca alle 7.30 circa di domani mattina.
Nel pomeriggio abbiamo partecipato all’incontro con la comunità ebraica, non mi ha colpito particolarmente, anche se alcuni interventi sono stati interessanti: “La persecuzione degli ebrei è un dramma per l’intera umanità, Dio dove era, si domandano tutti, ma la domanda da porsi è dove era l’uomo”. Questa frase mi ha colpito molto e mi ha fatto pensare, la follia del nazismo no è stata voluta da Dio, ma dall’uomo.
In questo momento siamo in Germania e ci stiamo avvicinando sempre di più ad Auschwitz, è una sensazione strana quello che provo, difficile da spiegare, magari alcuni deportati fecero il nostro stesso percorso in condizioni disumane, e tanti di loro nemmeno arrivarono.
Domani il treno arriverà al campo di Auschwitz 2 – Birkenau, dove scenderemo.
Sinceramente sono un po’ agitata, ma preferisco dire emozionata , non so descrivere con precisione cosa provo realmente, sicuramente ho molta curiosità di vedere e capire per poi riportare la mia esperienza.
MARTEDI’ 20
Stamani abbiamo visitato il campo di Birkenau: è stata un’esperienza unica che porterò sempre nella mia mente. L’entrata che abbiamo varcato non era la principale, ma la sensazione che ho provato in un primo momento è stata di massimo stupore e curiosità, ho ascoltato la guida in silenzio, guardandomi in giro e cercando di cogliere ogni minimo particolare e ogni minima sensazione che il campo mi poteva trasmettere, perché so che questa esperienza sarà irripetibile. Ho camminato nel campo come si cammina in un cimitero, il cielo era scuro e trasmetteva molta tristezza: tutto in regola con il percorso che stavamo facendo.
Abbiamo visitato la baracca delle donne, quella dei bambini, le macerie delle camere a gas e dei forni crematori ed altri molti luoghi del campo. Tutto mi ha colpito, lasciandomi ogni volta senza parole, perché nel momento in cui vedi questi pezzi di storia ti senti piccola, non sai mai se quello che senti è appropriato, appropriato per vari motivi e ti fai mille domande.
Davvero un uomo poteva fare cose simili? Com’è possibile che la mente umana abbia potuto progettare qualcosa di così terribile? Quel campo è così preciso e studiato in ogni minimo particolare, tutto ha il suo crudele perché e tutto ti fa pensare di essere così piccola rispetto a tutto quello che ci circonda.
Alla fine della visita si è svolta la cerimonia commemorativa, dove ognuno di noi studenti ha pronunciato al microfono il nome, il cognome e l’età di un deportato che gli era stato assegnato prima della partenza. Il mio era era “Mario Abenaim di 28 anni”. Al termine siamo usciti in corteo. Ogni tanto mi voltavo e osservavo quell’immenso campo che ha segnato così tanto la storia dell’umanità. Io ero lì e sono stata fortunata perché sono uscita, tanti deportati non ce l’hanno fatta. Mi sono immaginata Birkenau negli anni della deportazione ed è stato difficilissimo perché in realtà quella mattina non capivo realmente dove mi trovavo.
Nel pomeriggio ci siamo trasferiti nel cinema Kiow a Cracovia, lì abbiamo prima assistito allo spettacolo di Enrico Fink, ebreo, che ci ha raccontato in modo molto particolare coinvolgendoci molto, la storia “non ancora terminata” del suo bisnonno, poi c’è stata la testimonianza di Vera Vigevani Jarach, una signora incredibile, con un gran sorriso, che mi ha emozionato molto facendomi pensare. La vita nei suoi confronti è stata dura, ma lei non si è arresa e ha continuato a combattere, è stata un esempio e le sue parole sono state molto importanti per me, le ricorderò per tutta la mia vita. Avrei voluto stringerle la mano e farle i complimenti per la grande donna che ha dimostrato di essere nella sua vita, ma purtroppo non ne ho avuto la possibilità, spero di farcela nei prossimi giorni.….
MERCOLEDI’ 21
Stamani abbiamo visitato Auschwitz 1, definito anche come “Campo madre”, dove la follia nazista si è rivelata totalmente. L’effetto che mi ha fatto è stato completamente diverso da Birkenau, sembra una vera città con edifici in muratura. Le persone che vi entravano, immagino potessero scambiare quel luogo come un posto sereno o quantomeno non come un posto di morte. Purtroppo era un luogo dove avvenivano le peggiori torture, uccisioni a sangue freddo e di massa,impiccagioni e molto altro.…Tutto era perfettamente calcolato nei minimi dettagli, con estrema precisione.
I blocchi che più mi hanno lasciata senza fiato sono stati il 10, detto “blocco degli esperimenti”, che però non è visitabile, e l’11, il “Blocco delle torture e della morte”, quello che più mi ha emozionato e mi ha fatto pensare a come sia stato possibile che la mente umana sia stata capace di fare cose simili.
Di forte impatto, è stato il “muro della morte”. A mio avviso quel luogo lascia senza parole, non riesco neppure a descrivere quello che si prova. I vari blocchi sono stati adibiti a museo, anche questi sono molto interessanti.
I “capelli delle donne”conservati per tutto questo tempo, mi hanno emozionato e sono rimasta ad osservarli per un paio di minuti, come se volessi ricordare tutte quelle donne che sono state lì e che come me avevano dei sogni, delle speranze. Pensare che qualcuno abbia potuto interrompere tutto questo è tremendo.
La visita è stata interessante e costruttiva, anche se mi sarebbe piaciuto rimanere di più per cercare di capire ogni singolo particolare del campo.
Abbiamo varcato l’ingresso superando la scritta “Arbeit macht frei” e siamo anche usciti dalla stessa parte, tante persone invece non ce l’hanno mai fatta e ricordare questo è tremendo, ma anche importante.
Abbiamo camminato in quel campo come si cammina in un cimitero proprio come a Birkenau, ricordando tutte quelle persone che non ce l’hanno fatta.
Ogni tanto provavo ad immaginare di essere una di quelle vittime, ma in realtà non ci sono mai riuscita, forse perché rifiutavo questa idea, rifiutavo il fatto di essere una di loro, perché quello che è avvenuto in questo campo, nei campi, è qualcosa di tremendo che è difficile provare ad immaginare, sì ci posso provare, ma pur avvicinandomi molto, non riuscirò a capire il vero dolore, la sofferenza, la stanchezza.…che i deportati provavano.
Qui l’uomo è stato un carnefice, ma possiamo essere sicuri che tutto ciò non potrà mai più accadere? Io non ne sono così convinta e fino a che mi verrà chiesto racconterò la mia esperienza e mi documenterò sempre di più. È difficile da scrivere in queste pagine, ma io sono convinta del fatto che la persecuzione nazifascista durante la seconda guerra mondiale sia stata una tremenda piaga per l’umanità e che l’uomo può spingersi ovunque, quindi dobbiamo ricordare per non dimenticare mai e per far si che tutto ciò non avvenga mai più.
Nel pomeriggio siamo tornati al cinema Kiow dove abbiamo ascoltato la testimonianza delle sorelle Bucci, di Marcello Martini, di Vera Salomon Michelin. Di quest’ultima non ne conoscevo la storia, ma mi ha colpito moltissimo, è una donna fortissima che crede in quello che fa e soprattutto in quello che ha fatto. Le sue parole, ricche di cultura, esperienza, emozione, coraggio e voglia di raccontare mi hanno fatto pensare ed ho capito che nella vita bisogna seguire un ideale fino in fondo senza mai arrendersi, così, consapevoli dei nostri valori e delle nostre parole, nessuno potrà mai fermarci.
GIOVEDI’ 22
Oggi è stato un giorno tranquillo, siamo usciti per visitare la città di Cracovia, una delle città più importanti della Polonia, bellissima (…). Nel pomeriggio abbiamo preso il treno, con le nostre tante sensazioni, emozioni e pensieri, torniamo verso casa.
VENERDI’ 23
Pian piano ci avviciniamo a casa, il viaggio sarà lungo e c’è tempo per pensare. È stato un viaggio indimenticabile che porterò con me per tutta la vita, mi è servito molto, per la persona che sono. Ho ascoltato le testimonianze e mi hanno fatto riflettere.
Sono già tornata da un viaggio simile, quattro anni fa, da Mathausen, ma non è stato come questo, adesso sono più grande e più consapevole di me stessa e di ciò che mi circonda .
Avrò tempo per pensare e per riflettere su quello che ho visto parlandone con altre persone e raccontando la mia esperienza. È difficile oggi, solo dopo pochi giorni, trascrivere su un pezzo di carta tutte le emozioni, perché sono tante e molto intense, comunque continuerò sicuramente questo percorso, mi interessa e lo voglio fare.
GIULIA LAMBARDI
LUNEDI’ 19
Ieri sera mi sono addormentata un po’ pensierosa anzi, direi molto turbata.…
E’ strano da dire, ma avevo un po’ di paura, non paura in senso negativo, ma più come non sapere cosa aspettarsi, perché l’esperienza che vivremo sarà unica, forte e diversa per ognuno di noi, e quindi non riesco ad immaginarmi come reagirò davanti alla visione del campo e di tutto il resto.
Mi sento un po’ “scema” in effetti, perché è strano provare paura verso un sentimento che ancora non conosco.…
Stamani mi sono alzata talmente in fretta che non ho neanche realizzato di partire davvero! Viaggio i treno abbastanza piacevole, tra il sonno e l’euforia sono già passate ore e arriviamo alla stazione di Firenze.
Il treno è in ritardo di ben due ore. Si monta finalmente e qui viene il bello.…scopriamo il luogo dove dobbiamo passare ben 20 ore!
Definirla stanzetta è farle un grosso complimento, ma noi bimbe siamo quasi tutte insieme, quindi alla fine ridiamo e basta e il tempo un pochino alla volta passa. Alle 15.30 abbiamo l’incontro con la comunità ebraica, una cosa molto fredda secondo me, o comunque non mi ha dato l’impressione di una cosa ben organizzata. L’argomento, beh lo conosciamo bene, ma mi ha colpito molto l’intervento di una signora che ci ha ricordato una cosa molto importante, soprattutto una frase mi è rimasta parecchio impressa, “durante quell’orrore alcuni si chiesero Ma Dio dov’era?, ma sarebbe più giusto chiedersi Ma l’uomo dov’era?”.
Finito l’incontro torniamo nel nostro buchetto, la noia è tanta…ma si prova ad ammazzare il tempo. Fuori c’è la neve, bella si, e fredda, noi abbiamo il riscaldamento, ma mi vengono subito in mente le persone che facevano lo stesso percorso in un vagone bestiame in condizioni disumane, al freddo, igiene inesistente, paura, pensieri…boh!
Cena che non si può definire tale, ma mangiabile dai, da buona scout, mi accontento di poco. Adesso il sonno ci assale, domani ci aspetta una bella giornatona.
MARTEDI’ 20
Si comincia questa giornata molto presto, il treno arriva ad Oswiecim e con l’autobus ci dirigiamo verso la nostra prima vera meta, Auschwitz 2 – Birkenau.
