La disputa per conquistare un po’ di navi militari
PIOMBINO 31 ottobre 2014 – Non è una novità il fatto che Genova abbia puntato anche ad altro e non solo alla Concordia nel settore della demolizione del naviglio. Lo si era capito benissimo già nella primavera scorsa quando la San Giorgio del Porto, capofila nello smaltimento del relitto del Giglio, presentò un progetto riferendosi al regolamento Ue 1257/2013 che dal 2015 disciplinerà la rottamazione delle navi europee in porti accreditati. E che, nelle previsioni, tra le unità da rottamare ci siano anche quelle militari è cosa pressoché scontata. Magari, a conti fatti, si vedrà che il business della demolizioni delle navi della nostra marina non è proprio enorme. Anzi.
Insomma è chiaro da tempo che il porto di Genova batte la stessa strada ed è orientato sugli stessi programmi che persegue Piombino dopo il finanziamento di 113 milioni ottenuto in forza del decreto dell’aprile 2013 sul riconoscimento dell’area di crisi complessa. Quindi non meraviglia che l’autorità portuale di Genova, parli oggi, forse addirittura incidentalmente, di demolizione delle navi militari. Caso mai sorprende e fa notizia il fatto che finora era Piombino ad essere indicata, ad alto livello, come la destinazione privilegiata per questo tipo di operazioni. Lasciando qualche volta intendere perfino che il sito della Val di Cornia avesse una sorta di esclusiva nel settore.
Da aprile scorso esiste infatti l’accordo di programma per la riqualificazione del polo industriale in cui, tra l’altro, si legge: “…il Governo si impegna a rendere disponibili navi da smantellare presso il porto di Piombino e, a tale scopo, il ministero della difesa procederà alla definizione di un programma di dismissione delle navi anche in termini di numerosità e tonnellaggio, nell’ambito di uno specifico cronoprogramma determinato entro tre mesi”.
Si comprende facilmente, quindi, come l’uscita pubblica del presidente dell’autorità portuale di Genova sulla rottamazione delle navi militari fosse inevitabilmente destinata a suscitare le reazioni di chi è direttamente interessato (il governatore Rossi, il commissario Guerrieri, il sindaco di Piombino ecc. ecc.) e anche di chi quell’accordo ha firmato per competenza istituzionale (vedi la presa di posizione, molto generica, del ministro della difesa Roberta Pinotti — nella foto in alto).
La sostanza è che, come sempre, più degli annunci contano i fatti ed i fatti non sono proprio in linea con le rassicurazioni. Tanto per portare un esempio, c’è subito da chiedersi se siano stati rispettati i tre mesi entro cui il ministero della difesa doveva produrre “un programma di dismissione delle navi anche in termini di numerosità e tonnellaggio, nell’ambito di uno specifico cronoprogramma”. Come ha confermato il commissario Luciano Guerrieri, il governo ha fornito un elenco di 34 unità da demolire che indubbiamente però è qualcosa di assai diverso da un concreto cronoprogramma che nei dettagli non è mai stato aggiornato rispetto a quello realizzato nel 2013 da Giampaolo Di Paola, ministro della difesa del governo Monti. Un documento che faceva riferimento alla indicazione di sei miliardi di euro previsti, sotto forma di contributi ventennali, per la Marina militare dalla legge di stabilità di quell’anno. Di fatto il progetto era quello di dismettere in dieci anni una cinquantina delle circa 70 navi attualmente in servizio (vedi elenco alla fine dell’articolo) con la puntualizzazione che nel 2015 sarebbero stati demoliti il pattugliatore Aviere (2.525 tonnellate), la fregata Aliseo (3.040 tonnellate), la corvetta Sfinge (1.285 tonnellate) ed altre unità minori alcune addirittura con la scafo in vetroresina o addirittura in legno. Unità chiaramente di stazza assai contenuta. Va aggiunto che la dismissione di una nave militare non comporta necessariamente il costoso smantellamento in appositi cantieri ma spesso attiene alla vendita ad altre marine, come le fregate Lupo cedute al Perù, o anche alla semplice donazione a chi si assuma il compito di trasformare e adeguare le unità.
