I Comuni cosa diranno alla Regione su cave e rifiuti?
PIOMBINO 24 agosto 2016 — La Regione Toscana ha avviato il 1° agosto il procedimento per la formazione del nuovo piano regionale cave (PRC). Un piano di notevole importanza dato che
i giacimenti individuati costituiranno invarianti strutturali ai sensi della normativa regionale in materia di governo del territorio e individuazione dei fabbisogni, dei giacimenti, dei comprensori estrattivi.
I criteri per la localizzazione delle aree a destinazione estrattiva avranno effetto prescrittivo in materia di pianificazione territoriale. E dunque anche per i Comuni.
La Val di Cornia è molto interessata sia per motivi oggettivi (le attività di cava esistenti) sia per motivi più strettamente politici (le conclamate intenzioni di abbandono di quelle attività in relazione ai concetti di economia circolare ed ai progetti di bonifica del territorio sopratutto industriale). La stessa sindaca di Campiglia, Rossana Soffritti ebbe a dire il 7 ottobre 2015: «… la Regione si appresta a definire i contenuti e le strategie delle attività estrattive dei prossimi 10 anni nel nuovo piano cave, credo che se e quale ruolo debba rivestire questo territorio lo si debba trovare lì dentro e lo si debba definire in contraddittorio con noi…».
Ebbene quel momento è venuto. Cerchiamo allora di vedere i problemi che sono sul tappeto. Almeno quelli fondamentali sui quali le istituzioni della Val di Cornia non potranno non esprimere la loro volontà.
La realtà
La realtà delle cave presenti in Val di Cornia, secondo lo stesso documento regionale, parla soprattutto di due tipologie:
le cave di materiali per usi industriali,
le cave di materiali per costruzione.
La provincia che produce i maggiori quantitativi della prima è quella di Livorno: le cave del campigliese, sebbene abbiano fortemente ridotto le produzioni, rimangono le maggiori produttrici di calcare. A tal proposito deve essere evidenziato che le cave di Campiglia e San Vincenzo sono espressamente autorizzate all’estrazione di questo tipo di materiale ma nel contesto regionale subiscono una forte concorrenza da parte dai residui dell’estrazione dei blocchi di marmo apuani.
Per quel che riguarda la seconda le province di Lucca, Grosseto e Livorno sono le maggiori produttrici di materiali per costruzioni, ma nessuna spicca sulle altre. Le cave più importanti sono quelle di Pescaglia in provincia di Lucca, quelle di Monte Calvi e di Monte Valerio nel Comune di Campiglia Marittima con produzioni superiori a 200.000 metri cubi annui.
Piccole attività a Suvereto e Campiglia riguardano le cave di materiali per usi ornamentali e le cave di reperimento dei materiali ornamentali storici.
Le finalità e gli obbiettivi
«Attraverso il Piano Regionale Cave – dice il documento dal quale siamo partiti — la Regione persegue le finalità di tutela, valorizzazione, utilizzo dei materiali di cava in una prospettiva di sviluppo durevole e sostenibile, privilegiando il riuso dei materiali assimilabili.
Le priorità della politica regionale sono identificate dal Documento di economia e finanza regionale 2016 attraverso 15 Progetti regionali.
Tra questi, uno specifico progetto regionale (Progetto Regionale 3) è destinato al “Rilancio della competitività della costa”… Nell’ambito del progetto, accanto ad interventi per il rilancio delle aree di crisi di Piombino, Livorno e Massa Carrara, azioni per la mitigazione del rischio idraulico e per lo sviluppo delle imprese agroalimentari, si colloca l’elaborazione della proposta del nuovo Piano Regionale Cave».
Il Progetto regionale 3, citato, prevede che il piano regionale cave «persegue finalità di tutela, valorizzazione, utilizzo dei materiali di cava in una prospettiva di sviluppo durevole e sostenibile e individua sul territorio i giacimenti potenzialmente scavabili, definisce i fabbisogni delle tipologie di materiali su scala regionale e gli obiettivi di produzione sostenibile a livello di comprensorio».
Ma ancor più esplicita è la proposta di programma regionale di sviluppo 2016–2020, già approvata dalla Giunta regionale, con l’affermazione che per il rilancio dell’economia costiera e non solo, un ruolo importante può essere rivestito inoltre dal settore delle attività estrattive che con la sua filiera si contraddistingue per la rilevanza economica, sociale ed occupazionale, non soltanto nei territori direttamente interessati (tra i quali l’area apuo-versiliese), ma per l’intera Toscana. La stessa proposta di piano si pone come obiettivo quello di promuovere la tutela, la valorizzazione e l’utilizzo dei materiali di cava in una prospettiva di sviluppo durevole e sostenibile, privilegiando il riuso dei materiali assimilabili, in coerenza con le politiche ambientali e paesaggistiche e con attenzione alle politiche di promozione delle filiere produttive locali, rafforzando inoltre il sistema dei controlli.