Non c’è neve, fa freddino, ma meno del previsto. Arrivati al campo non ci è possibile entrare dall’ingresso principale per l’allestimento preparato in occasione delle celebrazioni per il 70° anniversario della liberazione, quindi non possiamo vedere il famoso cancello con la scritta mortale. La trovo una cosa abbastanza stupida coprire una parte così importante e significativa di un luogo come questo. Mi è dispiaciuto veramente tanto non entrare da quel cancello, non salire su quella torre da cui “il persecutore” aveva una completa visione ed un controllo preciso del campo…ma questo non ha cambiato l’atmosfera ed il clima che si percepisce in un posto come questo.
Già avvicinandomi con l’autobus al campo ho iniziato a sentirmi strana, mi si è chiuso lo stomaco; ciò che avevo sempre visto nei film e nei documentari, letto nei libri, stava lì, davanti a me, era tutto come lo descrivono, freddo e cupo, reale…non che non lo sapessi, ma vedere le cose con i propri occhi, fa sempre uno strano effetto.
Le baracche sono come i tedeschi le hanno lasciate, niente è stato toccato o ricostruito, non c’è da spiegare come era il campo, perché chi vede capisce e immagina, ricorda, attualizza, critica e ne soffre.
È veramente enorme quella distesa di erba e di baracche, quella terra che un tempo era ricoperta di neve e di fango, quella stessa terra che i deportati hanno calpestato e su cui sono morti.
La guida l’ho seguita volentieri, mi sono sentita parte dei suoi racconti a volte, forse perché era molto coinvolta, avendo perso dei parenti a Birkenau. Quando una persona racconta fatti storici con enfasi, ti rende partecipe e riesce a coinvolgerti, facendoti provare gli stessi suoi sentimenti.…io sono un po’ timida per certe cose e mi tengo tutte le emozioni dentro, e così ho fatto davanti a quelle baracche e ai racconti della guida. I sentimenti che si provano in queste occasioni non si possono spiegare a parole.
Il mio primo pensiero, toccando i muri e le file dei letti di legno è stato quello di riflettere e non vedere quelle cose come semplici oggetti, ma prendere coscienza che nel punto in cui io stavo mettendo la mano, magari un uomo o una donna avevano posato il loro corpo privo di forze, abbandonandosi alla morte. In questo modo ogni cosa che vedevo mi faceva ricordare e immaginare, mi faceva venire i brividi.
Dopo la visita del campo partecipiamo alla cerimonia; infine noi studenti arriviamo al monumento in onore di tutte le vittime, tra i due crematori nel campo di betulle, e qui leggiamo al microfono il nome d un deportato a noi assegnato e la sua età al momento della deportazione. Mentre gli altri leggevano mi sono resa conto che veramente tantissimi bambini sono morti appena arrivati al campo oppure poco dopo. Per chiudere la cerimonia, dopo alcune preghiere, ascoltiamo un canto in ebraico che mi ha colpito e mi ha ricordato un altra canzone molto bella, anche questa in ebraico.
Il pomeriggio ci trasferiamo al teatro di Cracovia dove l’incontro viene aperto da uno spettacolo di Enrico Fink. Molto interessante è stata la testimonianza di Vera Vigevani Jarch, che non avevo mai sentito e che mi ha fatto scoprire dei particolari nuovi su avvenimenti più attuali, come i desaparecidos. Questa donna ha una forza pazzesca, è riuscita a coinvolgermi nel suo racconto con poche parole, ha novanta anni è veramente ammirevole dimostrare una lucidità, intelligenza e forza tali da sapere trasmettere a tantissimi giovani la propria testimonianza. Nella sua vita ha dovuto affrontare situazioni dure, non so quanti al suo posto avrebbero avuto il suo coraggio. Perdere una figlia in certe condizioni è un grande trauma, io non penso che per lei sia stato facile iniziare a raccontare e sentire le critiche delle persone che negano tutto, ma lei è riuscita a superare l’accaduto con prontezza e senza perdersi d’animo, e questo è davvero nobile. Gli insegnamenti che ci ha dato non li dimenticherò facilmente, mi ha insegnato tanto soltanto parlando ed aprendosi con noi e dopo questa giornata intensa è stata la ciliegina sulla torta.
MERCOLEDI’ 21
Stamani ci aspetta la visita ad Auschwitz 1, accompagnata dalla guida. La prima cosa che ho pensato davanti al cancello è stato il paragone con le baracche in legno di Birkenau. Qui è tutto in muratura.. in confronto a ieri sembra un luogo di villeggiatura. Se a me fa questo effetto non oso immaginare cosa abbiano pensato i deportati all’arrivo dei convogli, inconsapevoli della loro sorte e della loro “vita” all’interno del campo, se così si può chiamare. La visita si svolge molto di fretta quindi non abbiamo la possibilità di vedere tutto, ma basta poco per farmi iniziare a preoccupare. Non so perché, ma vedere gli oggetti che sono stati ritrovati mi ha dato parecchia noia; davanti alla stanza dei capelli mi è venuto mal di stomaco, una sensazione veramente strana.. non riesco davvero a guardare quegli oggetti senza stare male. Forse perché sono la cosa più diretta che abbiamo e sapere che c’è gente che nega ancora cosa è successo fa riflettere e fa venire una rabbia immensa.
Le sensazione che si provano davanti al muro della morte non si possono leggere sui libri come quelle che si hanno entrando nel blocco 11, o passeggiando fra le baracche di Birkenau: ti fanno crescere e ti cambiano il modo di affrontare certe situazioni.
È stato importante anche vedere la villa del comandante del campo, posizionata subito accanto ai blocchi, che mi ha fatto provare una vergogna infinita perché ho pensato alla moglie e ai figli di quel mostro (solo così lo posso definire) che erano certamente al corrente del suo lavoro e della crudeltà di quel campo. Ogni tanto mentre si svolgeva la visita pensavo a cosa avrei fatto se fossi stata io al posto di quegli uomini e di quelle donne, dove sarei stata portata, quale categoria sarei stata e quanto sarei sopravvissuta.. e ogni volta non riuscivo a darmi una risposta. È veramente troppo difficile spiegare le mille sensazioni e mozioni che ho provato, perché anche io non riconoscerle, mi hanno lasciato senza parole, ogni tanto qualche lacrima scendeva da sola lo stomaco si chiudeva e la testa mi faceva male ma anche tanta rabbia mi faceva riflette.
Con le testimonianze del pomeriggio questi pensieri sono aumentati Marcello Martini avevo già avuto modo di sentirle l’anno scorso anche se mi ha fatto molto piacere avere nuovi particolari e risposte su temi diversi. Vera Salomon, non l’avevo mai ascoltata, è stata una grande emozione vedere con quale spirito e coraggio ha raccontato la sua storia e mi ha stupito molto sapere la sua età: 92 anni. Le due sorelle Bucci sono due donne fantastiche, dolcissime, piene di forza, valori da trasmettere, ed anche se era la terza volta che ascoltavo la loro testimonianza, ogni volta riescono sempre a farmi commuovere. È proprio dalla forza, dal coraggio, e dalla voglia di raccontare di queste persone che dobbiamo prendere esempio, non facendo atti eroici, ma iniziando dalle piccole cose, dalla quotidianità di tutti i giorni.
Sono stata molto contenta di aver vissuto questi giorni molto intensi, ma speciali e unici, di aver provato tutte quelle emozioni e di essermi fatta molte domande, riuscendo però a dare una risposta ai miei tanti dubbi e aspettative prima del viaggio. Probabilmente facendo la stessa esperienza in un altro momento della mia vita, avrei provato sentimenti diversi ma forse questo è stato il momento giusto, è stata la “chiusura”, ma anche l’inizio di un percorso che mi ha aiutato a crescere e a “maturare”, parolona a cui affido un significato speciale e diverso da quello che sentiamo pronunciare nelle nostre aule scolastiche, perché è grazie a certe esperienze che si forma la coscienza delle persone e che si è pronti a raccontare la propria “testimonianza” agli altri.
ALESSANDRO BILAGHI
LUNEDI’ 19 e MARTEDI’ 20
Si parte con due ore di ritardo:carrozza 14, scompartimento 9.Verso le 16.00 assistiamo alla conferenza su omosessuali e shoah, contrassegnati con un triangolo rosa e visti negativamente anche dagli altri prigionieri; poi l’argomento si è però incentrato sulla discriminazione nei confronti dei gay oggi. Ritornando nei nostri scompartimenti abbiamo considerato che a noi sarebbe interessato conoscere meglio come hanno vissuto all’interno dei campi gli omosessuali perché è un capitolo che non conosciamo molto.
Dopo un interminabile viaggio siamo finalmente arrivati alla stazione di Oswiecim dove i pullman ci attendevano per portarci ad Auschwitz – Birkenau.
Nella mia mente il vuoto totale, come prima di entrare a Dachau lo scorso anno. La guida ci ha trasportato con le sue emozioni, ci ha spiegato e fatto immergere all’interno dei fatti accaduti in quel luogo, ci ha fatto tornare indietro nel tempo. Abbiamo ripercorso la strada di migliaia di deportati, quella strada ricoperta ancora di ceneri rimaste lì, ceneri che sembrano impregnare l’aria e ogni filo d’erba. Prima di uscire dal campo abbiamo formato un corteo e detto il nome e l’età di un prigioniero. Quei nomi riecheggiavano in quel posto tetro come se ogni anima elencata fosse al nostro fianco cercando di sostenerci e di farci impegnare a diventare persone migliori.
MERCOLEDI’ 21
Oggi visita ad Auschwitz I; appena entrati le emozioni sono affiorate una dopo l’altra, sempre più intense. Nonostante aver visto foto, ricevuto notizie storiche per prepararci al viaggio, finchè non vedi con i tuoi occhi non puoi immaginare…
Il luogo che mi ha lasciato senza parole è la teca piena di scarpe, soprattutto quelle dei bambini che sono la parte più innocente. E ti chiedi:« perché hanno dovuto subire tutte queste pene?».
Non sono riuscito a darmi una risposta. Altra teca che mi ha lasciato allibito è quella dei capelli; ti rendi conto della volontà di privare le persone della loro dignità, riducendole ad oggetti, numeri, vermi…
Il pomeriggio abbiamo ascoltato le testimonianze dei sopravvissuti che avevo già incontrato al Mandela forum lo scorso anno, ma che ogni volta mi fanno rivivere delle emozioni che non so neppure spiegare, ma che rimarranno dentro di me per sempre.
GIOVEDI’ 22
Stiamo per ritornare sul treno,vedo Cracovia con occhi diversi. E’ come se al nostro fianco ci fossero uomini, donne e bambini pronti a tornare a casa con noi. Saliamo sul treno. Dopo questa esperienza mi sento un uomo nuovo, un uomo cresciuto, portando a galla verità nascoste e rimaste celate tra le numerose betulle, tra le baracche chiuse.
Venire a conoscenza di queste atrocità ti permette di vedere il mondo con una mentalità più chiara, svelando tutto quello che il sistema ci nasconde giorno dopo giorno. Sostengo che questo viaggio andrebbe fatto vivere a molte persone e in particolare ai negazionisti e a tutti coloro che hanno ancora idee naziste, fasciste, razziste e il pensiero va a Lampedusa dove migliaia di persone sbarcano cercando un posto migliore, una terra promessa e spesso trovano “muri”. Questa esperienza può farci cambiare ed aiutarci a costruire un mondo migliore per noi, per i nostri figli, per le generazioni future.