Per notizia si deve riferire che nella legge di stabilità del governo Renzi non sono previsti stanziamenti per la rottamazione di navi militari. Che significa? Forse che, per dismissioni nel 2015, si deve intendere solo cessioni o regali. Non ci sono conferme al riguardo ma la possibilità non è assolutamente remota. In questa situazione e con un’ ottica proiettata nel futuro Genova, avendo già riconosciuti i requisiti richiesti, punta tutto sul mercato, ovvero sulla scelta da parte dei committenti circa le migliori condizioni per effettuare opere di demolizione o riciclaggio. E non c’è dubbio che il porto ligure sia, al momento, in grande vantaggio rispetto agli altri scali e cantieri italiani. Peraltro nessuno finora osa contestare una impostazione del genere. Non lo fa la Pinotti (vedi comunicato del ministero della difesa — http://www.difesa.it/News/Pagine/PiombinoDifesamantieneimpegniassunti.aspx) e non lo ha fatto neanche il sottosegretario Silvia Velo che il 28 luglio scorso ha dichiarato testualmente al Tirreno: “Quella delle navi militari è una commessa pubblica, il resto attiene al mercato”.
Piombino, che sta realizzando le strutture necessarie, non può ancora avere gli attestati (Rina ed Europa ecc.), ma conta su un impegno del premier e di cinque ministri certificato da un atto ufficiale. Di più. Sulla stampa locale emerge l’annuncio del sindaco Massimo Giuliani che, parlando di “smantellamento, manutenzione e refitting navale” in un virgolettato così si esprime: “Non dimentichiamo inoltre la recente delibera del Cipe che ha previsto 20 milioni di stanziamento per la realizzazione di ulteriori lavori connessi a questa attività”.
Al riguardo va puntualizzato che il Cipe nella seduta del primo agosto scorso, come si legge nel sito del Comitato, “ha individuato, relativamente all’Accordo di programma sulla messa in sicurezza del sito di bonifica di interesse nazionale di Piombino, ulteriori fonti di finanziamento, per complessivi 20 milioni di euro, finalizzati principalmente allo sviluppo delle attività di smantellamento, manutenzione, restauro e trasformazione di imbarcazioni (cd refitting)”. Quindi sembrerebbe di capire che i 20 milioni siano destinati a bonifiche per poi procedere all’attuazione del progetto per la manutenzione, il restauro e la trasformazione delle navi. E ovviamente, come ha precisato il Governatore Enrico Rossi, questo stanziamento dovrà essere confermato e sbloccato da un nuovo intervento del Cipe che lo stesso Rossi ha indicato nei “primi di novembre”. Nella fattispecie quindi un minimo di prudenza è consigliabile non fosse altro per i continui disimpegni del Cipe che finora non ha mai rispettato una sola scadenza tra quelle esplicitamente indicate negli accordi di programma del 2013 e dello scorso aprile. E tanto per conferma va ricordato che il Cipe si è riunito il 30 ottobre, cioè 24 ore prima della stesura di questo articolo e nell’immediatezza della indicazione temporale di Rossi (“primi di novembre”) ma non ha deciso alcunché riguardo ai venti milioni per Piombino. O meglio qualcosa ha deciso per le bonifiche dei siti di interesse nazionale dal momento che ha assegnato, in via definitiva, l’importo di 15,4 milioni di euro alla regione Friuli Venezia Giulia per la realizzazione di interventi di messa in sicurezza del sito di Trieste.
Come finirà? Una previsione non è facile ma a lume di naso si può ipotizzare che Piombino non sarà ulteriormente ignorato ed è prevedibile che possa, in qualche modo, avere almeno un “contentino” dopo gli infiniti annunci che sono stati bellamente disattesi. E quindi — business tutt’altro che eccezionale — è probabile che prima o poi il porto abbia le sue (poche) navi militari. Resta inteso invece che, alla lunga, operazioni di smaltimento anche di questo tipo, passeranno attraverso il mercato e allora la competizione, indubbiamente non facile per Piombino, sarà quella dettata come sempre solo dalla legge della domanda e dell’offerta.