Gli appelli all’unità smentiti dall’ arroganza

Luigi Coppola

PIOMBINO 10 feb­braio 2017 — La vicen­da Afer­pi si tinge di tinte sem­pre più scure, il susseguir­si di incon­tri min­is­te­ri­ali non ha por­ta­to a nul­la, sem­pre le stesse promesse da una parte e sem­pre le stesse inascoltate richi­este per­en­to­rie di garanzie dal­l’al­tra: un film che si è ripetu­to nel­la riu­nione del­lo scor­so mart­edì fra il min­istro Cal­en­da e Rebrab.
Per­al­tro, la cosa che des­ta curiosità è l’assen­za, od il man­ca­to invi­to, del sin­da­co di Piom­bi­no.
In tali cons­es­si dovrebbe essere sem­pre pre­sente, in fun­zione dei temi trat­tati e del ruo­lo di rap­p­re­sen­tante del­la comu­nità intera.
Non vor­rem­mo che ci fos­se una parte autorev­ole del­la polit­i­ca, quel­la che sem­bra defi­lar­si dalle prob­lem­atiche indus­tri­ali come se non avesse evi­den­ti respon­s­abil­ità pas­sate, che sta ten­tan­do di coprir­si le spalle, gio­can­do una par­ti­ta tat­ti­ca in fun­zione di even­tu­ali svilup­pi neg­a­tivi, cre­an­do un capro espi­a­to­rio da las­cia­re in soli­tu­dine con il ceri­no in mano.
Ovvi­a­mente si trat­terebbe di un gio­co al mas­sacro ma d’al­tra parte siamo abit­uati a questi meto­di in questo ter­ri­to­rio.
Anche gli appel­li all’u­nità non pos­sono che cadere inascoltati, dopo che da anni la mag­gio­ran­za è rinchiusa nel suo forti­no con arro­gan­za ed auto­suf­fi­cien­za, sen­za nes­sun tipo di disponi­bil­ità al dial­o­go con le oppo­sizioni e con quel­la parte di soci­età civile più dis­tante dal tradizionale conso­cia­tivis­mo locale.
Una situ­azione ora­mai forte­mente dete­ri­o­ra­ta ed un immo­bil­is­mo gen­erale che non è più accetta­bile.
Non si può andare avan­ti con le promesse o con la dilazione dei tem­pi, le risposte ser­vono subito, il gov­er­no deve avere il cor­ag­gio di fare un pas­so defin­i­ti­vo pri­ma che sia trop­po tar­di.
Se il min­istro Cal­en­da non crede più al prog­et­to di Afer­pi è inutile che con­tinui a chiedere garanzie, che sareb­bero dovute già in parte essere state pre­sen­tate mesi fa: si com­por­ti di con­seguen­za nei con­fron­ti di Rebrab.
Lo Sta­to ha spe­so un mare di sol­di per Piom­bi­no, che non sono servi­ti a garan­tire una prospet­ti­va lungimi­rante in nes­sun ambito, com­pre­so il por­to, che è anco­ra una delle tante opere incom­piute, al di là di ciò che si voglia far credere.
Per­tan­to è giun­to il momen­to che il gov­er­no si fac­cia cari­co defin­i­ti­va­mente di ques­ta verten­za, pri­ma che si arrivi alla data fatidi­ca in cui non potrà più incidere autorevol­mente. Si deve imporre alle pres­sioni di col­oro che con­tin­u­ano solo per meri inter­es­si di parte a sostenere un per­cor­so al quale ora­mai non crede più nes­suno, soprat­tut­to negli ambiti isti­tuzion­ali più autorevoli.
Piom­bi­no dove­va vivere una con­ver­sione soft, pas­san­do dal­la siderur­gia pesante a quel­la leg­gera, per poi svilup­pare la vera alter­na­ti­va con la logis­ti­ca por­tuale, con l’a­groal­i­menta­re, come prevede­va l’ac­cor­do di pro­gram­ma, e con tan­ti altri inter­ven­ti minori di largo respiro.
Invece alla fine si è tut­to impan­tana­to in una palude stru­men­tale impronta­ta sul­l’ac­ciaio, dal­la quale non si vede più una conc­re­ta via d’us­ci­ta.
Per poca lungimi­ran­za è sta­to scel­to, con­tro qual­si­asi log­i­ca di svilup­po diver­si­fi­ca­to, un uni­co e solo pro­tag­o­nista, che potrebbe a breve defin­i­ti­va­mente con­dizionare nel bene e nel male tut­ta l’e­cono­mia ter­ri­to­ri­ale per gli anni a venire.
Comunque andrà a finire ques­ta com­p­lessa vicen­da, è preved­i­bile un ulte­ri­ore fisi­o­logi­co ridi­men­sion­a­men­to gen­erale di qual­si­asi alter­na­ti­vo prog­et­to indus­tri­ale.
L’aus­pi­cio è che si pos­sa ripar­tire con con­vinzione e sobri­età, ripen­san­do un mod­el­lo di svilup­po più fun­zionale alle esi­gen­ze del­l’e­cono­mia mod­er­na, che par­ta dai pic­coli prog­et­ti impren­di­to­ri­ali, sfrut­tan­do le aree indus­tri­ali che potreb­bero lib­er­ar­si (se boni­fi­cate e rese fruibili dalle infra­strut­ture) in un breve futuro.
Per­chè ciò acca­da, è oppor­tuno abban­donare la cul­tura assis­ten­zial­ista nove­cen­tesca di cui è impreg­na­to questo ter­ri­to­rio, rimet­ten­do al cen­tro delle future politiche urban­is­tiche gli appeti­ti delle libere imp­rese, quelle vere, pre­sen­ti sul mer­ca­to, ben dis­tan­ti dalle for­mule impren­di­to­ri­ali assis­ten­zial­is­ti­co-clien­te­lari che han­no da sem­pre pro­lif­er­a­to nel­la nos­tra realtà.

(Foto di Pino Bertel­li)

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