MATTEO BARTOLI
LUNEDI’ 19
Dopo tanta attesa, tanti incontri di preparazione e qualche preoccupazione è arrivato il giorno della partenza. In treno l’incontro non scelto, ma apprezzato con il rappresentante del movimento gay e lesbiche di Firenze. In realtà se non fosse per la preparazione fatta con le nostre professoresse, avrei capito poco perché non c’è stato spiegato il contesto storico. In Germania gli omosessuali vennero perseguitati e arrestati secondo le leggi vigenti, ma anche in Italia i gay venivano perseguitati e mandati in esilio. Purtroppo nei campi furono tra i più disprezzati e le persecuzioni continuarono anche dopo la guerra. Dopo un “ottima” cena siamo andati a dormire sapendo che il giorno seguente saremmo giunti nel luogo dove milioni di persone hanno perso la vita: Auschwitz – Birkenau. Ero molto emozionato e non vedevo l’ora di vistare il campo di sterminio più grande mai costruito.
Mi sono detto:” Ho avuto questa opportunità e devo sfruttarla al massimo”
MARTEDI’ 20
La notte passa velocemente, arriviamo alla stazione di Oswiecim e ancora non ero consapevole di cosa mi aspettasse. Subito la guida ci dice che a causa dei preparativi per la cerimonia ufficiale del 27 non possiamo entrare dall’ingresso principale, simbolo di Auschwitz.
Ho pensato che questo non mi avrebbe fatto provare le stesse emozioni ma, appena entrato sono rimasto stupito nel vedere la grandezza del campo. Le emozioni poi sono arrivate quando siamo entrati nella baracca del blocco femminile,detto “ospedale: un brivido mi percorre la schiena pensando che la porta che tocco con la mia mano è stata toccata da altre persone vissute e morte lì, che cammino sullo stesso suolo percorso da molti deportati, che sto osservando i letti dove dormivano ammassate fino a 12 persone……..rimango senza parole; è difficile spiegare, cerco solo di immedesimarmi in loro ma certo è difficile.
Poi vistiamo latrine e lavabi e poi…la baracca dei bambini dove ho provato l’emozione più grande; entrando pensi che lì ci sono stati bambini che avranno urlato di paura o pianto perché li hanno divisi dalla loro mamma. Come è stato possibile togliere l’infanzia a dei bambini? Su 2.000.000 bambini entrati nei campi solo pochissimi sono sopravvissuti.
Poi ci siamo diretti alla juden rampe binario costruito per migliorare l’efficienza del campo. Su quella rampa i prigionieri venivano subito selezionati, gli inabili al lavoro mandati subito al crematorio, gli altri,come ci faceva notare la guida, ad aspettare la morte che sarebbe arrivata per malattia o per la fatica, la fame……per non parlare di coloro che morivano direttamente nel vagone bestiame, anch’esso esposto nel campo, una stalla mobile che poteva contenere fino ad 80 persone, in piedi,al buio,senza mangiare e bere per giorni con un secchio in un angolo dove fare i bisogni….quasi impossibile rimanere in vita.
Poi abbiamo percorso la stessa strada che i perseguitati facevano verso la morte, arrivando alle macerie de crematori che i tedeschi hanno distrutto. Mi ha colpito l’enormità del complesso del crematorio e la quantità di persone che potevano bruciare in un giorno (7000).Abbiamo notato lì intorno dei laghetti: i tedeschi li hanno costruiti per gettarvi le ceneri.
Quando la guida ce l’ha spiegato ho avuto come l’impressione di sentirle le persone che lì hanno urlato, sofferto, chiesto aiuto forse. Dopo ci siamo recati al monumento che ricorda le vittime e abbiamo pronunciato ognuno il nome di un internato e l’età: una cerimonia molto commovente anche se non tutti tenevano un comportamento adeguato, forse non avevano svolto un percorso adeguato di preparazione o forse erano solo dei menefreghisti.
Dopo la cerimonia siamo andati in un teatro a Cracovia dove abbiamo seguito uno spettacolo di Enrico Fink molto toccante che parlava dei suoi antenati perseguitati .Dopo abbiamo ascoltato la testimonianza di Vera Jarak che ha perso il nonno ad Auschwitz e la figlia di soli 18 anni in Argentina, desaparecidos uccisa con i voli della morte..
La sua testimonianza mi ha emozionato molto, ma mi ha impressionato di più la forza che la donna ha avuto nel raccontare e nel continuare a vivere. Conclusa la serata siamo arrivati in hotel dove finalmente ci siamo potuti riposare ma anche ripensare a quello che abbiamo visto e di cui dobbiamo farne tesoro.
MERCOLEDI’ 21
Sveglia alle 6,00 e dopo colazione si va a visitare il campo madre, Auschwitz 1, campo di lavoro molto più piccolo di Birkenau. Entrati ci troviamo subito di fronte il cancello con la famosa scritta “Arbeit macht frei”, diventata simbolo della persecuzione nazista. La cosa che salta subito agli occhi è che il campo è in mezzo alla città e visibilissimo da tutti, impossibile dire di non sapere o non aver visto nulla.
Il campo si presenta come una piccola cittadina con strutture in muratura e viuzze, ma recintate dal filo spinato. Una cerimonia per ricordare le vittime di questo campo davanti al muro della morte, poi la visita al museo nei vari blocchi del campo. Prima di entrare la guida ci fa notare, poco lontana, la villa del comandante del campo, villa dove viveva con la famiglia, come se niente fosse, dove ha allevato dei figli.
Entriamo nel primo blocco, dove vediamo come lo sterminio avveniva e per prima vediamo un’urna con le ceneri dei prigionieri e una targa in loro memoria, poi una montagna di barattoli vuoti di ziklon b. La visita al blocco 4 si conclude con la più agghiacciante e raccapricciante delle visioni: una stanza alla cui sinistra si ergeva una montagna di capelli, un’immagine che porterò sempre impressa nella mia mente, capelli di persone morte, venduti e usati per fare delle stoffe. Al solo pensiero mi viene il voltastomaco.
Esco dal blocco un po’ sconvolto per entrare nel blocco 5 che mostra gli oggetti dei prigionieri ritrovati nei magazzini del “Canada”: vedere scarpe di tutti i numeri da neonati, bambini, donne, uomini, occhiali, pentole, rasoi, cucchiai, mi ha colpito molto, ma soprattutto la montagna di scarpe ……..Poi siamo passati al blocco 10, quello delle carceri, dove i prigionieri venivano lasciati morire .
Nel pomeriggio ancora al cinema per ascoltare le testimonianze dei sopravvissuti Marcello Martini, Vera Michelin Salomon , Andra e Tatiana Bucci. E’ una fortuna poter ascoltare i loro toccanti racconti perché vedere solamente un luogo non serve a nulla se non abbiamo una adeguata preparazione storica ma anche se non sappiamo veramente cosa è accaduto e chi meglio dei testimoni può dirci cosa è successo dal momento che lo hanno vissuto in prima persona .
Mi sono immedesimato soprattutto nella storia delle sorelle Bucci perché, pur essendo bambine hanno avuto la forza di riuscire a sfruttare ogni occasione possibile per sopravvivere. Finito l’incontro siamo tornati in albergo e mentre preparavo le valige pensavo a quando i deportati dovettero preparare le loro, per lasciare per sempre la loro vita e mi sono reso conto di avere un bagaglio in più rispetto all’andata, un bagaglio di emozioni, conoscenze, paura che possa accadere di nuovo, ma soprattutto il coraggio di evitare che possa accadere di nuovo, perché siamo noi che dobbiamo costruire il futuro. Sono molto soddisfatto di ciò che ho imparato e spero che altri possano avere la fortuna di fare questa esperienza perché la conoscenza ci permetta di non restare in silenzio perché non c’è cosa peggiore del silenzio .
GABRIELE TATONI
LUNEDI’ 19
E’ arrivato il giorno della partenza, ho avuto la grande fortuna di partecipare a questo viaggio e così mi alzo dal letto pieno di euforia, ma anche di domande e di timori di visitare quel luogo teatro di orrori e atrocità che ho visto solo nei documentari e letto nei libri.
Si parte con due ore di ritardo, negli scompartimenti non c è molto spazio ma va bene così, se pensiamo a quanti milioni di persone hanno affrontato questo viaggio in carri bestiame.
Durante il viaggio incontro con esponente di arci gay di Firenze, deludente, che ha ruotato intorno alla attualizzazione del problema, ma senza darci un quadro storico.
Mi addormento guardando fuori dal finestrino senza rendermi conto di dove siamo, mi sento impotente sul quel treno che corre in mezzo all’Europa; non oso pensare cosa sia passato per la testa di quelle persone che questo viaggio lo hanno passato come animali, strappati dalle loro case per una destinazione ignota, forse non so nemmeno spiegare bene questi miei pensieri e sensazioni ….poi mi addormento aspettando con ansia l’arrivo ad Auschwitz, domattina.
MARTEDI’ 20
Mi sveglio a poca distanza dall’arrivo alla stazione e senza pensarci due volte mi preparo al freddo polacco, ma soprattutto alla lunga e pesante giornata sia fisicamente che psicologicamente.
Scendiamo dal treno e subito un pullman ci porta ad Auschwitz — Birkenau ed eccolo qua, improvvisamente me lo trovo davanti, una distesa di baracche e filo spinato in mezzo ai boschi come un mostro che si nasconde tra gli alberi. E’ tutto tranquillo, calmo ed è proprio la tranquillità e la precisione di quel luogo a farmi paura; è come se vedessi le persone stremate, distrutte dalla malattia e dalla fame….mi si chiude lo stomaco, una strana sensazione, non riesco a spiegare bene..Rimango deluso, però, da quell’enorme tendone bianco che ricopre la torretta dell’entrata principale.
Entriamo da un cancello laterale e ci raduniamo intorno alla guida che è stata fantastica:sapeva parlare, ci coinvolgeva, ci faceva emozionare anche perché la sua famiglia è stata coinvolta direttamente nello sterminio.
Qui non è stato toccato nulla di quello che i tedeschi aveano maniacalmente pianificato, una macchina perfetta, mortale.
Entrare nella baracca mi toglie il fiato; vedere letti su cui hanno dormito tante persone, hanno sofferto, patito la fame e il freddo; vedere i disegni sui muri che cercavano di rendere quel luogo un po’ più familiare, allegro. Credo proprio che in certe situazioni ci si aggrappi a tutto pur di andare avanti anche un solo giorno.
La cosa più incredibile è camminare e vedere quei luoghi che abbiamo sempre visto sui libri di storia, nei documentari e adesso sono qua a vederli con i miei occhi e penso che sia un’esperienza da fare almeno una volta nella vita. Se non vediamo è impossibile capire veramente questo luogo, così come non è possibile capirlo se non sei preparato .Poi la cerimonia della pronuncia dei nomi e dell’età delle vittime: sentir risuonare quei nomi è stato molto bello, come se quelle persone non fossero mai state uccise. L’unica cosa che mi ha fatto pena è vedere alcuni studenti e insegnanti a sedere indifferenti su muretti a fumare.
