Il grande marasma che non ha risparmiato Piombino
PIOMBINO 14 settembre 2013 — Che la crisi della siderurgia piombinese fosse grave e strutturale è noto da decenni, così come era noto che lo stabilimento Lucchini avrebbe dovuto attivare processi d’innovazione produttiva e di risanamento ambientale, in linea con gli standard europei. Era altresì assodato che la siderurgia, da sola, non sarebbe più bastata ad assicurare il futuro di Piombino e della Val di Cornia e che servivano progetti per la riconversione dei vasti territori industriali dismessi o non utilizzati con bonifiche ambientali e adeguamenti delle infrastrutture (portuali, stradali e ferroviarie) capaci di offrire vantaggi competitivi per nuovi investitori. C’era bisogno di un grandi sforzo di progettualità che è invece mancato.
Le misure del governo Monti e la richiesta di Rossi
Nel 2012 il Governo Monti varò misure urgenti per la crescita del paese (DL 22.06.2013 n.83) tra cui una (art.27) finalizzata alla definizione di “progetti di riconversione e riqualificazione industriale” nelle aree di crisi industriale complessa, da individuarsi a cura del Ministero dello Sviluppo Economico. Non vi è dubbio che Piombino avesse i requisiti per essere classificata come area di crisi industriale complessa.
Nel corso del 2012 il governatore Rossi, in nome dello sviluppo e dell’occupazione, rivendica il diritto allo smantellamento nei porti toscani della “Concordia” in quanto affondata all’Isola del Giglio. Proposta ragionevole se fossero esistiti porti in grado di accogliere una nave da crociera di quelle dimensioni e attrezzati per la sua rottamazione. Molto meno se rivendicata come diritto in quanto affondata in “acque territoriali” antistanti la Regione Toscana. Il porto di Livorno non sembrò interessato all’affare, mentre Comune e Autorità Portuale di Piombino manifestarono da subito interesse e disponibilità.
A Piombino non c’erano né i fondali, né le banchine per accogliere la Concordia. Vi era però un Piano Regolatore Portuale in via di approvazione che prevedeva nuove grandi opere marittime. Era il Piano Regolatore figlio dell’Accordo di programma del 2007 in base al quale nel porto di Piombino dovevano essere smaltiti 2 milioni di mc. di rifiuti provenienti dalla colmata di Bagnoli e 700.000 mc. di sedimenti marini inquinati. Per quei rifiuti occorrevano grandi vasche in mare e per questo vennero modificati il Piano Regolatore del porto e il Piano Strutturale del Comune.
I fanghi “persi” di Bagnoli
Allora i fanghi di Bagnoli furono visti come l’occasione epocale per la rinascita di Piombino, prontamente candidato ad essere il “polo per il trattamento dei rifiuti dei siti d’interesse nazionale da bonificare”.
Siamo alla fine del 2012. La Protezione Civile è impegnata per la rimozione del relitto dall’isola del Giglio entro la primavera del 2013. In pochi mesi si sarebbe dovuto approvare il nuovo Piano Regolatore Portuale, fare i progetti, indire le gare di appalto e realizzare lavori per oltre 100 milioni di euro. Un’impresa impossibile che chiunque avrebbe giudicato priva del minimo fondamento di fattibilità. Chiunque, ma non l’allora Ministro dell’Ambiente Clini per il quale l’evidenza non contò nulla e a più riprese sostenne che la Concordia doveva essere trasferita e demolita nel porto di Piombino. Una posizione che generò perplessità nella stessa Protezione Civile. Per inciso è bene ricordare che l’approvazione del Piano Regolatore Portuale arriva solo nel luglio del 2013 e che non prevede un canale di accesso a ‑20 mt, quanti ne servono invece per grandi navi da crociera come le Concordia.
