Imprese e lavoro, la normalità dell’ammortizzatore
PIOMBINO 10 novembre 2017 — Mentre le politiche di reindustrializzazione e gli strumenti a questo scopo previsti nei tanti accordi di programma firmati dalle istituzioni nazionali, regionali e locali e per ultimo anche dal presidente di Cevital, Issad Rebrab, sono affondati nel nulla e lo stesso piano industriale di Aferpi è morto, non si capisce ancora bene cosa succederà tra risoluzione del contratto di vendita della ex Lucchini, apparizioni e sparizioni di imprenditori, finanziatori e intermediari di ogni parte del mondo, lavori mai partiti e soldi mai arrivati.
Ciononostante l’atteggiamento dei responsabili politici ed istituzionali è quello di sempre: aspettare il messia re e salvatore risolutore dei problemi. Poco importa che già ripetutamente si sia manifestato e che puntualmente si sia dimostrato né re né salvatore e che la storia di questi ultimi anni dimostri che senza un’autonoma capacità di elaborazione, di progettazione e di iniziativa le soluzioni ai problemi della Val di Cornia non verranno certo dall’esterno.
Quieta non movere, tanto ci sono gli ammortizzatori sociali.
Ecco, questa sembra essere la strategia fondamentale e poco importa che significhi assistenza solo per alcuni e tutti gli altri lasciati in balia di non si sa bene che cosa.
In realtà non è nemmeno una strategia, è semplicemente la realtà di una zona che non ha voluto imparare niente da storie analoghe già successe altrove, là dove gli ammortizzatori sociali staccati da reali iniziative di sviluppo sono diventati non la transizione, come avrebbero dovuto essere, ma la consuetudine lunga di anni fatta di uno sfondo di redditi medi bassi ma in diminuzione e di diseguaglianze sociali in aumento.
Anche senza affrontare il tema, che pur tuttavia prima o poi dovrà essere affrontato vista l’esperienza italiana pluriennale, se gli ammortizzatori sociali sono uno strumento adeguato di politiche per il lavoro o debbano essere sostituiti da misure attive che pongono al centro la persona e che le offrono strumenti, aiuti, opportunità per ricollocarsi nel lavoro anche quando l’ha perso, la lettura delle tabelle sulla cassa integrazione guadagni straordinaria (CIGS) concessa dal ministero del lavoro e delle politiche sociali a imprese che hanno operato e/o operano in Val di Cornia dal 2014 ad oggi è molto istruttiva. Anche perché aiuta a capire ciò che davvero è successo in Val di Cornia non solo dal punto di vista del lavoro dipendente ma anche di quello d’impresa.
Dal 2014 ad oggi negli elenchi dei decreti emanati per l’autorizzazione della CIGS compaiono 36 aziende: Acli Labor, Aferpi, Arcelormittal, Banco Metalli Italiano, Bertocci, Emisider, Fedelpol, Dalpex, Bicomet, Cave Campiglia, Cm.Ti, Compagnia portuali, Cooplat, Deca impianti, Dico, Edison, Elettra produzione, Elior ristorazione, Ferrari, Harsco metals Italia, Iosa, Lucchini amministrazione straordinaria, Lucchini servizi amministrazione straordinaria, Manutenzione montaggi meccanici, Pellegrini, Piombino logistics, Pmi Piombino, Redi, S.M.E. service, Serenissima ristorazione, Sirti, Sodexo Italia, Sol, Strumentazione elettrotecnica industriale, Trailer, Unicalce, Unicoop tirreno.
Alcune sono le grandi industrie con la loro storia, altre le imprese dell’indotto o comunque alle grandi industrie strettamente legate, altre invece, di non piccola entità, operanti in settori ben diversi. Come si vede ne sono interessate le maggiori attività produttive della zona non escluse quelle che operano nel settore delle cave, della logistica ed anche nelle grande distribuzione, tutte di pluriennale insediamento.
Ciò che colpisce è la continuità: praticamente a partire dal 2014 (ma si potrebbe risalire anche agli anni precedenti) l’intervento della cassa integrazione straordinaria è continuato senza soluzione di continuità per tutte le aziende. Ve ne sono poi alcune che spariscono il che significa non che hanno superato le loro crisi ma che hanno cessato ogni attività o sono fuoriuscite dalla zona di Piombino.