Dopo pranzo ci siamo spostati a Cracovia dove abbiamo incontrato Vera. Durante il suo intervento sono rimasto colpito e affascinato dalla forza, nonostante l’età, e dall’allegria di questa donna nonostante tutto ciò che le è accaduto….incontro coinvolgente, carattere da prendere come modello.
MERCOLEDI’ 21
Oggi visitiamo il campo madre, ben diverso da Birkenau così come le emozioni. Sono davanti alla famosa scritta “Arbeit Mach frei”: il campo sembra una città spettrale e abbandonata, ma le emozioni più forti sono arrivate visitando i blocchi-musei e soprattutto di fronte a capelli, valigie, scarpe e ogni genere di oggetti personali, oggetti recuperati dalla macchina spietata e perfetta del nazismo che ha fatto di tutto per guadagnare da ogni oggetto…….si prova una sensazione veramente indescrivibile.
Durante il pomeriggio siamo tornati a teatro per ascoltare testimonianze già sentite al Mandela Forum lo scorso anno, ma questa volta, dopo aver visitato i campi e dopo aver fatto un determinato percorso con il progetto Storia e Memoria, ho vissuto queste testimonianze molto più direttamente ed emotivamente. Rimango colpito dalla forza e serenità con cui raccontano le loro storie e tornano nei luoghi dove sono stati privati di ogni dignità.
Domani visiteremo Cracovia e poi ripartiremo con la consapevolezza di aver vissuto una bellissima esperienza e di aver capito che tutte le atrocità commesse non sono frutto di una mente malata, ma di ingegneri, architetti, medici, fuori dai campi anche con una famiglia “normale”, non si è trattato di mostri ed è proprio questa normalità che fa paura, questo consenso.
Mi vengono in mente le parole di un preside americano che sono state lette nelle nostre classi, dove si chiede agli insegnanti di istruire gli studenti non a diventare degli Heichmann istruiti, ma delle persone. È un discorso che mi è rimasto impresso fin dalla prima volta che l’ho letto e lo porto come insegnamento, come modello di ispirazione per l’insegnamento scolastico, come lezione di umanità, ma oggi lo faccio mio anche come riassunto di questa esperienza ad Auschwitz per ricordare e non ripetere in futuro.
ALESSIO PINOTTI
LUNEDI’ 19
Finalmente si parte. Le ore in treno sono interminabili. Ho chiesto ad alcuni ragazzi che lo scorso anno erano stati a Dachau le impressioni provate a visitare un campo di concentramento dato che per me è il primo viaggio della MEMORIA, perché un conto è leggere, un conto ascoltare chi ha fatto un’esperienza sul campo. Durante il viaggio incontro con rappresentante della comunità gay di Firenze poi ‚durante la notte, ho pensato a come dovessero sentirsi i prigionieri dentro quei carri bestiame……
MARTEDÌ’ 20
Arriviamo ad Oswiecim e saliamo subito sui pullman che ci portano a Birkenau e lì mi rendo conto di aver fatto lo stesso percorso di migliaia di deportati.
Arriviamo: quello che vedo davanti ai miei occhi è un enorme campo e non possiamo neppure immaginare in quali condizioni vivessero oltre 2.000.000 persone.
La nostra guida è una polacca che ha perso i nonni proprio qui, in questo campo e voleva trasmetterci non solo notizie, ma anche sentimenti ed emozioni. Abbiamo visitato la parte femminile del campo: la baracca della morte e quella dei bambini scelti da Mengele per gli esperimenti. Poi ci siamo dirette verso i resti dei crematori dove migliaia di persone sono morte soffocate con il zyclon b e le loro ceneri sono state disperse in quell’enorme campo. Dopa la cerimonia di ricordo con la lettura dei nomi ed età delle vittime ci siamo recati ad un cinema di Cracovia dove abbiamo ascoltato le testimonianze di Enrico Fink e di Vera Vigevani Jarach.
MERCOLEDÌ’ 21
Oggi visitiamo Auschwitz, campo di lavoro come ci fa subito ricordare la famosa e beffarda scritta “Arbeit match frei” che sembra una presa in giro come l’orchestra che accoglieva i prigionieri con allegre marcette..Abbiamo visitato la camera a gas e i due forni crematori adiacenti: esperienza incredibile che non si può descrivere.
Come è possibile fare quello che facevano e poi dichiararsi non responsabili?
Abbiamo poi sostato di fronte al muro della morte, ma quello che mi ha fatto più effetto, all’interno dei blocchi museo, sono le vetrine con gli oggetti ritrovati nei magazzini: valige, scarpe….tutto ciò che pensavano di riprendere una volta a destinazione e che invece gli veniva tolto dai propri aguzzini.
Il pomeriggio abbiamo assistito alle testimonianze di Marcello Martini,Vera Michelin e le due sorelle Bucci ed è stato molto bello condividere queste loro esperienze. Il viaggio mi ha fatto provare più volte ad immedesimarmi nei deportati ed anche se sono consapevole che non è possibile provare le loro sensazioni, posso comunque concludere che ciò che è stato fatto non dovrebbe accadere mai più.
GABRIELE MAURIZI
LUNEDI’ 19
Partiamo: salgo sul treno e nella mia carrozza non conosco nessuno ma nel giro di poco tempo faccio amicizia. Dopo un po’ ci chiamano per un dibattito sulla deportazione dei gay: è stato molto interessante perché affrontiamo argomenti come stili di vita e integrazione. La nottata l’ho passata praticamente senza dormire…..
MARTEDÌ’ 20
Arriviamo in Polonia quasi alle otto e ad Oswiecim ci aspetta il pullman per portarci a Birkenau. All’entrata è stato come rivedere tutti quei video dove migliaia e migliaia di persone camminavano lungo questa strada, ignorando tutto ciò che gli stava per capitare. Mano a mano che cammino per questo campo mi chiedo come la cattiveria umana non abbia limiti fino ad illudere la gente di fare una doccia per ucciderli asfissiandoli con il gas……..
Il pomeriggio a Cracovia abbiamo assistito prima ad uno spettacolo teatrale, poi all’incontro con Vera Vigevani Jarach, una donna impressionante, unica, fantastica che ci ha raccontato la sua incredibile storia e mi ha fatto tornare con i piedi per terra.
MERCOLEDÌ’ 21
Sveglia all’alba, colazione veloce e via verso Auschwitz I; ad una prima occhiata non sembra quell’inferno che si dice; begli edifici, strade tenute bene… ma è bastato poco per farmi cambiare idea ed è stato anche peggio di Birkenau. Il pomeriggio abbiamo incontrato quattro sopravvissuti: Marcello Martini, Vera Michelin Salomon e le sorelle Bucci. Le loro storie sono storie di vita a dir poco uniche, vite dolorose ma che hanno dimostrato la forza e il coraggio di andare avanti e portare la loro testimonianza.
GIOVEDÌ’ 22
Oggi giornata turistica: visitiamo la bella città di Cracovia e nel pomeriggio andiamo verso la stazione. Il momento dei ringraziamenti è stato molto bello, soprattutto quando ci hanno chiesto di abbracciare chi era vicino a noi: è stato spettacolare. Durante il viaggio di ritorno abbiamo potuto di nuovo incontrare le sorelle Bucci ed è stato ancora più emozionante che ascoltarle dal palco.
Dopo un lungo viaggio siamo tornati alle nostre case portando con noi il ricordo di un’esperienza bellissima che ti apre la mente.
GABRIELE FASANO
LUNEDI’ 19
6.30 si parte da Campiglia. Ci aspetta una lungo viaggio verso Auschwitz. A Firenze bruttissima notizia: treno con ritardo di due ore, ma finalmente alle 13.00 saliamo e finalmente partiamo. Durante la notte pensieri negativi, forse dovuti alla scomodità del letto, mi svegliano e mi tormentano, ma alla fine arriva il nuovo giorno e verso le otto siamo a Oswiecim.
MARTEDI’ 20
Scendiamo dal treno e cerchiamo la nostra guida che ci invita a salire sul pullman per Birkenau. Arrivati sul posto la nostra guida, Margherita, ci mostra vari blocchi. Sono dell’opinione che certi luoghi hanno poco bisogno di descrizione e colpiscono ogni persona in modo diverso; ciò che ho provato io è un senso di riluttanza verso l’uomo e quello che riesce a pensare e a costruire..
La situazione di vita in certe baracche non è nemmeno paragonabile alla vita quotidiana di un cane, neppure di una gallina. Sono emozioni che si provano credo una sola volta nella vita, ti lasciano un vuoto dentro e ti fanno riflettere molto anche sulla tua identità. Viene spontaneo chiedersi della propria fine, se ci sarà qualcuno che in futuro perseguiterà la tua razza. Poichè secondo me la storia è un ciclo potrebbe accadere di nuovo, in futuro.
Dopo aver visitato Birkenau in ogni suo angolo ci siamo spostati a Cracovia e l’incontro con Vera mi ha lasciato stupefatto; le sue parole bellissime ci hanno insegnato il senso della vita, il vero significato di “rivalsa” e la grandissima capacità umana di risalire una volta toccato il fondo, senza mai arrendersi.
MERCOLEDI’ 21
Auschwitz I : entrata: primo “colpo” la scritta “Arbeit match frei.”
Ha inizio la nostra visita guidata al campo museo: ci vengono forniti dati, ma soprattutto ci vengono fatti vedere gli oggetti: valigie, scarpe, capelli, forchette, piatti, tutti oggetti che i tedeschi hanno in qualche modo reciclato.
In una vetrina anche le molecole di cyclon b. Tutto questo ha avuto su di me un effetto angosciante, se devo essere sincero ho provato un senso di schifo nei confronti dell’essere umano.
L’emozione più grande l’ho avuta di fronte al libro dei morti; ho iniziato a sfogliarlo per cercare il mio cognome; non ho trovato niente, ma ho letto veramente troppi nomi!!!
Nel pomeriggio torniamo a Cracovia ad ascoltare i superstiti e quello che più mi ha colpito, fin dalla prima volta lo scorso anno quando l’ho sentito al Mandela Forum èp stato Marcello Martini; non so spiegarlo ma la sua storia mi coinvolge molto.
GIOVEDI’ 22
Ci svegliamo presto e visitiamo Cracovia; dopo un pranzo tra i peggiori che io ricordi ci avviamo verso il ritorno. Stavolta sul treno c’erano le sorelle Bucci e Vera Jarach a rispondere alle nostre domande e a raccontarci ancora dettagli delle loro vite..
Purtroppo il viaggio sta terminando e le emozioni e i sentimenti che ci ha suscitato sono molti. Non posso che fare altro che ringraziare le insegnanti e chiunque mi ha fatto compagnia durante questa avventura.
ANDREEA LUPUSOR
Mi chiamo Andreea ed è la prima volta che scrivo un diario e quindi non so se ne sarò capace.
Ieri, 19 gennaio 2015, siamo partiti con tutti gli studenti della Toscana verso la Polonia con il Treno della Memoria per visitare il campo di sterminio di Auschwitz, dove persero la vita tanti Ebrei, Rom, Sinti, omosessuali, Testimoni di Geova, polacchi, russi, prigionieri di guerra e molti altri.
Il treno è partito da Firenze alle 13.15 e siamo arrivati in Polonia il giorno dopo alle 7.30 di mattina.
