Il dilemma dei Parchi: pubblici o privati?
Nella storia della società Parchi, nata nel 1993 per volontà dei 5 comuni della Val di Cornia, ci sono due date importanti. Il 1998 anno dell’inaugurazione del Parco archeologico di Baratti e Populonia, e il 2007, anno di modifica del Decreto Legislativo n. 42/2004, che ha di fatto segnato uno spartiacque nella storia della società.
Prima di quella data, infatti, il patto che ha retto la Parchi e che le ha consentito di raggiungere risultati molto significativi in termini di ricadute economiche e di immagine per l’intero territorio, si fondava sull’attribuzione alla società di attività economiche redditizie come la gestione dei parcheggi a pagamento nelle aree balneari, o la riscossione degli affitti delle strutture ricettive e di servizio all’interno dei Parchi, i cui introiti erano in grado di garantire la gestione del patrimonio storico, archeologico e naturalistico dei Comuni con un loro impegno economico diretto sempre minore. Un modello portato ad esempio in tutta Italia, anche per la scelta di costituire una società per azioni pubblico/privata per gestire beni culturali e ambientali.
Dal 2007 in poi, però, le novità introdotte in materia di società partecipate hanno imposto ai comuni di fare una scelta. Se la Parchi voleva continuare ad avere la gestione diretta dei parchi archeologici doveva essere trasformata in una società totalmente pubblica. Al contrario, rimanendo una società mista pubblico/privata come era allora, avrebbe dovuto partecipare a una gara con altri per assicurarsi la gestione. I comuni scelsero la gestione diretta e trasformarono la società in una partecipata a capitale totalmente pubblico. La prima conseguenza, sul piano sia gestionale che filosofico, è stato lo scivolamento dall’idea di una società che doveva stare in qualche modo sul mercato e attingere sempre più a risorse private, a una società che opera in un regime protetto ma legata indissolubilmente e sempre di più alle risorse pubbliche. Anche perché il quadro normativo successivo ha chiarito definitivamente che società come la Parchi non possono né potranno più gestire attività definite “a rilevanza economica”, come i parcheggi ad esempio, per le quali i comuni dovranno obbligatoriamente procedere a delle gare tra soggetti privati. C’è da stupirsi del fatto che la cosa non sia ancora successa.
Qualcosa in più, però, in effetti è accaduto dal 2007 in poi ed è la decisione assunta dal Comune di Piombino nel 2011 di riprendersi direttamente la gestione dei parcheggi a servizio del Parco della Sterpaia sulla Costa est. Decisione in parte rivista e ridimensionata attraverso una sorta di accordo secondo il quale il Comune di Piombino lascia comunque circa la metà degli incassi alla società Parchi, ma che nella sostanza mette la parola fine all’idea che la Parchi debba gestire e incassare direttamente le risorse provenienti dai parcheggi a pagamento presenti nei vari parchi. Due sono state le ripercussioni immediate di questa scelta: la contrazione delle risorse destinate alla Società e la legittimazione della scelta del Comune di San Vincenzo di mettere a pagamento i parcheggi a Rimigliano senza affidarne la gestione con i relativi incassi alla Parchi.
Fin qui la storia passata e recente. Comunque la si pensi sui fatti esposti, tre cose sembrano evidentemente chiare:
1. Il patto sui cui si reggeva la Parchi fino al 2007 è saltato, sia per le evoluzioni normative nazionali, sia per le scelte dei comuni.
2. In seguito a questi cambiamenti e a causa della sua natura di società partecipata interamente pubblica, la Parchi non potrà più gestire attività a rilevanza economica, che portino cioè un guadagno.
3. La società è e sarà sempre più dipendente da risorse pubbliche per la maggior parte locali, in continua ed inesorabile diminuzione.
A questo si aggiunge un elemento, forse ancora più determinante, che è la perdita di una dimensione e visione unitaria dei 5 comuni soci, oggi avvitati in una discussione schizzofrenica che mette in discussione l’idea stessa della Val di Cornia. Che fare non è semplice. Sicuramente qualcosa va fatto e, giusto per lanciare qualche spunto, le strade potrebbero essere due: fare quello che non fu fatto nel 2007 e cioè privatizzare la società e mettere a gara la gestione dei parchi e dei musei, oppure mantenere la società pubblica come è ora, sapendo che dipenderà interamente da risorse pubbliche, perché per la gestione delle attività a rilevanza economica si dovrà per forza di cose ricorrere al mercato. Come al solito e come sempre è solo questione di scelte.
Tema non facile, l’impostazione iniziale dava quella garanzia territoriale e gestionale indiscutibili, oggi è impensabile lasciare il tutto al pubblico, questa crisi credo non permetta alle istituzioni di mantenere le strutture al meglio e non credo sia uno scandalo privatizzare.
Certo privatizzare vuol dire molta attenzione al come, spesso le privatizzazioni sono state molto discutibili, le gare vanno gestite molto bene.
Non è scandaloso mettere dei paletti a garanzia del territorio dei costi del miglioramento e sviluppo ambientale, d’altronde il nostro territorio se vogliamo migliorarlo a turismo deve crescere con quelle prerogative, lasciarlo come è tutelato ora rischia il degrado.
Spero in una decisione senza interessi personali come a volte vediamo in altre privatizzazioni.