Gli appelli all’unità smentiti dall’ arroganza
PIOMBINO 10 febbraio 2017 — La vicenda Aferpi si tinge di tinte sempre più scure, il susseguirsi di incontri ministeriali non ha portato a nulla, sempre le stesse promesse da una parte e sempre le stesse inascoltate richieste perentorie di garanzie dall’altra: un film che si è ripetuto nella riunione dello scorso martedì fra il ministro Calenda e Rebrab.
Peraltro, la cosa che desta curiosità è l’assenza, od il mancato invito, del sindaco di Piombino.
In tali consessi dovrebbe essere sempre presente, in funzione dei temi trattati e del ruolo di rappresentante della comunità intera.
Non vorremmo che ci fosse una parte autorevole della politica, quella che sembra defilarsi dalle problematiche industriali come se non avesse evidenti responsabilità passate, che sta tentando di coprirsi le spalle, giocando una partita tattica in funzione di eventuali sviluppi negativi, creando un capro espiatorio da lasciare in solitudine con il cerino in mano.
Ovviamente si tratterebbe di un gioco al massacro ma d’altra parte siamo abituati a questi metodi in questo territorio.
Anche gli appelli all’unità non possono che cadere inascoltati, dopo che da anni la maggioranza è rinchiusa nel suo fortino con arroganza ed autosufficienza, senza nessun tipo di disponibilità al dialogo con le opposizioni e con quella parte di società civile più distante dal tradizionale consociativismo locale.
Una situazione oramai fortemente deteriorata ed un immobilismo generale che non è più accettabile.
Non si può andare avanti con le promesse o con la dilazione dei tempi, le risposte servono subito, il governo deve avere il coraggio di fare un passo definitivo prima che sia troppo tardi.
Se il ministro Calenda non crede più al progetto di Aferpi è inutile che continui a chiedere garanzie, che sarebbero dovute già in parte essere state presentate mesi fa: si comporti di conseguenza nei confronti di Rebrab.
Lo Stato ha speso un mare di soldi per Piombino, che non sono serviti a garantire una prospettiva lungimirante in nessun ambito, compreso il porto, che è ancora una delle tante opere incompiute, al di là di ciò che si voglia far credere.
Pertanto è giunto il momento che il governo si faccia carico definitivamente di questa vertenza, prima che si arrivi alla data fatidica in cui non potrà più incidere autorevolmente. Si deve imporre alle pressioni di coloro che continuano solo per meri interessi di parte a sostenere un percorso al quale oramai non crede più nessuno, soprattutto negli ambiti istituzionali più autorevoli.
Piombino doveva vivere una conversione soft, passando dalla siderurgia pesante a quella leggera, per poi sviluppare la vera alternativa con la logistica portuale, con l’agroalimentare, come prevedeva l’accordo di programma, e con tanti altri interventi minori di largo respiro.
Invece alla fine si è tutto impantanato in una palude strumentale improntata sull’acciaio, dalla quale non si vede più una concreta via d’uscita.
Per poca lungimiranza è stato scelto, contro qualsiasi logica di sviluppo diversificato, un unico e solo protagonista, che potrebbe a breve definitivamente condizionare nel bene e nel male tutta l’economia territoriale per gli anni a venire.
Comunque andrà a finire questa complessa vicenda, è prevedibile un ulteriore fisiologico ridimensionamento generale di qualsiasi alternativo progetto industriale.
L’auspicio è che si possa ripartire con convinzione e sobrietà, ripensando un modello di sviluppo più funzionale alle esigenze dell’economia moderna, che parta dai piccoli progetti imprenditoriali, sfruttando le aree industriali che potrebbero liberarsi (se bonificate e rese fruibili dalle infrastrutture) in un breve futuro.
Perchè ciò accada, è opportuno abbandonare la cultura assistenzialista novecentesca di cui è impregnato questo territorio, rimettendo al centro delle future politiche urbanistiche gli appetiti delle libere imprese, quelle vere, presenti sul mercato, ben distanti dalle formule imprenditoriali assistenzialistico-clientelari che hanno da sempre proliferato nella nostra realtà.
(Foto di Pino Bertelli)