La vicenda piombinese fa presto il giro dell’Italia e, come era del tutto prevedibile, fa insorge altri porti italiani (tra cui Civitavecchia e Palermo) i quali dichiarano di avere già idonee banchine senza bisogno di spendere centinaia di milioni di denaro pubblico per nuove grandi opere marittime. Divisioni insorgono in Parlamento anche tra gli stessi deputati del PD.
E arrivò il decreto sull’area di crisi complessa ma sul relitto…
Il 26 aprile 2013, nell’ultimo Consiglio dei Ministri del Governo Monti, viene emanato il DL n.43/2013 dal titolo “Disposizioni urgenti per il rilancio dell’area industriale di Piombino, di contrasto ad emergenze ambientali, in favore delle zone terremotate del maggio 2012 e per accelerare la ricostruzione in Abruzzo e la realizzazione degli interventi per Expo 2015” Il Decreto sarà convertito in legge dal nuovo parlamento il 24 giugno 2013 con un voto di fiducia. Nel Decreto non si parla della Concordia. Si riconosce Piombino come area di crisi industriale complessa, si attribuisce carattere d’emergenza agli interventi previsti dal Piano Regolatore Portuale (quello pensato per i fanghi di Bagnoli), si dispone la nomina del Presidente della Regione a Commissario straordinario per l’emergenza e si stabilisce che le opere saranno realizzate con le risorse finanziarie già attribuite alla Regione Toscana, al Comune di Piombino e all’Autorità Portuale. Per l’attuazione degli interventi si prevede, entro 30 giorni, la stipula di un accordo di programma tra Ministeri interessati, Autorità Portuale, Regione Toscana e Comune di Piombino.
E’ quello stipulato il 17 agosto 2013 dal titolo “ Interventi di infrastrutturazione, riqualificazione ambientale e reindustrializzazione dell’area portuale di Piombino”. L’importo delle opere da realizzare è di 133 milioni di euro, così suddivisi
- 111 milioni per dragaggi e opere portuali da attuarsi da parte dell’Autorità Portuale;
- 22 milioni per opere di bonifica dei terreni comunali di Città Futura, della discarica di Poggio ai Venti, delle aree ex Fintecna in prossimità della discarica ASIU di Ischia di Crociano e dei terreni necessari per la realizzazione del primo lotto della SS.398 di accesso al porto, tutte da attuarsi da parte del Comune di Piombino.
Ma la Concordia negli atti esiste o non esiste?
Neppure nel testo dell’Accordo di Programma si richiama la Concordia. Emerge invece in forma residuale ed eventuale negli allegati. Nella scheda progetto sulla caratterizzazione dei fondali marini da dragare si asserisce che “ alla luce dell’esigenza di predisporre i necessari accorgimenti per l’accesso di navi di carico di grandi dimensioni per recuperare la competitività del porto e della logistica connessa alle attività industriali, nonché per l’eventuale accoglienza del relitto Costa Concordia, si è reso indispensabile prevedere l’approfondimento dei fondali per il canale di accesso al porto e per un accosto operativo fino alle profondità di 20 metri, ed è stata pertanto redatta una perizia di variante e suppletiva in corso d’opera n.1.
Nella scheda relativa alle opere portuali da realizzare si asserisce che “ Nel corso delle riunioni tecniche con la Regione Toscana ed i rappresentanti degli insediamenti industriali presenti nelle aree retro portuali è emerso che tra i vari interventi necessari ed urgenti per migliorare la competitività del porto e favorirne la ripresa c’è quello di realizzare una infrastruttura portuale in grado di consentire l’ingresso in porto a navi di grandi dimensioni (fino a 150.000/200.000 DWT), superiori a quelle previste nel nuovo PRP (max 85.000 DWT), così da ridurre i costi di approvvigionamento delle materie prime e dei prodotti necessari per lo svolgimento dei processi industriali ed attrarre gli investimenti necessari per il rilancio del polo industriale di Piombino, oltre a consentire la possibilità di accogliere eventualmente il relitto della nave Costa Concordia ed attivare ulteriori filiere produttive.”