Nonostante le 20 ore di viaggio, sul treno siamo stati molto meglio in confronto di quei poveracci che venivano caricati sui treni merci, bui, freddi senza una sedia, né cibo, né acqua.
Quando siamo arrivati alla stazione di Oswiecim, abbiamo trovato 16 pulman ad aspettarci per accompagnarci al campo di Auschwitz 2‑Birkenau.
La nostra guida, quel giorno, era una donna che ci ha raccontato nei minimi particolari ogni blocco, ogni parte di quel campo…ci ha raccontato tutto con così tanta passione, affetto, tristezza e tanto dolore perché anche lei, in quel maledetto lager, aveva perso dei familiari, i suoi quattro nonni.
Secondo me non è facile raccontare ciò che è accaduto alle persone a cui vuoi bene e sei legato profondamente…
Quando abbiamo terminato di visitare il campo, siamo andati al Ristorante, Targowa, dove devo dire di aver mangiato bene dato che la cucina polacca assomiglia molto a quella del mio paese.
Finito di mangiare siamo andati al teatro Kijow a Cracovia dove Enrico Fink , attraverso uno spettacolo, ci ha raccontato la sua storia che ha inizio dal ritrovamento di una vecchia giacca che apparteneva al suo nonno, recuperata in un vecchio armadio nella casa di sua nonna. Era l’unico ricordo rimasto del suo caro nonno, una giacca e poche fotografie…che lo hanno spronato a voler conoscere le sue origini. Ci ha fatto sentire quanto era orgoglioso di essere un ebreo e di portare quel cognome…ci ha trasmesso tutte le sue emozioni attraverso la musica e la sua voce.
Dopo c’è stata la testimonianza di Vera Vigevani Jarach, una signora di 86 anni, messa alla prova ben due volte dal destino: primo, essendo ebrea, con le leggi razziali, dovette abbandonare l’Italia, con la sua famiglia per emigrare in Argentina, a Buenos Aires, lasciando i suoi parenti e il suo amato nonno, morti poi nei campi di concentramento; secondo, dopo tanti anni, quando ormai si era formata la sua famiglia, sua figlia che aveva 18 anni, un giorno non è più tornata a casa. Faceva parte del collettivo scolastico che si occupava dei problemi presenti all’interno della sua scuola, era una ragazza impegnata, che aveva a cuore le problematiche altrui.
L’ha cercata per molti anni, instancabilmente, ma solo dopo 20 anni ha scoperto che la sua bambina era una “desaparecidos”, era stata rapita insieme a tanti altri giovani, fatta salire su un aereo e poi, da una grande altezza, fatta cadere nell’acqua in modo da non lasciare nessuna traccia.
Anche se ha sofferto tanto quella donna è riuscita ad andare avanti, a dare un senso alla propria vita e a mantenere sempre il sorriso sulle labbra. Ad un certo punto ha detto una frase che mi ha fatto riflettere e mi ha ricordato tutte le mie care amiche: “ il dono più prezioso che noi abbiamo sono gli Amici”.
Dopo il teatro siamo arrivati al nostro albergo dove abbiamo cenato e subito riposato perché il giorno dopo, molto presto, dovevamo ripartire per Auschwitz1.
Ad Auschwitz1 è stato….non riesco ad esprimere con le parole cosa si sente dentro quando si è lì….molto dolore, tristezza, rabbia per non aver potuto fare niente per impedire quella orribile tragedia…
Quando sono entrata in tutti quegli edifici, nella camera a gas, nella camera delle torture e poi tutte quelle stanze in cui si trovavano tanti capelli, valigie, scarpe, vestiti…tutte quelle prove di ciò che è accaduto…è lì, in quel momento che ti rendi conto di quanto, noi giovani, siamo stati fortunati e quanto dovremmo apprezzare ogni secondo della nostra vita, ringraziando i nostri genitori per come ci hanno cresciuti e ringraziando Dio per averci donato questa nostra esistenza nella quale possiamo, se vogliamo, superare le difficoltà, stare in pace e scegliere per noi stessi, senza che lo facciano gli altri per noi…
Dopo il pranzo siamo ritornati al teatro dove ci aspettavano quattro testimoni per raccontarci le loro storie: Marcello Martini, Vera Salomon, Tatiana e Andra Bucci.
Sono delle storie molto tristi e quindi m’immagino quanto può essere difficile e doloroso per loro raccontarle.
La sera, dopo cena, siamo andati a fare una breve visita del centro della città di Cracovia che abbiamo potuto ammirare la mattina dopo.
Una città molto carina e pulita. La guida ci ha raccontato la storia del drago legata alla città e ci ha spiegato tante altre cose.
Abbiamo pranzato e dopo siamo andati alla stazione di Cracovia dove c’è stata una cerimonia di chiusura e di saluto e poi siamo saliti sul treno per ritornare in patria.
E’ stata un’esperienza indimenticabile…mi ha fatto capire quanto è importante la Vita e quanto dovremmo apprezzare tutto ciò che Dio ci regala ogni giorno. Purtroppo il modo in cui viviamo oggi, mi fa capire che in ogni momento possiamo “scatenare” una simile tragedia…tale viaggio dovrebbero farlo tutti e forse solo dopo aver visto, può darsi che questo mondo possa cambiare in meglio, andare verso il bene…
Ringrazierò in tutta la mia vita, per questo viaggio, la mia professoressa e la Regione Toscana…senza di loro, questo cammino, questa importante esperienza, non avrei mai potuto farla… grazie.
BEATRICE CIPOLLI
Le mie sensazioni alla partenza sono diverse, iniziando dalla felicità per la consapevolezza di essere stata scelta per questo importante viaggio, quindi mi sento anche fortunata, alla tristezza, in senso positivo, aspettandomi chissà quale “effetto” nel vedere cosa è accaduto a tutta quella povera gente.
LUNEDI’ 19
Alla partenza da Firenze sono presa dall’entusiasmo e dall’orgoglio nel vedere quanti di noi si sono impegnati e hanno capito quanto poteva essere importante partecipare al Treno Della Memoria.
Già dalla durata del viaggio verso la Polonia ci imbattiamo nella prima difficoltà, è faticoso e stancante per noi pur avendo la comodità delle cuccette e di un piccolo bar, figuriamoci come poteva essere per quelle persone, tutte ammassate come bestie e senza il minimo spazio per respirare.
Nella nostra carrozza, n° 14, abbiamo già fatto nuove amicizie. Ragazze e ragazzi meravigliosi con cui scherziamo, ridiamo, ma pensando sempre alla motivazione per cui abbiamo intrapreso il viaggio e alle proprie aspettative.
Durante il viaggio abbiamo avuto modo di partecipare a degli incontri. Con il mio gruppo abbiamo incontrato la comunità ebraica, sarebbe stato interessante ma siamo riusciti a capire e sentire poco, dato che eravamo tanta gente, riunita in una sola stanza e la voce degli intervistati la sentivamo appena. Personalmente mi è dispiaciuto un po’.
La nottata è stata lunga e scomoda, ma mi consolavo ancora pensando a come la trascorrevano quei poveri deportati.
MARTEDI’ 20
Finalmente la mattina del 20/01 arriviamo in Polonia.
Scendiamo dal treno e ci sono subito parecchi pullman ad attenderci per andare a visitare il campo Auschwitz2-Birkenau, vicino alla città di Oświęcim.
Il nostro pullman era il numero 7. Ogni gruppo aveva una guida che ci ha seguiti per tutti e 5 i giorni. Nel nostro caso si chiamava Isabella ‚una ragazza molto disponibile e simpatica.
Ci avviciniamo al campo e già sento i brividi, in lontananza intravedevo alcuni blocchi.
L’atmosfera è cupa, incute timore ed anche l’aria è rigida, austera, fredda.
Scendiamo dal pullman e il sorriso sul mio viso scompare, presa da un’ insieme di forti sensazioni, a prevalere però è la tristezza.
Entriamo, e già mi ero accorta di quanto è immenso il campo. Il terreno è paludoso, molto scomodo al cammino, ma tutto questo faceva parte del “programma”, perchè anche il cammino doveva essere disagevole in quell’inferno..
Un’altra guida che ci ha seguiti al suo interno, è una signora disponibilissima e dolce, ma soprattutto aveva la grande capacità di trasmetterci delle sensazioni molto forti, reali, quando ci spiegava e raccontava la struttura del campo e le atrocità che avvenivano al suo interno.
Margherita, la nostra guida, credo che vi abbia perso alcuni familiari, i suoi quattro nonni, ecco forse come possiamo spiegare la sua voce rotta dalla commozione, dal pianto alcune volte.
Molte parti del campo sono state distrutte dai nazisti, quindi abbiamo solamente visto alcuni blocchi, dove all’interno dormivano i bambini e le donne, poi le latrine, il blocco dove avrebbero dovuto lavarsi, una teca con vari oggetti ritrovati e abbiamo percorso alcuni pezzi di binario su cui arrivavano i treni merci pieni di esseri umani. La porta principale non abbiamo potuto visitarla perchè era stata coperta da un grosso tendone preparato in occasione della cerimonia dei 70 anni dalla liberazione; anche noi a fine mattinata abbiamo partecipato ad essa.
Verso le 11.30 siamo poi entrati nella “sala d’attesa” luogo dove registravano i deportati. All’interno troviamo anche moltissime foto di persone felici, serene, sterminate all’interno del campo. Sempre in questa sala abbiamo incontrato per la prima volta le sorelle Bucci, deportate da bambine e sopravvissute ad Auschwitz.
La visita era finita, ora aspettavamo le 12.30 per iniziare la cerimonia.
La Regione Toscana aveva pensato ad un progetto molto bello, che poi abbiamo svolto. Ad ognuno di noi era stato affidato il nome di un deportato, sul quale dovevamo documentarci con le date di deportazione e di morte. Durante la cerimonia abbiamo formato due file, noi studenti arrivavamo ai microfoni e senza intervalli tra l’uno e l’altro pronunciavamo il nome a noi assegnato e l’età. E’ stato tutto molto toccante e commovente, soprattutto la preghiera ebraica.
Alla fine della visita al primo campo ci siamo diretti al ristorante.
Per me, all’inizio, è stato difficile mangiare, avendo in mente quello che avevo appena visto.
A fine pranzo il pullman ci ha portati a Cracovia, che è stata la città dove abbiamo alloggiato in quei giorni.
Quel pomeriggio siamo andati al cinema a vedere uno spettacolo teatrale che mi ha colpita tantissimo, il protagonista era Enrico Fink, un attore di origini ebree che recitando e cantando ha raccontato e ricordato la storia dei propri cari.
Dopo di esso abbiamo ascoltato il racconto di Vera Vigevani Jarach.
Vera dovette emigrare in Argentina perché le leggi razziali le impedivano di andare a scuola e di avere una vita normale. Ma l’Argentina per Vera è stata anche la perdita della figlia Franca, scomparsa a diciott’anni, una tra i trentamila desaparecidos vittime della dittatura militare .
Vera è una donna da ammirare, ha una forza di volontà immensa. Parlava con naturalezza della sua vicenda, mi è sembrato quasi di tornare bambina quando mia nonna mi raccontava le sue storie. Mi aveva veramente “presa” con i suoi discorsi.