Il problema fondamentale
Queste le volontà della Regione, ma qui sorge il problema fondamentale che consiste nel fatto che nessuna parola si spende sulla relazione tra bonifiche industriali, riuso dei materiali e sostituzione con questi dei materiali di cava., sopratutto quelli che, essendo finalizzati alle costruzioni, lo possono essere.
Come se le cave non avessero niente a che fare con quello che una volta la sindaca di Campiglia ebbe a definire «un tema che sottende alle grandi questioni della politica moderna quali: riciclo, riuso, sostenibilità, occupazione e nuovi modelli di sviluppo».
La cosa non promette niente di buono (lasciamo pure da parte tutta la vicenda Tap di cui Stile libero ha abbondantemente parlato) tanto più se si ricorda che cosa è successo nell’occasione del passaggio da Asiu a RiMateria. Nella deliberazione del Comune di Piombino si afferma che “gli scarti in questione (sono gli scarti della produzione di acciaio da ciclo integrale a Piombino, ndr) possono sostituire, in tutto o in parte, i materiali di cava estratti nei Comuni di Campiglia Marittima e S.Vincenzo e destinati alle realizzazione delle importanti opere infrastrutturali del territorio” mentre nelle deliberazioni di Campiglia e San Vincenzo questo passo scompare.
Aggiungiamo che nella parte del documento regionale che tratta delle relazioni tra il piano regionale cave ed il piano regionale di gestione dei rifiuti e bonifica dei siti inquinati sulla Val di Cornia su questo non si spende mezza parola.
Se si ricorda che dei rifiuti industriali e del riuso dei materiali relativi non si fa il minimo cenno in tutti gli accordi di programma firmati negli ultimi anni i dubbi aumentano.
La domanda
La domanda è: il problema del contenimento delle attività delle cave è un obbiettivo dei Comuni della Val di Cornia e lo sosterranno nella discussione con la Regione perché esso sia raffigurato concretamente nella versione finale del piano regionale delle cave o no?
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La domanda con cui la redazione conclude l’articolo mi sembra retorica. La risposta, come voi stessi ricordate, per me l’hanno già data i Comuni di Campiglia Marittima e San Vincenzo nella delibera che prevede la cessione del 60% delle quote azionarie di Rimateria a privati togliendo la frase che affermava che i rifiuti industriali recuperati dalla bonifica del SIN di Piombino: “possono sostituire, in tutto o in parte, i materiali di cava provenienti dai comuni di Campiglia e San Vincenzo destinati alla realizzazione di opere infrastrutturali”.
Il piano Rimateria a differenza delle intenzioni dichiarate e dei principi sbandierati ha il solo risultato di far sparire, almeno per ora, il debito di oltre 20 milioni di euro che grava su ASIU gestita da sempre dai Comuni della zona. Debito di cui nessuno renderà conto come di tutti gli impianti in parte finanziati anche con soldi della Comunità Europea e non funzionanti, come dei progetti di bonifica affidati ad ASIU e mai terminati.
Per far funzionare economicamente uno di questi impianti, quello della TAP, che doveva trasformare dopo selezione parte dei cumuli presenti nell’area LI53 e trasformarli in “misto cementato”, sono necessarie varie condizioni: tassazione molto superiore all’attuale dei materiali di cava; raccolta, deposito in discarica di detto materiale da parte di ditte disposte a pagare tutti questi costi compreso il costo del conferimento ad ASIU; basso costo energia; ripotenziamento dell’impianto; vi sono poi problemi tecnici e normativi. Tutti problemi e scelte di difficile attuazione.
Il progetto di ampliamento della discarica di Ischia di Crociano su cui si basa la prima fase del progetto Rimateria ha visto cittadini e associazioni presentare numerose osservazioni alla VIA presentata in Regione. Le risposte a tali domande sia da parte di ASIU che della Regione Toscana non sono state convincenti. Spero che quanto prima anche tale argomento sia approfondito.
Egr. Sig. Carletti, l’unica alternativa al progetto RIMateria era il fallimento di Asiu, la perdita di 130 (centotrenta) posti di lavoro, l’impossibilita’ di risanare anche le aree dove attualmente insistono 4 (quattro) discariche (di cui una abusiva e…fino ad oggi ignorata) e la rinuncia ad uno strumento di sviluppo utile alle bonifiche. Tutti i gusti son gusti…
Egr. Sig .Poli, i dipendenti ASIU anche senza il progetto Rimateria sarebbero passati sotto SEI Toscana, come in effetti è avvenuto. I rimanenti 40 dipendenti avrebbero trovato posto nella amministrazione statale. Le bonifiche non dipendono in alcun modo dal progetto Rimatera; qualsiasi bonifica sia che si tratti di amianto che di altri rifiuti industriali ha bisogno di soldi…che certo non fornirà Rimateria!!! Rimateria potrà concorrere insieme ad altre ditte a ricevere i rifiuti ed eventualmente riciclarli se qualcuno tirerà fuori i soldi. Le discariche adiacenti a quella attuale servono a Rimateria ad ampliare la discarica di Ischia di Crociano…perchè una nuova discarica non potrebbe per le leggi attuali essere autorizzata.…tutte cose che lei certamente conosce…ma volutamente ignora.