Dismissioni per un progetto di ricostruzione urbana
PIOMBINO 31 agosto 2018 — Il pericolo più grande per il nostro futuro è la resistenza passiva. La crisi dell’acciaio ha origini lontane, almeno dalla metà degli anni 80. La crisi economica del 2008 ha accentuato le criticità produttive e portato al fallimento la società Lucchini, ammessa dal Governo all’ Amministrazione Straordinaria nel 2012 con l’obiettivo di trovare nuovi acquirenti, dopo che tra il 2008 e il 2012 erano stati bruciati circa 900 milioni di euro ad un ritmo di 18 milioni al mese. Dal 2014 Piombino non cola più acciaio. Da allora è iniziato un processo che non ha ancora trovato soluzione, passando per ipotesi di rilancio siderurgico e diversificazione produttive dimostratesi tutte prive dei requisiti minimi di fattibilità. Nel 2015 venne firmato l’Accordo di Programma con la società algerina Aferpi per il rilancio produttivo basato su siderurgia, porto e agroindustria. Nessuno degli interventi previsti ha preso avvio. L’ultimo decennio è trascorso consumando ingenti risorse finanziarie senza produrre un solo risultato utile, se non quello di aver difeso il salario (via via sempre più ridotto) dei 2.200 dipendenti della ex Lucchini passati ad Aferpi. Non altrettanto si può dire dei circa 2.000 lavoratori dell’indotto (che non hanno potuto avvalersi degli ammortizzatori sociali) e di coloro che il lavoro non lo hanno ancora mai trovato e se ne vanno, in particolare i giovani.
Dopo il completo fallimento di Aferpi, a luglio del 2018 è stato firmato un nuovo Accordo di Programma con la JSW Steel Italy srl. Un piano industriale non esiste ancora, ma negli atti sottoscritti si ipotizzano due fasi: la prima in cui si prevede di riavviare i laminatoi esistenti (treno rotaie, treno barre e treno a vergella) e la seconda, soggetta però a studi di fattibilità, in cui si prevedono nuovi impianti per la produzione di acciaio da forno elettrico e nuovi treni di laminazione. Si riparte dunque con le speranze, ancora una volta affidando il rilancio produttivo dell’intero stabilimento siderurgico (circa 600 ettari) ad un solo imprenditore, anche se è ormai consolidata la consapevolezza che la produzione siderurgica può essere effettuata in spazi molto ridotti, forse meno della metà di quelli disponibili, e che, per questo, è indispensabile una pianificazione pubblica che decida il futuro di questo immenso territorio.
Nell’Accordo di Programma del 2018, come già in quello del 2015, si prevede lo smantellamento delle apparecchiature obsolete e non utilizzate. Con il nuovo accordo i lavori di demolizione dovrebbero iniziare nel 2019. Altro non è dato sapere, se non che nelle istituzioni, in particolare nel Comune, manca una minima visione del valore degli impianti industriali dismessi. Un valore che è contemporaneamente culturale (sono testimonianze storiche), economico (dove sono state valorizzate hanno prodotto ricchezza e occupazione) e sociale in quanto fattore identitario di una comunità che da millenni intreccia i suoi destini con il ferro e la metallurgia. Piombino è l’unico sito italiano che può contare su una storia siderurgica contemporanea che attraversa tre secoli (dalla fine dell’ottocento fino ai giorni nostri), che a sua volta si collega a quella millenaria delle lavorazioni metallurgiche di Populonia, della Val di Cornia, dell’Isola d’Elba e delle Colline Metallifere. Una storia che inizia in epoca etrusco-romana, passa per il medioevo e arriva fino ai giorni nostri. Non ci sono molte altre realtà, almeno in Italia e probabilmente in Europa, che dispongono di una simile ricchezza di testimonianze sia in senso orizzontale (spaziale e documentario), sia in senso verticale (cronologico). Qui, meglio che altrove, è possibile rappresentare l’evoluzione della tecnologia, dal basso fuoco all’altoforno, dal ferro alla ghisa, dall’artigianato all’industria, passando da innovazioni tecnologiche rivoluzionarie come l’applicazione dell’energia idraulica alla metallurgia, fino alla moderna siderurgia rappresentata dai grandi impianti siderurgici del ciclo integrale di cui Piombino è sicuramente tra le testimonianze più longeve della storia contemporanea. Si tratta di un unicum storico/culturale già attestato nel 2004 dall’ASMHistorical Landmark (la società internazionale che studia lo sviluppo storico dei materiali e delle tecnologie di lavorazione) che ha riconosciuto Populonia e l’Isola d’Elba come luoghi “di grande pregio ambientale e culturale” che, con le loro eredità tecnologiche, hanno “permesso il progresso del genere umano”. Un’attestazione che richiede ben altra consapevolezza e capacità di sviluppare progetti culturali e occupazionali.
La dismissione a Piombino non può quindi essere solo la generica demolizione dei vecchi impianti, bensì l’occasione per dar vita ad un grande progetto di ricostruzione urbana basato su due idee guida trainanti:
- il recupero e il riuso (ove possibile e utile) di grandi edifici industriali dismessi,
- la creazione di un parco urbano di archeologia-industriale siderurgica.
Due funzioni che possono convivere con altre (urbane, produttive e portuali) e godere entrambe dei vantaggi competitivi offerti da un lato dalla contiguità con il porto e dall’altro dalla rete di parchi e di musei già esistente in Val di Cornia, potenzialmente estendibile agli altri siti d’interesse metallurgico della Toscana meridionale. Un progetto da elaborare, ma che, a differenza delle demolizioni “non si sa bene perché e per che cosa”, può restituire occupazione stabile e qualificata per nuove attività. La dismissione a Piombino deve essere prima di tutto un “progetto creativo” con moltissimi profili sociali ed economici suscettibili d’intercettare finanziamenti privati e fondi europei, dall’innovazione tecnologica e digitale allo sviluppo dell’economia della conoscenza, passando per la valorizzazione della storia sociale e produttiva, il risanamento ambientale e la rigenerazione urbana. Un progetto per il quale un contributo rilevante, sia in fase di ideazione che di realizzazione, può venire proprio dalle conoscenze e dalle professionalità delle maestranze siderurgiche piombinesi.
Siamo ancora in tempo. Si deve però abbandonare la strategia della resistenza passiva e quella di affidare ai soli imprenditori siderurgici il compito di rigenerare una città che ha grande risorse, a patto che le si sappia riconoscere e valorizzare.