Fondi europei, ricercatori bloccati dalla burocrazia
PIOMBINO 15 febbraio 2014 — In vista delle Elezioni Europee che si terranno tra il 22 e il 25 maggio è utile fare il punto sul tema degli investimenti in ricerca e innovazione che rappresenta uno degli snodi fondamentali della crescita in Europa e soprattutto in Italia. Non che la presenza europea in questo campo sia nuovissima, basta pensare al Settimo programma quadro per la ricerca (2007–2013), alle azioni Marie Curie o le azioni Jean Monnet. E per il futuro non si può non ricordare il programma Horizon 2020. Ma vediamo in particolare l’attenzione rivolta ai giovani ricercatori. Attraverso la Banca europea per gli investimenti (BEI), si ipotizza di poter contare su 12 miliardi di euro per coprire il periodo 2014 e il 2015 che consentiranno agli stati membri di avviare i rispettivi programmi nazionali e regionali per investire in competenze, formazione e ricerca ma anche in prestiti agli studenti e in programmi di mobilità. Dunque le prospettive di ricerca e innovazione sembrano essere molto buone per l’imminente futuro. La questione delicata è quanto il sistema italiano, specialmente il sistema universitario sia pronto e competente nel gestire possibili progetti vincenti da parte di ricercatori italiani. Per essere più chiari, la gestione dei fondi europei che sono stati fino ad adesso erogati nei confronti dei nostri ricercatori al fine di portare avanti progetti molto importanti per la comunità scientifica, risulta essere molto lacunosa. Prendiamo come esempio lo European Research Council (ERC), un organismo dell’Unione europea che finanzia i ricercatori di eccellenza di qualsiasi età e nazionalità che intendono svolgere attività di ricerca avanzata ed innovativa negli Stati membri dell’UE o associati. Un ricercatore che abbia terminato il dottorato da almeno 2 fino ai 7 anni (limite massimo per rientrare come partecipante “junior”), può concorrere, attraverso la presentazione di un progetto innovativo e di eccellenza, ad un finanziamento fino ad un massimo di 1,5 milioni di euro per 5 anni. Sembrerebbe un’ ottima opportunità ma Lavoce.info ha riportato un esempio: dei 287 giovani ricercatori europei che nel 2013 hanno vinto gli starting grants, ovvero i fondi assegnati dallo European Research Council solo otto studiosi hanno scelto l’Italia come sede della propria ricerca. Davvero pochi in confronto ai 60 diretti in Gran Bretagna e ai 46 che hanno scelto la Germania. E degli otto attirati dal nostro Paese? Beh, sette erano italiani. Uno solo straniero. Paese di emigranti snobbato dai talenti stranieri, l’Italia. Perché succede tutto questo? Molti sono i fattori. Tra i più importanti c’è il fatto che se un giovane ricercatore italiano vince una consistente somma di fondi per la ricerca non può essere in grado di gestirli al meglio qui in Italia a causa di una serie di intoppi burocratico — amministrativi. Io stesso, titolare di un fondo del Ministero della Salute, non posso ad esempio assumere a tempo determinato o con borsa di studio (per durata del mio progetto) un dottorando o post-dottorando straniero perché lo stipendio massimo per i termini contrattuali stabiliti sia da un’ azienda che dall’università non sono equiparati agli standard internazionali. Che cosa significa? Significa che se io sono un post-dottorando inglese e guadagno tra le 1800 e le 2300 euro al mese in Inghilterra o in Germania lavorando in Italia potrei guadagnare al massimo 1300 euro, nonostante l’ampia disponibilità di fondi. Il sistema limita l’erogazione dei fondi a disposizione, per cui il post-dottorando inglese non potrebbe mantenersi da solo qui in Italia. Ancor più grave è il fatto che per la maggior parte dei progetti finanziati in Italia non è possibile comprare apparecchiature per lavorare, ma solo noleggiarle. Ecco, se io ho 200 o 300.000 euro a disposizione per un progetto di ricerca non posso comprare un computer, ma solo noleggiarlo. Scusate ma dove posso noleggiare un computer? Questo solo per dare un’indicazione del motivo per cui se i progetti di ricerca nazionali ed europei possono dare una speranza ai tanti ricercatori italiani l’esodo verso l’estero resta comunque una solida realtà sempre più inarrestabile.
Sviluppare un progetto, un’idea, implica portarla a termine e conseguentemente dare il via alla sua trasferibilità. Invece, dopo 3 o 5 anni di finanziamento, cosa resta a noi ricercatori? Fermarsi. E fermare qualcosa che può portare benessere alla società perché dopo aver sviluppato un progetto di ricerca non si può più andare avanti., occorre fermarsi L’unico modo è passare ad un altro progetto (sempre che si riesca a vincerlo), restare senza lavoro, oppure emigrare. E’ come costruire le basi per un ponte e non concluderlo. Soldi buttati via. Dati solo per far campare alcuni di noi. Vinci un progetto europeo e decidi di svilupparlo all’estero? È la soluzione migliore perché la maggior parte delle Università del nord Europa sarebbero talmente onorate di ospitarti tanto da assicurarti anche un ruolo accademico strutturato a tempo indeterminato. Sarebbe un privilegio per loro avere nel loro organico un ricercatore che ha vinto un progetto tanto importante. Nemmeno a pensarci in Italia. Questi sono fatti veri.
Ci saranno molti soldi europei per la ricerca ma i futuri parlamentari dovrebbero rivendicare per l’Unione europea un ruolo più forte nei confronti dei Paesi membri fino a tagliare i finanziamenti se questi non elinminano tutte le barriere che rendono la ricerca non produttiva e non creano un a,mbiente incentivamente per i singoli ricercatori. L’Unione europea detta regole e vincoli forti nel campo dei bilanci pubblici, li detti anche nel campo della ricerca. Anche l’Italia di adeguerà. E i parlamentari europei si occupino di questi problemi e non si fermino solo alla declamazione del valore dell’ unità europea. Non facendolo creeranno spazi enormi per nazionalismi, populismi e demagogie che l’unità europea proprio non la vogliono.