Impegni, piani e denari: dal nulla nasce il nulla
PIOMBINO 18 dicembre 2016 — Sembra l’ira funesta del Pelide Achille di omerica memoria ed invece non è che una pirandelliana recita a soggetto.
Stiamo parlando delle reazioni degli attori politici nazionali, regionali e locali, dopo la recente visita del presidente di Cevital e Aferpi a Piombino, tutte basate, più o meno chiaramente, su un canovaccio fatto dei seguenti passaggi:
- Rebrab deve presentare il piano economico finanziario dell’investimento siderurgico,
- Rebrab deve presentare il piano economico finanziario della logistica e dell’agroindustriale,
- Rebrab deve trovare i soldi per gli investimenti e per la spesa corrente,
- Rebrab deve fare gli smantellamenti degli impianti e le bonifiche,
- Rebrab deve lavorare perché gli ammortizzatori sociali vengano mantenuti,
- noi abbiamo fatto tutto ciò che dovevamo fare ora tocca a Rebrab.
Apparentemente sembra un recupero di senno dopo che per anni, da quel novembre 2014 quando Cevital presentò l’offerta d’acquisto della ex Lucchini e quel dicembre dello stesso anno quando alla Presidenza del consiglio dei ministri fu sottoscritto il relativo contratto preliminare di vendita, gli stessi declamatori non hanno fatto altro che innalzare inni agli Dei per i successi conseguiti lungo la strada del rilancio produttivo di Piombino, anzi del Modello Piombino. Lasciamo da parte le offese a chi sollevava qualche sommesso dubbio.
Ma invece no, non è nemmeno un recupero di senno perché dietro le parole ci sta tanta genericità da non poterle considerare credibili.
Rivendicare un piano economico finanziario, cioè un piano industriale, di per sé non ha alcun senso oggi dopo che quello del 2014, riversato negli accordi di programma successivi del 2015, era stato considerato un signor piano industriale ed invece era solo una somma di intenzioni, analisi improvvisate, tempistiche inattuabili. Se quello che si rivendica ha le stesse caratteristiche proprio c’è da non sapere cosa farsene. Se si ha a cuore il futuro di questo territorio occorre un piano industriale serio che poggi le basi su analisi di mercato fondate, su un posizionamento industriale credibile, su impegni finanziari sostenibili e tempistiche altrettanto certe. E sulla credibilità del proponente che abbia certificazione Dop per il rilascio della quale, come si sa, l’ambiente geografico conta, eccome. Ma soprattutto su soldi veri e disponibili. Non ci si può certo accontentare di declamazioni ed intenzioni, più politiche che economiche, da spendere sul mercato della politica.
Rivendicare la presentazione di un piano industriale per la trasformazione delle concessioni portuali da temporanee a definitive ha il sapore della mezza verità e nient’altro. Intanto perché ci si riferisce alle concessioni già possedute dall’ex Lucchini e passate ad Aferpi e poi perché vale, anche in questo caso, ciò che è scritto sopra per il piano industriale generale: sono i contenuti del piano industriale che contano e certamente, anche a questo proposito, sorge il dubbio che chi si è accontentato del piano del 2014 si potrà accontentare anche oggi di un piano analogo. Ma in realtà il vero problema è un altro. Il fatto è che è pendente presso l’Autorità portuale la procedura per il rilascio non solo della concessione demaniale già posseduta dalla Lucchini ma anche quella per il suo ampliamento, su una estensione ben più grande, anche sulla base del riconoscimento ad Aferpi della facoltà di esercitare un diritto di opzione qualora queste aree fossero richieste da altri soggetti. E dunque è ben aperto il problema tutto politico se si vuole programmare e gestire queste immense aree aprendosi davvero alla concorrenza imprenditoriale o no. Per non parlare delle opere infrastrutturali e delle bonifiche necessarie tutte da fare.
Rivendicare lo smantellamento degli impianti (ammesso che sia giusto) e la realizzazioni delle bonifiche in tempi rapidi è una pura petizione di principio. Non solo perché ci voglio tanti denari, che ad oggi non ci sono, ma anche perché non si può certo nascondere il fatto che si tratta di opere difficili e che non si può non pretendere che siano realizzate in assoluta sicurezza sanitaria e ambientale. E dunque al Ministero dell’ambiente si dovrebbe sapere che Aferpi avrebbe dovuto presentare già da molto tempo un piano comprensivo degli interventi di ripristino e riqualificazione ambientale delle aree liberate, così come lo stesso Ministero ha prescritto a suo tempo in sede di rilascio della Autorizzazione integrata ambientale nell’aprile 2013 e ribadito poi nell’accordo di programma del giugno 2015. Una partenza che non pare essere mai avvenuta e poi tante tappe succesivve ad oggi inesistenti.
Rivendicare il fatto che da parte delle istituzioni pubbliche tutto è stato fatto e dunque Rebrab niente ha da pretendere ha il senso della continuazione di un romanzo dove mancano le pagine. Pagine di non poco conto dato che
- le bonifiche pubbliche, al di là dei tempi, non si fanno certamente con 50 milioni,
- le infrastrutture viarie sono solo promesse visto che mancano i progetti e dei soldi annunciati non si capisce bene la provenienza e la formalizzazione,
- le infrastrutture ferroviarie sono in sonno,
- le ingenti opere portuali realizzate sono la grande incompiuta mancandone una parte consistente, mancando le infrastrutture di collegamento e pure le bonifiche necessarie.
Nemmeno gli incentivi nazionali e regionali alle imprese per la diversificazione sono stati utilizzati. Sparati lì tanto per far vedere che ci sono a prescindere dalla loro utilità ed opportunità.
Il punto vero è che tutto da anni viene molto improvvisato e che tutto ciò che non si trasforma in realizzazioni non è frutto del caso. È il risultato di piani pubblici e privati che non c’erano, di programmi pubblici e privati che non c’erano, di finanziamenti pubblici e privati che non c’erano. Del prevalere della comunicazione sulla politica. Della mancanza del coraggio di dire parole di verità sulla cui base costruire il possibile. Della mancanza di coraggio di allargare gli orizzonti e guardare a tutte le soluzioni che si potessero intravedere e tra loro scegliere in maniera organica e senza improvvisazione. Ci si è addirittura privati di possibili strumenti stabiliti in legge regionale per la aree di deindustrializzazione per paura che potessero costringere a riflettere.
È questa la vera rivendicazione da praticare.
(Foto di Pino Bertelli)
Trovo poco da aggiungere ad un articolo, così ben fatto ed esaustivo nei contenuti, senza rischiare di essere ripetitivo. Mi piace solo enfatizzare un aspetto: dato che la fuga dalla nave che affonda è già cominciata sta ai cittadini non farsi ingannare da questa ingannevole demagogia e reagire.
Che dire, per uno che non ha mai amato alla follia la sua città e che comunque ne resta legato avendola vissuta per 40 anni, ciò che leggo mi estorce un solo commento: una débâcle! Problemi, gli stessi, che si trascinano e si ampliano dagli anni ’70 senza che i piombinesi, con uno scatto di orgoglio, abbiano mai provato ad affrontare a muso duro, soprattutto con chi ha amministrato da SEMPRE in maniera cieca la città. La posizione strategica di Piombino ne avrebbe fatto, se si fosse voluto, una perla del turismo naturalistico e storico ed invece l’unico oggetto del contendere è stato sempre e solo il polo industriale. Auguro alla mia città quanto di meglio per il futuro ma con queste premesse vedo all’orizzonte un grigio tendente al nero. Un abbraccio da un tuo figlio.