Alla fine della serata teatrale siamo andati in hotel; era veramente bello.
MERCOLEDI’ 21
Ci aspetta una giornata pesante, un’altra giornata di riflessioni, di emozioni forti.
Ci siamo alzati presto per raggiungere il secondo campo, il campo base, Auschwitz1.
All’arrivo l’emozione è la stessa di ieri, anzi, forse è più forte.
Quando ti trovi davanti al cancello con la scritta “ARBEIT MACHT FREI” il silenzio ti fa freddare il sangue e i pensieri ti affollano la mente. Ho subito pensato alla malvagità e alla perversione che doveva caratterizzare le SS.
Le camere a gas, i forni crematori, il muro delle fucilazioni, mentre la guida racconta, ti senti in balia di tante emozioni che ti obbligano ad una profonda riflessione.
Mi hanno colpita profondamente le fotografie dei deportati all’interno del blocco. Ho cercato di guardare ogni foto, ma era impossibile, erano tantissime…avrei voluto fissarle tutte nella mia mente…ma in tutti quegli occhi che guardavo, vedevo una cosa in comune, il vuoto. Quegli occhi erano spenti, avevano il terrore, l’angoscia dentro. Dopo un po’ non sono riuscita più a guardarli, mi sentivo morire.
Tutti si erano trasformati in scheletri formati da pelle ed ossa. Mi hanno suscitato una profonda angoscia. E pensare che, prima di essere prigionieri, erano persone libere, che vivevano una vita normale e che solo dopo qualche settimana nel campo erano diventati irriconoscibili nell’aspetto. Anche i vestitini dei bambini, che non sono mai diventati grandi, hanno provocato in me una profonda amarezza.
Per non parlare dei capelli, le protesi, gli occhiali, i barattoli dello Zyklon‑B.
Questi ultimi ancora non capisco perché, ma penso siano stati la cosa che mi hanno fatta stare più male.
Alla vista di essi ho sentito qualcosa di inaspettato dentro di me, mi sono soffermata molto a guardarli.
Tutto era studiato e progettato nei minimi dettagli e niente era lasciato al caso.
Essere lì per me è stato come poter sentire quello che hanno provato quelle povere persone, anche se nella realtà è praticamente impossibile.
Il disprezzo aumentava, mano a mano, andando avanti.
Ad Auschwitz sembrava che il tempo non fosse passato.
Nello stesso pomeriggio siamo tornati al teatro dove eravamo stati il giorno prima, ora per ascoltare le testimonianze dei sopravvissuti al campo: le due sorelle Bucci, Vera Salomon, Marcello Martini e Ceseri.
Sono stata attentissima a ogni singola parola da loro detta, mi si sono riempiti gli occhi di lacrime ad ognuno dei loro racconti e alla notizia che nel treno di ritorno avremmo potuto incontrarli e fare loro delle domande mi si è riempito il cuore di gioia. Sembrava impossibile avere di fronte proprio loro, proprio loro che sono riusciti a sopravvivere a quelle atrocità. Sembravano quasi storie inventate, irreali… quando ti senti raccontare quelle cose non riesci a realizzare che possono essere accadute davvero. Ma purtroppo l’umanità si è macchiata di un crimine inaccettabile e dobbiamo ricordare e riconoscere gli errori per non ricommetterne mai più, soprattutto di questa gravità.
Al ritorno nell’hotel ci siamo preparati velocemente, abbiamo cenato e siamo usciti. Avevamo la serata libera.Cracovia è una bellissima città, ricca di storia e merita veramente tanto di essere visitata.
GIOVEDI’ 22
Ultimo giorno in Polonia.
Oggi avevamo la giornata per visitare il centro di Cracovia e alcune sinagoghe con la nostra guida.
Come ho già detto la città è molto bella, ci sono molte cose da vedere.
Le sinagoghe sono luoghi molto seri, sacri e dopo la visita al campo onorare la religione Ebraica penso sia il minimo. Appena sono entrata all’interno del luogo di culto, anche se ci siamo stati veramente poco, mi sono sentita in dovere di dedicare un pensiero e una preghiera per tutti loro.
Terminato il pranzo e la visita della città è arrivato il momento di andare alla stazione per riprendere il treno e intraprendere il lungo viaggio verso il ritorno, un po’ più maturi di prima, persone nuove e migliorate, si spera!!.
Arrivati alla stazione c’è stato il momento dei ringraziamenti e dei saluti. Dopodiché è arrivato il nostro treno e siamo ripartiti.
Alla fine di questo viaggio mi sento di consigliare a tutti di andare ad Auschwitz, è un’esperienza che porterete sempre dentro di voi, nel vostro cuore.
Mai dimenticherò quei giorni.
Mai dimenticherò quei volti fotografati.
Mai dimenticherò quel silenzio che ti assale.
Secondo me l’obiettivo principale di questo viaggio è appunto di “ritrovare la memoria”, fare un passo indietro nel nostro passato e capire i nostri sbagli.
Siamo noi i cittadini di domani e quest’esperienza ci deve aiutare a costruire appunto le persone che saremo in futuro.
Fino a che non sono tornata a casa non avevo avuto il tempo di soffermarmi a pensare a quello che avevo visto, alle sensazioni che avevo provato. Fino a che non sono arrivata a raccontare l’esperienza alla mia famiglia, ai miei amici, non mi ero resa bene conto della fortuna che avevo avuto a partecipare a questo viaggio, ma soprattutto l’aiuto che mi ha dato per crescere. Mi sento una persona migliore. Mi sento fortunata anche perchè mi sto rendendo conto dell’importanza della libertà di opinione e di parola, l’importanza di avere una scuola e l’istruzione, l’importanza di una famiglia, delle persone accanto che mi aiutano quando ne ho bisogno. Ma anche delle piccole cose come un letto, un pasto caldo e la “buonanotte” e il “buongiorno” dei miei genitori. Non è importante che cellulare hai, non sono importanti le scarpe alla moda, non è importante la bella macchina, come la nostra società ci sta facendo credere.
Svegliamoci!! Dobbiamo reagire quando vediamo che il ragazzo di colore viene discriminato, quando la ragazza lesbica viene presa in giro! E non quando i genitori non ci hanno comprato la borsa che volevamo o il cellulare nuovo.
Bisogna andare lì e guardare con i propri occhi, rendendosi conto personalmente di quello che è accaduto e di quello che potrebbe potenzialmente ancora accadere. NUNCA MAS!!!…
ARIANNA BUFALINI
Prima di partire avevo un po’ di paura ad affrontare questo viaggio. Credevo che avrei pianto appena entrata nei campi, appena avessi visto quegli orribili posti, invece così non è stato.
LUNEDI’ 19
Siamo partiti da Firenze, appena salita sul treno ho fatto conoscenze, il viaggio è stato lungo ma in fin dei conti avendolo trascorso in compagnia non è stato così male.
Durante il viaggio abbiamo partecipato ad un incontro con la comunità ebraica, non sono rimasta tanto soddisfatta, poiché eravamo troppe persone in un solo vagone e dalla mia postazione non sono riuscita a seguire la discussione.
MARTEDI’ 20
Appena scesi dal treno ci siamo avviati con un autobus verso il campo di sterminio, Auschwitz2 — Birkenau. Più ci avvicinavamo all’entrata più l’angoscia prendeva campo in me.
Pensavo che sarei stata malissimo, che avrei pianto, ma alla fine non l’ho fatto. Non so cosa mi ha aiutata a trattenermi, ero disgustata dalle atrocità commesse dalle SS, ero scioccata e impressionata da quanto fosse grande quel campo, si perdeva a vista d’occhio. È talmente fuori dagli schemi della normalità che non sembra nemmeno reale, e a pensare che è tutto vero ho un senso di ribrezzo impressionante. Nel pomeriggio siamo andati al cinema della città dove abbiamo assistito ad una storia raccontata attraverso la musica e le parole, da Enrico Fink; è stato un incontro molto carino e soprattutto diretto, ho sempre in mente la melodia di una delle canzoni cantate quel giorno. Dopo di lui è salita sul palco Vera Vigevani Jarach, nipote di un deportato nei campi di sterminio e madre di una “desaparecidos”. La sua storia è molto triste, caratterizzata da due eventi simili ma al tempo stesso diversi…una donna simpatica con un carisma molto forte…mi ha fatto davvero piacere averla incontrata.
MERCOLEDI’ 21
Il giorno dopo siamo andati al campo di concentramento, Auschwitz1 campo Madre. Anche qui inizialmente ho provato le stesse sensazioni del giorno prima, quando poi siamo entrati nel blocco11 della morte e successivamente nel blocco dove sono presenti gli ammassi di capelli, delle protesi, dei contenitori dello “zyklon b”… una sensazione di disgusto ha prevalso su tutte le altre sensazioni.
Quest’esperienza mi ha resa incapace di parlare, non riesco a trovare le parole per esprimere ciò che provo dentro, non pensavo di poter provare questo stato d’animo, non riesco ad esprimere ciò che sento…
Il pensiero di camminare sulle ceneri di quelle povere persone mi ha fatto venire i brividi. Uscita dal campo, dopo aver visto i forni crematori, il muro della morte…tutto curato nei minimi dettagli…ero sconcertata, non era possibile che tutta la popolazione tedesca potesse essere d’accordo, condividesse tali obbrobri, non è neppure possibile che non si siano accorti di niente e non è da persone dotate di un minimo di intelligenza accettare che quei corpi lividi, magri, venissero trasformati in sapone, guanti, quadri, paralumi…come potevano usare tutti quei macabri oggetti come suppellettili? Come potevano vivere serenamente al pensiero di lavarsi con il grasso di un morto? Oppure usare come tappezzeria quella stoffa morbidissima fatta con i capelli delle donne uccise dal gas? Come è possibile che una persona con una coscienza, un minimo di cuore possa stare in silenzio di fronte ad una simile tragedia? Non riesco a darmi nessuna risposta, l’unica cosa che posso pensare è che fossero dei folli, privi di sentimenti ed emozioni, persone senza cuore.
Nel tardo pomeriggio siamo ritornati al teatro di Cracovia dove abbiamo incontrato alcuni sopravvissuti come Martini, Vera Salomon e le sorelle Bucci. Ci hanno raccontato le loro esperienze molto toccanti. Mi ha colpito in modo particolare la storia di Marcello Martini, deportato all’età di 14 anni… aveva ricordi molto nitidi, quindi il suo racconto è stato ancora più profondo e particolareggiato, a differenza delle sorelle Bucci che essendo più piccole ricordano meno di quell’orribile posto.
GIOVEDI’ 22
La mattina abbiamo visitato la chiesa, la sinagoga e la città di Cracovia. Accanto alla piccola sinagoga abbiamo visitato l’austero cimitero ebraico, le lapidi erano ricoperte di piccoli sassolini lasciati dai parenti come segno delle loro preghiere e ringraziamenti. Arrivati alla stazione siamo ripartiti per l’Italia. Il viaggio di ritorno tenutosi tra il 22 e il 23 è stato più o meno come il viaggio di andata, lungo, stancante, ma non troppo pensante grazie ai nuovi amici. Sempre durante il viaggio io e altri due miei compagni di classe abbiamo incontrato individualmente le due sorelle Bucci, che dire… ero elettrizzata al pensiero di porre i miei quesiti alle dirette testimoni… è vero che per loro ricordare significa rivivere la sofferenza, il dolore… ma è stato bellissimo! E’ incredibile come siano legate l’una all’altra, si percepisce l’amore che le unisce e il rammarico per la scomparsa del loro cuginetto Sergio. Dopo aver posto le nostre domande a Tati, come la chiama affettuosamente sua sorella Andra, ci siamo fatti autografare il loro libro consegnatoci alla partenza e loro vi hanno riportato il numero tatuato sul braccio. Per curiosità abbiamo cercato anche Enrico Fink per congratularci con lui e già che c’eravamo gli abbiamo chiesto un autografo e l’abbiamo ottenuto.…..
