Fondere e cancellare i Comuni per legge è sbagliato
SUVERETO 22 ottobre 2015 — La spesa degli enti pubblici e la necessaria riorganizzazione.
Partire da questo assunto è estremamente importante, perché deve essere chiaro per tutti che il limite della spesa vale per ogni aspetto e per ogni settore della pubblica amministrazione. Però non può significare che l’assunto debba essere preso come oro colato a discapito dei rapporti con i cittadini e con i territori. Questa è la prima cosa che nessuno può dimenticare, prima tra tutti la politica.
Rilevare che i Comuni anche in Toscana sono troppi e con questi non si può governare, appare come una brutta semplificazione che denota scarsità di argomenti oggettivi, perché dovrebbe essere chiaro per tutti, molto di più e meglio per i dirigenti del partito di maggioranza sia in Regione che a livello nazionale, e si peggiorano le cose quando si parla di fusione tra comuni, partendo appunto dall’assunto che così prendiamo soldi e possiamo investire per governare meglio.
La cancellazione di un Comune deve essere un processo culturale che nasce e si sviluppa dal basso con una grande capacità di governo della pubblica amministrazione che attua, giorno dopo giorno, tutti quegli accorgimenti che dovranno consentire di praticare risparmio nel governo della cosa pubblica, serve dare una giusta strada alla gestione dei servizi comunali, dimostrando che questi possono essere gestiti in forma associata, utilizzando meno mezzi, meno personale e quindi meno soldi, per fare le stesse cose e forse addirittura di più.
Invece si assiste ad una incapacità complessiva davvero forte, non comprensibile e nemmeno condivisibile. Prendiamo ad esempio la nostra Val di Cornia, tutti i sindaci che governano questi Comuni sono stati eletti con impegno solenne delle forze politiche che li sostenevano per fare subito l’Unione dei Comuni, addirittura aperta alla Val di Cecina e alle Colline Metallifere. Ma purtroppo, come sempre, quando si afferma troppo finisce che non ne esce niente. Ad oggi, dopo oltre un anno e mezzo dalla sua elezione, non è successo niente e si continua a lamentarsi perché non ci sono soldi, e quel che è peggio “ognun per sé procede”.
La cosa più grottesca è la previsione di fare le fusioni per legge, fregandosene dei cittadini, dei loro pensieri e del loro attaccamento al proprio campanile, che non è vero che rappresenta sempre uno sguardo vecchio e girato indietro. Spesso è amore per il proprio territorio, è attaccamento alla propria storia, che non si contrappone ad altri ma esalta solo se stessi. Eppure la storia del mondo è piena di tentativi di imporre per legge, ma che non hanno prodotto mai niente, quello che conta è sempre un processo culturale e sociale che la politica dovrebbe costruire e allargare in ogni suo aspetto. Quando manca questa azione, la fiducia viene meno e infatti al voto vanno poco più della metà degli aventi diritto. Spero si torni a contare i voti e non si guardi solo le percentuali, perché quelle che escono sono false, dividiamole per due e rimarremo strabiliati in negativo, ovviamente se riteniamo importante una partecipazione consapevole dei cittadini.
La realtà vera è quella che dobbiamo considerare il bisogno dei cittadini di avere un riferimento preciso, diretto e vicino, che garantisce il proprio diritto di parola, che non significa spendere troppo, significa soltanto riconoscere al cittadino il diritto di sentirsi partecipe e ascoltato. Ed allora correre in avanti, affermando che soltanto la fusione può darci le condizioni di fare investimenti è scelta miope che considera i cittadini come esseri inermi in attesa di qualcuno che produce per loro idee che in teoria vorrebbero apparire come nuove. Ed allora rispettiamo la realtà delle cose, mettiamo in essere tutti quei metodi di governo che consentiranno di dimostrare che insieme è meglio, per la cosiddetta economia di scala. Nello stesso tempo mettiamo mano alla legislazione sui municipi, perché sia chiaro che un Comune che chiude non può accontentarsi di avere un pro-sindaco che conta quanto il due di briscola quando l’asso è in tavola, ma dobbiamo garantire una giusta rappresentanza che mantenga voce attiva al territorio che si propone di togliere il comune.
Quello che conta insomma, non sono programmi roboanti ancora da confrontare, ma la politica e le istituzioni hanno l’obbligo morale di confrontare con tutti i cittadini le proposte e le nuove idee, prima di farle divenire atti ufficiali, dimostrando in primis che non è la democrazia che soffre o viene ristretta, ma cercando la voce e il pensiero dei cittadini, per giungere a decisioni condivise e non certo obbligate.
Così facendo possiamo garantire che non produrremo brutte e deleterie divisioni nelle comunità, ma avremo costruito una capacità di governo che non gioca al più uno, ma che riesce a fare e proporre, partendo proprio dalla esaltazione del valore della partecipazione nelle comunità, salvaguardando quel potenziale delle identità dei luoghi, che nessun denaro potrebbe offuscare.
Walter Gasperini