Il percorso tortuoso della reindustrializzazione

Paolo Benesperi

PIOMBINO 14 set­tem­bre 2013 — La zona di Piom­bi­no è sta­ta indi­vid­u­a­ta come area di crisi indus­tri­ale com­p­lessa in virtù del­la grave crisi del­lo speci­fi­co set­tore indus­tri­ale con ele­va­ta spe­cial­iz­zazione nel ter­ri­to­rio che la inter­es­sa: la siderur­gia. Per questo può essere avvi­a­to quel per­cor­so, in ver­ità tor­tu­oso, che por­ta alla pre­dis­po­sizione ed alla attuazione di un Prog­et­to di ricon­ver­sione e riqual­i­fi­cazione indus­tri­ale del­l’area di crisi per la pro­mozione di nuovi inves­ti­men­ti, per il sosteg­no del­la ricer­ca indus­tri­ale e del­lo svilup­po sper­i­men­tale, per la riqual­i­fi­cazione del per­son­ale, per l’al­lo­cazione degli addet­ti in esubero e per la real­iz­zazione delle opere infra­strut­turali.
Tut­to da costru­ire ma, se non altro per­ché non fac­cia la fine di altri stru­men­ti usati in pas­sato che spes­so sono sta­ti uti­liz­za­ti solo per drenare denaro pub­bli­co a pre­scindere dal­la valid­ità e red­di­tiv­ità degli inves­ti­men­ti finanziati, sarebbe nec­es­saria una pre­lim­inare, aper­ta e lib­era dis­cus­sione con una susseguente elab­o­razione che sia almeno all’al­tez­za del­la grav­ità del­la crisi.
E per questo stru­men­ti e organ­is­mi di ricer­ca sono mag­a­ri nec­es­sari ma non cer­to suf­fi­ci­en­ti. Ciò che è invece indis­pens­abile è la disponi­bil­ità locale, tut­ta polit­i­ca, a guardare in fac­cia la realtà ed a far­ci i con­ti.
Disponi­bil­ità per­al­tro molto rara.
Par­ti­amo intan­to dal fat­to che non è solo ques­tione di crisi del­la siderur­gia. Anche l’ENEL si è ridot­ta ad una pre­sen­za qua­si insignif­i­cante e poi i ter­reni e la fal­da con­t­a­m­i­na­ta, per non par­lare delle infra­strut­ture e delle com­pe­ten­ze tutte da creare.
Se non fos­se un ter­mine trop­po abusato com­p­lessità sarebbe il ter­mine gius­to e sic­come è così la delin­eazione di futuri immag­inifi­ci non fon­dati su dati reali non serve, anzi è dan­nosa. Lo è cer­ta­mente l’il­lu­sione del­la soluzione salv­i­fi­ca nel futuro di un por­to che non si sa bene cosa potrà accogliere o di un impianto per la rot­ta­mazione delle navi che non si sa se servirà e chi lo gestirà e in quale mer­ca­to reale. Nem­meno la reit­er­a­ta ipote­si di un po’ più di tur­is­mo che tut­to può sos­ti­tuire serve a molto.
Provi­amo a met­tere in ordine almeno alcu­ni spun­ti solo per com­in­cia­re a riflet­tere:

  • la Luc­chi­ni così come attual­mente è strut­tura­ta è in sta­to di fal­li­men­to e non ci sono le con­dizioni per­ché, anche a pre­scindere dai costi enor­mi di manuten­zione e ricostruzione del­l’alto­forno, pos­sa tornare a creare prof­it­to e dunque occorre vender­la in quan­to l’azien­da è strut­tural­mente in perdi­ta e dunque non ipo­tiz­z­abile il recu­pero del­l’e­qui­lib­rio tramite la ristrut­turazione azien­dale (lo dice chiara­mente lo stes­so Com­mis­sario stra­or­di­nario);
  • qualunque acquirente non può non fare i con­ti con la red­di­tiv­ità e su ques­ta inci­dono i costi delle materie prime, quel­li ener­geti­ci e quel­li dei trasporti;
  • la cen­trale ENEL lavo­ra ormai ben poco, solo sulle punte di pro­duzione e con poco per­son­ale, ed è dif­fi­cile pen­sare ad una sua ricostruzione quan­do ver­rà abban­do­na­ta;
  • gli este­sis­si­mi ter­ri­tori da bonifi­care non lo saran­no mai con i prog­et­ti faraoni­ci fino­ra inutil­mente perse­gui­ti e con le indus­trie esisten­ti non pro­dut­tive;
  • sono centi­na­ia gli ettari di ter­ri­to­rio del demanio in con­ces­sione alle indus­trie che non li uti­liz­zano e non li uti­lizzer­an­no mai dato che han­no o avran­no da risol­vere prob­le­mi ben ril­e­van­ti per la loro stes­sa red­di­tiv­ità;
  • bonifi­ca e riu­ti­liz­zazione pro­dut­ti­va di queste aree sono ter­mi­ni stret­ta­mente e nec­es­sari­a­mente legati.

Ce n’è quan­to bas­ta per chieder­si se è pos­si­bile pen­sare, nel­l’am­bito del Prog­et­to di ricon­ver­sione da elab­o­rare, a inte­grare questi ele­men­ti e da ques­ta inte­grazione far sca­turire una soluzione che abbia le carat­ter­is­tiche di un vera ricon­ver­sione. Unen­do in un dis­eg­no con­di­vi­so i finanzi­a­men­ti pri­vati con quel­li pub­bli­ci. Sen­za pen­sare ovvi­a­mente alla mes­sa in cam­po di denari pub­bli­ci sec­on­do modal­ità che non siano quelle delle regole comu­ni­tarie che gius­ti­f­i­cano solo gli aiu­ti per la ricer­ca (di diver­so tipo ma sem­pre ricer­ca ha da essere) e di sol­di pri­vati per inves­ti­men­ti che non stiano sul mer­ca­to.
E questo è il pun­to fon­da­men­tale: non si trat­ta di fare l’e­len­co dei pos­si­bili set­tori pro­dut­tivi sem­pre ovvi­a­mente più che inno­v­a­tivi, come spes­so si fa, pen­san­doli mag­a­ri legati a oper­a­tori pub­bli­ci, con l’il­lu­sione che pos­sano fare a meno delle regole del­la con­cor­ren­za, quan­to piut­tosto di creare le con­dizioni per inves­ti­men­ti remu­ner­a­tivi, solo e soltan­to per quel­li.
E la remu­ner­a­tiv­ità si ver­i­fi­ca nel mer­ca­to e il mer­ca­to ha bisog­no di un ambi­ente aper­to che lo riconosca.

(Foto di Pino Bertel­li)

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