.….Ora che sono tornata se ripenso a quei 5 giorni ripartirei subito, sia per il viaggio in sè, che per le amicizie strette in quei giorni. Consiglio questo viaggio a chiunque voglia approfondire questa pagina di Storia, trasforma il tuo modo di pensare, dopo quest’esperienza sono cambiata, cresciuta direi!!
Durante questo viaggio ho avuto l’opportunità di approfondire le mie conoscenze sull’organizzazione del campo, ma la cosa più importante che ho imparato è che dobbiamo accettarci tutti vicendevolmente, non esistono differenze, non ci devono essere persone socialmente indesiderabili, non deve esistere nessuna forma di razzismo, perché se una tale tragedia è accaduta una volta, potrebbe tranquillamente riaccadere…basta guardare i fatti di cronaca internazionali…chi ci garantisce che tra tutti gli esseri umani non possa esserci un altro Himmler? Siamo tutti a rischio, ma è proprio attraverso queste esperienze che possiamo aprire i nostri occhi e la nostra mente.
Non si vergognano i negazionisti ad affermare che la Shoah non è mai accaduta? Consiglio a tutti e in particolare agli scettici di visitare i campi di concentramento, in particolare il campo di sterminio di Auschwitz e di ascoltare le parole dei sopravvissuti…come poter negare l’evidenza? Loro c’erano, hanno vissuto tutte quelle atrocità sulla loro pelle…è da persone sciocche e sconsiderate continuare a pensare che non sia successo ciò che raccontano…quale mente umana potrebbe inventare o solo immaginare tali crudeltà??
DANIELE PERINI
Ho preso parte all’edizione del “Treno della Memoria” organizzata dalla Regione Toscana nella settimana che va dal 19 al 23 Gennaio 2015.
Lunedì 19 Gennaio siamo partiti dalla stazione Santa Maria Novella di Firenze ma già dall’inizio dell’anno scolastico la nostra mente viaggiava, apprendeva e si formava attraverso l’orribile mondo dell’Olocausto.
Avevamo già intrapreso, infatti, un percorso di apprendimento e di preparazione all’evento, tenuto dalla nostra professoressa Enrica Canaccini, nel quale abbiamo potuto iniziare a focalizzare la nostra attenzione sull’importanza della Memoria e sui fatti accaduti in quel terribile periodo.
Abbiamo cercato un motivo (non giustificante, ovviamente), abbiamo analizzato i meccanismi di ricerca del consenso, il ruolo della propaganda e commentato le gesta della dittatura nazista.
Abbiamo parlato in genere degli avvenimenti, dei libri e dei film inerenti l’argomento.
Alla partenza da Firenze ci hanno distribuito altro materiale, libri, e ci hanno fatti accomodare sul treno.
Eravamo nello scompartimento 8 della carrozza 14 e il treno era sempre fermo nella stazione quando mi resi conto dell’importanza reale che stava assumendo quella partenza. Mi sono subito reso conto anche di aver trovato dei compagni di viaggio con i quali avrei legato.
Il treno è una strana esperienza: molto bella, anche se stancante e scomoda, ma anche necessaria alla meraviglia d’insieme dell’iniziativa.
Ci siamo organizzati e riposati nei nostri scompartimenti e viaggiato molte ore.
Al risveglio ci siamo preparati, siamo scesi e ci hanno portato ad Auschwitz2- Birkenau.
Immenso, vuoto, umido e straziante. Bastano per descrivere il grigio del cielo sopra le nostre teste che rifletteva ogni singola emozione che trasmetteva il campo di Birkenau.
Una guida polacca che parlava perfettamente italiano ci ha mostrato e illustrato il campo, i blocchi, i crematori, la ferrovia e ci ha radunati dopo la fine della nostra visita per prendere parte ad un corteo silenzioso che ha visto sfilare noi, più di 700 ragazzi, per le strade del campo fino alla fine dei binari della ferrovia, ai piedi del monumento alle vittime del campo di Birkenau. In quel luogo si è tenuta una solenne cerimonia nella quale ognuno di noi ha pronunciato uno dei nomi di deportati ad Auschwitz, giovani ebrei arrestati in Toscana, prigionieri politici, internati Rom e Sinti, successivamente ci sono stati alcuni interventi da parte delle autorità, sono state lette delle preghiere ed abbiamo assistito ad un commovente Enrico Fink.
Scossi dall’esperienza vissuta, abbiamo pranzato e ci siamo recati al cinema Kijow nel centro di Cracovia nel quale abbiamo assistito ad uno spettacolo dello stesso Enrico Fink e all’intervento di Vera Vigevani Jarach. Donna meravigliosa, una delle madri di Plaza de Mayo, che ci ha raccontato la sua esperienza da ebrea nel periodo nazista, l’aver lasciato in Italia suo nonno e poi ci ha parlato del resto della sua vita e di quello che ha passato per essere madre di una desaparecidos. Nel parlare, Vera, si è rivelata molto appassionata, decisa, orgogliosa di essere la nipote del suo nonno ebreo, italiano e patriottico, che al contrario di sua nipote e dei suoi genitori non aveva riconosciuto il pericolo nazista, era rimasto nella sua patria e poi deportato ad Auschwitz dove era morto.
Ci ha raccontato della sua crescita, della sua vita di donna e di sua figlia morta con un volo della morta. Una ragazza troppo interessata alla politica, di una generazione che non voleva farsi mettere i piedi in testa dalla dittatura. Un’intera generazione sterminata!
La forza, la passione e la volontà di condividere i ricordi… sono queste le sensazioni che quella colta e appassionata donna mi ha trasmesso.
Ci ha salutati e ci ha lasciato un monito molto toccante sull’amicizia: “il più grande dono che abbiamo nella nostra vita sono i nostri Amici”, prima che noi ci spostassimo al nostro albergo, il bellissimo Hotel Novotel di Cracovia.
La mattina di Mercoledì ci ha visto raggiungere Oswiecim e visitare il campo di Auschwitz I, il campo base.
Del tutto diverso da Birkenau, il campo madre, si mostra imponente e sempre tragicamente perfetto dall’entrata ai blocchi trasformati in musei. Anche qui abbiamo assistito ad una cerimonia e poi ad una visita dell’interno dei blocchi del campo adibiti a musei a tema contenenti informazioni e reperti.
Abbiamo esaminato attentamente l’edificio dedicato alla memoria degli ebrei, l’altro con la descrizione dei metodi della strage ed infine il blocco 11 “blocco della morte”. Questo funzionava da prigione del campo, un blocco che trasuda le malvagità e l’inumanità delle torture, nel cortile di esso si trova il muro della morte, dove avvenivano le fucilazioni.
Con questo abbiamo terminato la nostra visita, pranzato e di nuovo al cinema Kijow per un incontro con Marcello Martini, Vera Michelin Salomon, Andra e Tatiana Bucci e una video-intervista di Antonio Ceseri. Tutte persone splendide ma, ovviamente, ascoltandole tutte insieme, una può colpirti più di un’altra.
Questo effetto me lo ha fatto Marcello Martini che, come Vera Vigevani, mentre parlava rivolto a tutto il pubblico, toccava personalmente ognuno di noi. E’ stato un immenso piacere poter ascoltare il racconto della sua deportazione, delle sue vicende personali e della sua salvezza. Dolcezza unica nella sua voce quando ha parlato della sua famiglia e delle persone che lo hanno salvato nascondendolo da ferito o risvegliandolo durante la marcia della morte.
Bellissimo il momento in cui l’ho potuto abbracciare e dirgli grazie per la sua testimonianza.
I momenti più toccanti dell’esperienza sono stati gli incontri e i silenzi all’interno dei campi, ma anche i discorsi tra noi ragazzi, sul pullman o durante i momenti di attesa tra un’attività ed un’altra, nei quali cercavamo di riassumere i momenti appena vissuti, commentavamo le attività e riflettevamo sull’importanza della Memoria, come ci consigliavano i testimoni.
Il treno della Memoria ti cambia, ti rende un’altra persona ed io l’ho avvertito quando ho iniziato a commentarlo, a ripercorrere le nostre esperienze, condividendole sia tra noi viaggiatori, sia a casa al mio rientro. Le sensazioni che provi mentre vivi il viaggio e le informazioni che recepisci formano dentro di te uno zoccolo duro nel carattere che ha molta rilevanza nella vita quotidiana.
Il Giovedì abbiamo visitato la città di Cracovia e siamo ripartiti per la Toscana.
Sul treno sono continuati gli incontri ed ho avuto la fortuna di poter parlare personalmente con le due sorelle Bucci alle quali abbiamo potuto rivolgere qualche domanda le cui risposte riecheggiano spesso nella mia mente. Gli incontri con queste grandi persone funzionano così: ti emozionano, ti segnano, ti entrano dentro fino al punto di rivivere le loro parole riascoltandole nel profondo, riprovando le stesse emozioni.
L’arrivo a Firenze è stato Venerdì pomeriggio, stanchi, carichi di bagagli, di emozioni e di nuove amicizie.
Ringrazio la Professoressa Enrica Canaccini per averci permesso di fare il percorso storico-educativo sulla Memoria e questo indimenticabile viaggio.
YURI ALBERINI
LUNEDI’ 19
Partiamo ora da Firenze.
L’aria è carica di aspettative importanti: credo che questo viaggio possa essere veramente istruttivo, sia per me e i miei compagni, sia per le persone che mi aspettano a casa ed ascolteranno le mie impressioni. Sarà una forte esperienza, forse addolcita un po’ grazie alla presenza dei miei amici che mi accompagneranno in questa avventura.
Abbiamo tanta strada da fare, ma non sembra così male perché abbiamo giocato a carte, ascoltato la musica, letto i libri che ci hanno consegnato alla partenza…mi viene alla mente che la stessa strada è stata percorsa da persone che andavano verso la morte e non avevano tutte le certezze e sicurezze che invece accompagnano me, in questo viaggio.
Il treno mi appare immenso, ma anche un po’ scomodo…lamentarmi però mi sembra fuori luogo dato che i deportati stavano in piedi in vagoni molto più piccoli, sporchi, gelidi, bui.
MARTEDI’ 20
Oggi arriviamo ad Oswiecim, fa freddo, ma non c’è la neve…questo m’intristisce un po’ perché nei documentari che rappresentano le deportazioni spesso il paesaggio è innevato ed io avrei voluto rivivere, per quanto possibile, ciò che accadeva in quegli anni così bui.
Arriviamo a Birkenau e sinceramente non provo nulla: l’entrata principale è coperta, molti edifici sono stati rasi al suolo e ciò che si vede sono solo macerie e blocchi umidi e vuoti.
