Consiglio di Stato: no all’affidamento in house
PIOMBINO 15 giugno 2015 — Con la sentenza 2291 del 2015 (per leggere clicca qui) il Consiglio di Stato ha provveduto a definire, in un’ottica decisamente restrittiva, i confini entro i quali le Pubbliche Amministrazioni possono ricorrere all’attribuzione di incarichi finalizzati all’espletamento di pubblici servizi attravero l’affidamento cosidetto “in house” sottraendosi così alla regola generale che pretende il meccanismo delle procedure ad evidenza pubblica al fine di garantire l’effettività delle norme poste a tutela della concorrenza e del libero mercato.
Con tale provvedimento (ultimo di una lunga serie) il CdS procede su un sentiero già battuto dalla giurisprudenza comunitaria: l’idea di affidamento in house fa la sua comparsa nel 1999, con la sentenza “Teckal”, che ne fissa le condizioni. In primo luogo, perché un’amministrazione possa affidare un incarico ad un soggetto senza bando pubblico, è necessario che tale soggetto, anche se distinto giuridicamente dall’aggiudicatrice, sia sottoposto ad un “controllo analogo” da parte di quest’ultima. Secondariamente, il destinatario deve svolgere la parte più importante della propria attività nei confronti dell’amministrazione che lo controlla.
Per quanto riguarda il concetto di “controllo analogo”, è stato definito dal Consiglio di Stato come il «rapporto equivalente, ai fini degli effetti pratici, ad una relazione di subordinazione gerarchica; tale situazione si verifica quando sussiste un controllo gestionale e finanziario stringente dell’ente pubblico sull’ente societario. In detta evenienza, pertanto, l’affidamento diretto della gestione del servizio è consentito senza ricorrere alle procedure di evidenza pubblica prescritte dalle disposizioni comunitarie» (Consiglio di Stato, sez VI, n. 168/2005). Si tratta di quello che la Commissione aveva già indicato come «un assoluto potere di direzione, coordinamento e supervisione dell’attività del soggetto partecipato e che riguarda l’insieme dei più importanti atti di gestione del medesimo». In sostanza, il soggetto aggiudicatario finisce per essere gestito come un organo dell’ente che ne detiene la totalità delle partecipazioni, consentendo così di evitare la pubblica gara senza incorrere in distorsioni della concorrenza: finalità presidiata anche dal secondo requisito, identificabile con il “criterio della prevalenza”. Prevedendo infatti che l’aggiudicatario svolga la “parte più importante” della propria attività nei confronti dell’aggiudicatrice, il legislatore comunitario si riferisce a parametri sia qualitativi che quantitativi. Non basta che la società affidataria svolga la maggior parte della propria attività nei confronti dell’ente o degli enti che hanno provveduto all’attribuzione dell’incarico: è necessario che la prevalenza sia netta e garantisca l’esclusività del rapporto. Esclusività che, in mancanza di parametri più nitidi, dev’essere valutata di volta in volta in relazione al caso concreto. Da un punto di vista più strettamente qualitativo, la prevalenza viene commisurata al fatturato realizzato. In ogni caso, l’eventuale presenza della società aggiudicataria sul mercato, pur se in misura limitata, è di per sé idonea ad alterare la par condicio con altre imprese che operano nello stesso settore e, quindi, suscettibile di censura. È bene ribadire che, alla base di operazioni di questo tipo, l’obiettivo è il perseguimento dell’interesse pubblico in ossequio ai criteri di economicità, efficienza, efficacia, trasparenza, imparzialità e quindi buon andamento della pubblica amministrazione.
Sinteticamente, la questione su cui si è pronunciato il CdS riguardava l’affidamento diretto del servizio di pulizia e sanificazione di tutte le strutture della ASL da parte dell’ASL di Brindisi ad una S.r.l., con pregiudizio del gestore uscente dei servizi, a suo tempo selezionato tramite procedura ad evidenza pubblica. Il punto di riferimento giuridico è, in questo caso, l’art. 4 co. 7 del d.l. 95/2012, convertito in legge 135/2012: «al fine di evitare distorsioni della concorrenza e del mercato e di assicurare la parità degli operatori nel territorio nazionale, a decorrere dal 1° gennaio 2014 le pubbliche amministrazioni […] acquisiscono sul mercato i beni e servizi strumentali alla propria attività mediante le procedure concorrenziali previste dal citato decreto legislativo». Viene poi ammessa l’acquisizione in via diretta di beni e servizi tramite convenzioni specificatamente indicate. Il CdS parte dal presupposto che la gestione in house abbia carattere derogatorio rispetto alla selezione tramite procedura ad evidenza pubblica, così come risulta dall’articolo citato, il cui scopo è quello di limitare il ricorso delle pubbliche amministrazioni a società controllate «al dichiarato fine di “evitare distorsioni della concorrenza e del mercato e di assicurare la parità degli operatori nel territorio nazionale”». I giudici di Palazzo Spada continuano così: «L’affidamento diretto del servizio – anche laddove non si traduca nella creazione di posizioni di vantaggio economico che l’impresa in house possa sfruttare nel mercato, presentandosi come “particolarmente” competitiva, con conseguente alterazione della par condicio – rileva comunque ai fini della tutela della concorrenza in quanto sottrae al libero mercato quote di contratti pubblici, nei confronti dei quali le imprese ordinarie vengono escluse da ogni possibile accesso». Nella sentenza viene inoltre citato l’art. 12 della direttiva 24/2014/UE, contenente la disciplina in materia di affidamento in house, che dovrà essere recepita dai singoli Stati membri entro l’aprile 2016, ma ritenuta “selfexecuting” per via del contenuto incondizionato e preciso. Anche il riferimento a tale normativa sostiene l’impostazione pro-concorrenziale adottata dal Consiglio di Stato, in quanto «la circostanza che un affidamento in house non contrasti con le direttive comunitarie non vuol dire che sia contraria all’ordinamento UE una norma nazionale che limiti ulteriormente il ricorso all’affidamento diretto». Tralasciando qui i dettagli particolari della causa in questione, è chiaro come la giurisprudenza tenda ad asseverare l’impostazione del legislatore nazionale che, pur lasciando le amministrazioni relativamente libere di scegliere come perseguire i propri obiettivi attraverso la valutazione di mezzi, metodi e tempi che rispondano a criteri di economicità, efficienza ed efficacia (Best Value), stimola e promuove il reperimento delle risorse necessarie attraverso l’outsourcing, ossia la ricerca “esterna” per mezzo dei bandi di gara e dei procedimenti ad evidenza pubblica, ponendo come valore prevalente la tutela delle opportunità dei diversi soggetti operanti sul mercato.