I dubbi sulla effettiva possibilità di utilizzare le opere previste dall’Accordo di Programma per l’attracco della Concordia nel porto di Piombino sono assolutamente legittimi, anzi sembrano quasi una certezza, sempre che il Governo e la Protezione Civile vogliano onorare gli impegni con la comunità dell’Isola del Giglo alla quale, posticipando impegni disattesi, hanno promesso la rimozione del relitto nella primavera del 2014. Basti solo ricordare che in meno di 10 mesi dovrebbero essere dragati 2,5 milioni di mc. di sedimenti marini e progettate, appaltate, realizzate e collaudate opere portuali per 111 milioni di euro.
Alcune riflessioni sono necessarie
Se la Concordia non è più la motivazione per realizzare in regime d’emergenza il Piano Regolatore che fu concepito per smaltire i rifiuti di Bagnoli, quali sono i nessi verificati e documentati che legano questi ingenti investimenti pubblici con la riconversione, la riqualificazione industriale e la risoluzione della crisi complessa di Piombino? Nell’accordo di Programma del 17 agosto, sopra richiamato, si asserisce che sono state svolte alcune riunione tecniche presso la Regione. Un po’ poco. Lo stabilimento Lucchini, principale utilizzatore industriale del porto, versa in una situazione di crisi tale da non consentire, ad oggi, di delineare un futuro certo in ordine al ciclo produttivo e ai relativi fabbisogni logistici, compresi quelli portuali. Non vi è dubbio che tra stabilimento e porto esistano forti interazioni, ma le interazioni non sono comprovate con “queste opere” la cui genesi è stata prima i fanghi di Bagnoli e poi la demolizione della Concordia. Non stiamo parlando di piccoli lavori, ma di grandi opere che, in mancanza di adeguati utilizzi, potrebbero allungare la già smisurata lista italiana degli sprechi di denaro pubblico. Il buon senso avrebbe consigliato di affrontare il tema del riordino portuale nel più vasto confronto sul futuro della siderurgia e dei futuri assetti di quei territori. In sostanza, rifuggendo dalle logiche dell’emergenza, sarebbe stato meglio definire prima il “progetto di riconversione e riqualificazione industriale” richiamato dal Decreto Legge n.83/2012 per le aree di crisi industriale complessa e poi individuare gli interventi pubblici necessari per le bonifiche e le infrastrutture, comprese quelle portuali.
Nello scenario delineato dall’accordo di programma, ad esempio, il prolungamento della SS.398 fino a Poggio Batteria, ovvero al porto che c’è, non costituisce un’emergenza, mentre la sarebbe il primo lotto fino a Gagno che non servirà a realizzare le opere marittime ritenute urgenti e da completare entro la primavera del 2014.
Non si comprende poi la ragione per la quale sarebbero diventate emergenze per la risoluzione della crisi industriale opere come la bonifica della aree di Città Futura e della discarica di Poggio ai Venti. In questi casi non esiste nessuna relazione emergenziale né con la crisi industriale, né con la rimozione della Concordia. Si tratta di interventi di bonifica in aree esterne all’ambito portuale e industriale, programmati sin dal 2007, per i quali il Comune aveva ricevuto finanziamenti dal Ministreo dell’Ambiente sin dal 2008 e che, non spesi e addirittura neppure impegnati, sono andati ad ingrossare la voce dei residui passivi del bilancio comunale. La negligenza o la cattiva amministrazione non possono bastare per invocare le procedure d’emergenza.
Quello che se ne deduce è che una delle emergenze italiane è costituita dal fatto che ingenti investimenti pubblici, come quelli previsti per Piombino, sono decisi senza una precisa motivazione e in assenza di una programmazione razionale tra soggetti pubblici e privati che assicuri ricadute sociali ed economiche durature. E’ un vecchio male della pubblica amministrazione italiana; è imperdonabile in tempo di crisi. A meno che non ci si contenti degli annunci, come purtroppo a Piombino è accaduto fino ad oggi.
(Foto di Pino Bertelli)