Il PCI sulle riforme istituzionali ed elettorali
PIOMBINO 3 giugno 2016 — «…questo che voi dite non diminuisce punto la stravaganza della risposta del Peripatetico, il quale contro a così sensata esperienza non produsse altre esperienze o ragioni d’Aristotele, ma la sola autorità ed il puro Ipse dixit…». Così Galileo Galilei nel Dialogo dei massimi sistemi fa parlare Sagredo a commento della risposta data dal filosofo peripatetico che, messo di fronte alla dimostrazione che i nervi nascono dal cervello, ammise che la cosa sarebbe stata aperta e sensata se non ci fosse stato il testo di Aristotele che apertamente diceva che i nervi nascono dal cuore. Tra l’esperienza e Aristotele ipse dixit e dunque ad Aristotele bisognava credere.
Ipse dixit, sembra questo il ritornello usato per dare valore alla riforma costituzionale ed alla riforma elettorale recentemente approvate in Parlamento. Quelle riforme costituzionale ed elettorale dal cui esame e giudizio, insieme, non è possibile prescindere se si vuole capire davvero quale modello istituzionale si prefigura per l’ Italia (così come dimostra la stessa vicenda del passaggio nel 1958 dalla quarta alla quinta repubblica francese).
Già l’ipse dixit sconcerta di per sé, ma sconcerta ancor di più il fatto che sia usato a sproposito.
Si citano Enrico Berlinguer, Pietro Ingrao e Nilde Iotti come alfieri delle riforme istituzionali ed addirittura come padri nobili della riforma costituzionale su cui ci sarà referendum confermativo ad ottobre ed ancora più in particolare della parte che riguarda il Senato delle Regioni e delle autonomie. Da questo si parte poi, confondendo spesso tra questa funzione del Senato ed il monocameralismo, per rappresentare un Partito Comunista Italiano come alfiere delle riforme istituzionali e si arriva ad alludere ad una qualche continuità tra le posizioni di allora, si parla degli anni settanta e ottanta, e la riforma costituzionale odierna.
Francamente troppo.
A parte il contesto politico e sociale completamente diverso che impedisce ogni ipotesi di filiazione, la realtà di quegli anni, sia dal punto di vista del ruolo che delle stesse proposte del PCI, rende un’immagine completamente diversa.
Proviamo ad andare a ritroso.
Ricorda Claudia Mancina (schierata oggi per il sì a questa riforma costituzionale): «…solo nel novembre 1987, quasi dieci anni dopo [rispetto alle proposte di Grande riforma di Craxi] il PCI rispose alla proposta di riforma delle istituzioni. Fu Achille Occhetto, allora ancora vicesegretario, a porre la questione in un indimenticabile comitato centrale. Si trattò di una vera e propria svolta nella politica istituzionale del partito, e anche , inevitabilmente, di una mano tesa ai cugini socialisti. La reazione del partito fu pessima, a partire da Pietro Ingrao, che pure era fondatore e presidente di un centro studi che si presumeva fosse dedicato alla riforma dello Stato. Più tardi, diventato segretario, Occhetto portò (con fatica) il partito a schierarsi per i referendum elettorali di Mario Segni, sia quello sulla preferenza unica del 1991, sia quello del 1993 che affossò il sistema elettorale proporzionale.…Ma questa è la storia del dopo…».
Chi ricorda o consulta la relazione di Occhetto e le conclusioni di Natta non può non convenire con la descrizione che ne fa la Mancina, così come non può non convenire sul fatto che niente a che vedere c’è col Senato delle Regioni perché in realtà l’attenzione era tutta rivolta alla riforma elettorale.
Una vera e propria svolta, dice la Mancina, ma rispetto a quali posizioni?
Era il 10 dicembre 1981, l’Unità pubblicò sotto il titolo La proposta economica del PCI «…un’ampia sintesi della proposta economica elaborata dal PCI dopo un approfondito dibattito che si è svolto in questi mesi all’interno delle strutture del partito, ai vari livelli. È il risultato del contributo di dirigenti militanti e anche esperti…».
La parte che riguardava il Parlamento affermava che «…appare come un ostacolo e come un appesantimento dei lavori parlamentari. La soluzione più razionale è l’unicità dell’assemblea parlamentare. In questo quadro, può ritrovare una sua peculiare funzione consultiva un organismo come il CNEL adeguatamente riformato…».
Non una parola su una qualche modifica della legge elettorale né tantomeno su una modifica del Senato come Senato delle Regioni e delle autonomie locali.
Dunque allora la proposta del PCI fu: monocameralismo, con forti poteri della Camera, con legge elettorale proporzionale.
La stessa Nilde Iotti, del resto, mentre proponeva il Senato delle Regioni e delle autonomie locali contemporaneamente difendeva il sistema elettorale proporzionale eventualmente con l’introduzione del collegio uninominale a garanzia di un rapporto diretto e immediato tra cittadini elettorri ed eletti.
In realtà quella del Senato delle Regioni fu un’ idea che assunse un qualche valore politico, molto molto discutibile e discusso, molti anno dopo, quando il PCI non esisteva più.
Se poi si fa un passo indietro al 1977 e si consulta quello che fu un documento importante del PCI, oggetto di ampio confronto, la cosiddetta “proposta di progetto a medio termine”, non si può che prendere atto che si rimane all’interno del sistema bicamerale solo con correzioni di funzionamento. «…Una rinnovata capacità di programmazione, si dice, da parte del parlamento, dei suoi stessi lavori, richiede alcune riforme anche per quanto riguarda il funzionamento del sistema bicamerale, pur senza porre oggi il problema del suo superamento con un’unica assemblea nazionale…».
Questi alcuni atti fondamentali che non cancellano ovviamente dibattiti e confronti ed idee diverse sicuramente manifestatisi. La loro conoscenza (di atti, dibattiti, confronti ed idee) è necessaria, su di essi sono stati legittimi in passato opinioni e critiche, non la loro interpretazione odierna ad usum Delphini.
Il referendum sulla riforma costituzionale è fatto di grande importanza democratica, così importante che non merita offuscamento alcuno.