Probabilmente era così anche 70 anni fa, ma non mi ha toccato, sono rimasto un po’ deluso. Entriamo e le uniche sensazioni forti le ho provate ascoltando i racconti della guida che ci ha trasmesso tristezza, compassione e osservando le numerose foto raccolte all’interno del blocco dell’accoglienza, scene di vita vera e felice di tante famiglie ebree.
Lo spettacolo nel pomeriggio proposto da Enrico Fink è stato molto interessante, mi è piaciuto veramente! E’ stato intenso e toccante il racconto di Vera Vigevani Jarach con il suo importante consiglio sull’Amicizia, fonte di gioia e serenità nella vita.
MERCOLEDI’ 21
Visitiamo Auschwitz: la sensazione è molto più forte…sembra quasi di essere in un piccolo villaggio con case in muratura tutte uguali e pensare che sono state il luogo dove milioni di persone hanno provato tanta sofferenza mi fa sentir male. E’ molto strano vedere dal vivo la famosissima scritta sul cancello all’entrata…sembra quasi irreale.
Le stanze all’interno dei vari blocchi sono state ben conservate e trasformate in musei…forse hanno perso il loro significato, nonostante conservino materiale importante che aiuta a comprendere lo sterminio.
Nell’incontro del pomeriggio è stato utile ascoltare le testimonianze dei sopravvissuti, un impatto emotivo fortissimo, pareva che questi uomini e donne avessero capito il vero senso della vita.
Mi sono piaciute particolarmente le parole pronunciate da Marcello Martini che personalmente mi ha consigliato di studiare, non per imparare, ma per approfondire, conoscere, comprendere…perché “ti possono togliere tutto, ma non le tue idee”!!
GIOVEDI’ 22
Siamo arrivati al termine del nostro percorso. Visitiamo Cracovia, una città molto carina con una storia antica, interessante da conoscere. Tornato sul treno ho iniziato a ripensare a questo pellegrinaggio che ritengo sia stato veramente utile, ho potuto toccare con mano la parte peggiore dell’uomo, ciò che si legge sui libri è diverso da ciò che puoi vedere con i tuoi occhi, i numeri e le statistiche qui diventano persone.
Spero un giorno di poter partecipare di nuovo a questo viaggio e mi auguro che i miei amici e parenti, attraverso la mia testimonianza, possano comprendere la sofferenza di milioni di persone e cogliere la necessità di portare pace, solidarietà, accoglienza.
Una cosa importante che ho tratto da questa esperienza è che la ferocia umana non ha limiti e che ignorare questi eventi può favorire solo il loro ritorno.
ARIANNA ANELLO
Caro diario,
ieri mattina siamo partiti dalla stazione S.M.N. di Firenze alle 13.15 con un treno speciale che ci ha portato in Polonia a Oswiecim. Questo treno era enorme, era fatto con carrozze a cuccetta dove all’interno c’erano sei posti letto. All’inizio della nostra avventura abbiamo posizionato i bagagli in alto così che noi potevamo rilassarci a sedere e magari per trascorrere un po’ di tempo giocare a carte. Verso le 16.00 abbiamo avuto un incontro con la comunità ebraica. L’incontro è stato molto interessante anche se purtroppo non siamo riusciti a seguire tutto quello che dicevano perché c’era molta confusione. Arrivati alle 18.30 ci hanno servito la cena, a me personalmente non è piaciuta molto. Prima di andare a letto abbiamo sistemato i letti e le valigie. Quella sera ho dormito con Yuri e nel mio scompartimento c’erano anche 2 ragazzi, 2 ragazze di Livorno e in più c’era Andreea. La notte per me è stata un po’ tragica, non ho chiuso occhio, la cosa positiva è che faceva caldo. La mattina seguente ci siamo svegliati molto presto verso le 5.30, ci hanno servito la colazione e poi scendendo dal treno ci siamo avviati verso i pullman, eravamo nella città di Oswiecim. I pullman ci hanno accompagnato al campo di concentramento chiamato Auschwitz II Birkenau. Arrivata la guida siamo subito andati a vedere il blocco infermieristico delle donne, il blocco dei bambini dove ci ha raccontato una storia veramente commovente di una donna che mentre usciva dal blocco nel quale era entrata di nascosto per salutare il proprio figlio, ha visto una bambina che accarezzava i capelli forse della propria madre che era sdraiata sulla terra senza vita e la donna che doveva andar via perché era in pericolo, non potè fare niente per quella piccolina che guardava e abbracciava la madre… “morte tua vita mia” continuava a ripetere la guida. Abbiamo visitato anche le rovine delle camere a gas. La visita del campo è stata molto interessante e drammatica allo stesso tempo. La guida ci ha portato poi a vedere i “magazzini” e la stanza della registrazione dove all’interno oggi, hanno sistemato le foto di un numero di persone decedute nel campo, che erano racchiuse dentro una valigia, circa 2000. Verso le 13.00 c’è stata una cerimonia commemorativa, dove praticamente ci siamo messi tutti in fila e partendo dai magazzini siamo arrivati al monumento. Ognuno di noi aveva imparato il nome di una persona deceduta all’interno del campo e doveva declamarlo ad un microfono, uno dietro l’altro. Il mio nome era Violetta Baruch deportata all’età di 8 anni. Una volta detti tutti i nomi abbiamo fatto una preghiera per tutte quelle persone che dentro quel campo hanno perso la vita. Siamo andati a pranzo in un ristorante e nel pomeriggio siamo andati in un teatro al centro di Cracovia, dove abbiamo ascoltato la storia della signora Vera Vigevani Jarach che aveva una figlia di 18 anni, uccisa dalla dittatura. Questa ragazza era andata a scuola e come tutte le mamme, Vera aspettava il suo rientro a casa, che non è mai avvenuto. Dopo anni di domande e di silenzio, tutte le mamme nella sua stessa situazione hanno iniziato a denunciare l’accaduto e a chiedere informazioni. Finalmente dopo circa 20 anni, sono riuscite a scoprire la verità. Sua figlia era stata rapita mentre usciva da scuola e fatta salire su un aereo per poi essere buttata in mare. Si presume che l’altezza le abbia stritolato tutte le ossa e sia morta. Questa storia è stata molto commovente, ma vedere quella signora che ne parlava così serenamente un po’ ti faceva sentire meglio, nonostante quello che le era successo lei ha affermato che i suoi sogni si erano realizzati, aveva avuto un marito perfetto e una figlia, come dice lei, bellissima, che però le è stata portata via in quella maniera orribile. Verso le 20.00 abbiamo preso il pullman per andare finalmente in hotel. Ci hanno consegnato le chiavi e poi siamo andate subito in camera. La camera era molto spaziosa e confortevole. Io e Andreea ci siamo lavate e poi siamo andate a cena. Subito dopo siamo tornate in camera e la sera non siamo uscite, preferivamo rilassarci un po’. La mattina seguente ci siamo svegliate alle 6.00, ci siamo lavate, vestite e siamo andate a fare colazione. Subito dopo abbiamo preso il pullman che chi ha portato a visitare Auschwitz I, chiamato anche Campo Base; quel campo è stato trasformato in un museo. Abbiamo visitato alcuni blocchi, il crematorio e le camere a gas. Quella stanza è stata molto sconvolgente, vedere il luogo dove li raggruppavano per fargli fare la “doccia” e quei buchi in alto, sul soffitto, dove mettevano il gas, era molto straziante vedere anche la stanza accanto dove c’erano i quattro forni. Quei muri erano neri da quanti corpi vi sono stati bruciati, e quell’odore ancora dolciastro… è stato pesante. Abbiamo visitato anche il blocco ebraico, dove c’erano le foto degli ebrei che scorrevano sulle pareti e nella stanza accanto i filmati con i discorsi dei nazisti. Più avanti c’era un enorme libro con scritti milioni di nomi ebrei, la guida ci ha detto che ne mancavano molti altri. Dentro un blocco avevano raggruppato tutte le scarpe, i capelli, con i quali realizzavano morbidissimi tessuti. Dentro un’altra stanza c’erano i contenitori del gas, un’altra era piena di valigie dove su ognuna era scritto il nome e il cognome delle persone deportate. Un’altra stanza era piena di ciottole, busti, protesi, occhiali, spazzole e pennelli per fare la barba. Quando siamo usciti dal blocco siamo andati a vedere la cella dove era stato imprigionato e poi ucciso, Padre Massimiliano Kolbe, dopo siamo andati a vedere il muro delle fucilazioni. Quel muro era pieno di sassolini, erano tutti i sassi che le persone portavano per ricordare il proprio caro o quelle povere persone fucilate davanti a quel muro. Finita la visita siamo andati a pranzo e poi siamo tornati al teatro di Cracovia, dove abbiamo ascoltato Enrico Fink, lui ci ha raccontato la storia dei suoi nonni e bisnonni, di una giacca e di una foto raffigurante due signori che si sposavano. L’uomo che si sposava aveva la stessa giacca che Fink aveva trovato nell’ armadio della sua nonna, insieme alla foto. Dopo sono andati sul palco alcuni sopravvissuti come Marcello Martini che si è salvato perché si è trovato in mezzo ad un gruppo di ebrei durante una fucilazione, lui è caduto tra quei corpi senza vita facendo finta di essere morto. Poi c’era una signora, Vera Salomon, che quando fu presa dai nazisti aveva 20 anni. Lei fu arrestata perché aveva idee contrarie al nazismo ed era stata scoperta mentre distribuiva volantini liberali di fronte all’Università. Infine abbiamo ascoltato la storia delle sorelle Bucci. Quando sono state deportate avevano 4 e 6 anni, sopravvissute forse perché sembravano gemelle. La sorella minore, Andra, mentre raccontava la storia è apparsa molto “stanca” e sembrava quasi che non ce la facesse più, forse a causa della pesantezza del racconto. Ogni volta che le sorelle ricordano la loro storia si emozionano, ma si trattengono per non piangere. La sera siamo andati in albergo, abbiamo cenato e poi siamo usciti a fare una passeggiata in centro a Cracovia. Il giorno dopo ci siamo svegliati e siamo andati a vedere le mura più antiche di Cracovia, però prima di affrontare una grande salita ci siamo fermati a vedere la statua di un drago e la sua tana. Arrivati sulle mura abbiamo visitato una bellissima chiesa dove a quell’epoca venivano incoronati Re e Regine e il popolo non poteva entrare. Finita la visita ci hanno lasciato un po’ di tempo libero così che potevamo fare shopping. Alle 13.30 siamo andati a pranzo e poi subito dopo il pullman ci ha accompagnato alla stazione di Cracovia. Il viaggio è stato intenso, forte emotivamente, infatti giunti al termine eravamo tutti molto stanchi. Arrivati a Firenze abbiamo preso velocemente il treno che portava a Campiglia, senza avere il tempo di salutare i nostri nuovi amici. Finalmente alle 19.00 siamo arrivati e sono potuta andare a casa per farmi una doccia e riposare un po’. Penso che questa esperienza la dovrebbero fare tutti perché è bella ed emozionante, ma soprattutto ti fa capire i numerosi sbagli che ha fatto l’uomo in passato e che non si devono MAI PIU’ ripetere… NO AL RAZZISMO!!