Nei decreti non sono rintracciabili le entità numeriche dei lavoratori interessati ma certamente si aggirano complessivamente in migliaia di unità e particolarmente per le aziende cessate o fuoriuscite nelle centinaia.
Il problema che si pone, ma che in realtà nessuno ha il coraggio di porre, è se è giustificato che un esborso finanziario pubblico (è noto che la cassa integrazione straordinaria è pagata quasi completamente dalla fiscalità generale, cioè da tutti i cittadini attraverso il prelievo fiscale), nato e concepito come intervento straordinario per aiutare temporaneamente un’impresa in difficoltà ma impegnata in un lavoro di ristrutturazione e rilancio produttivo, possa diventare di fatto da un lato un sostegno ordinario alla stessa impresa a prescindere da ristrutturazione e rilancio e dall’altro un intervento di sussistenza ed assistenza ai lavoratori. Evidentemente, nonostante le tante discussioni lunghe ormai decine di anni ed anche le volontà espresse, ma solo espresse e non attuate ancorché molto propagandate nel jobs act, il modello è rimasto, e probabilmente rimarrà anche nel futuro, quello delle politiche passive, cioè delle politiche assistenziali. Siamo di fronte all’ennesima separazione tra teoria e pratica o, se si vuole, tra realtà propagandata e realtà effettiva. Da un lato nel sito del ministero del lavoro si può leggere, a commento della legge, che il modello di flexicurity inaugurato dal jobs act si basa su un equilibrio tra le politiche passive di sostegno al reddito e le politiche attive e che queste ultime favoriscono l’effettiva ricollocazione del lavoratore, tramite percorsi personalizzati e utili all’acquisizione di nuove competenze e che attraverso i servizi per l’impiego tutti i cittadini potranno accedere ad attività di orientamento, ausilio, avviamento alla formazione e accompagnamento al lavoro. Dall’altro le realtà non proprio positive del funzionamento dei centri per l’impiego e dell’utilizzazione variegata della cassa integrazione.
E che il modello sia sempre lo stesso fa fede e testimonianza, ad ulteriore esempio, la storia toscana dell’ assegno di ricollocazione. La Regione ha recentissimamente chiuso l’esperienza, iniziata il 9 maggio 2017, del finanziamento dei voucher formativi di ricollocazione ed individuali e dell’erogazione dell’assegno per l’assistenza alla ricollocazione, dopo che ben pochi assegni erano stati richiesti e ben pochi assegnati in questi mesi. Eppure la misura, inserita proprio nel jobs act, era di un certo interesse perché, come diceva lo stesso avviso emanato dalla Regione, «si intende sostenere l’accesso a politiche attive di soggetti disoccupati prevedendo l’assegnazione, su richiesta dei cittadini in possesso di specifici requisiti, di un contributo pubblico (voucher) finalizzato a promuovere, tramite il rimborso totale o parziale delle spese di iscrizione al corso, l’accesso a percorsi formativi per l’accrescimento delle competenze professionali, ed un servizio di tutoraggio e assistenza alla ricerca intensiva di una nuova occupazione (assegno per l’assistenza alla ricollocazione) che metta a valore l’intervento finanziato mediante il voucher». Come abbiamo detto poche le richieste, pochi gli assegni erogati, pochissime le agenzie per il lavoro interessate. In fin dei conti il motivo è molto semplice: non si può contemporaneamente continuare per anni l’assistenza sicura degli ammortizzatori e contemporaneamente pretendere di portare avanti politiche attive che richiedono se non altro un maggiore impegno ed anche più rischio per raggiungere il risultato di un nuovo lavoro. Per non parlare delle strutture, i centri per l’impiego, che dovrebbero aiutare lungo il percorso e non sono certo viste né considerate particolarmente efficienti.
E dunque, non possiamo non dirlo, è stata la stessa Regione e più in generale le nazionali politiche del lavoro che ne hanno decretato il fallimento sposando la tesi meno impegnativa degli ammortizzatori sociali.
L’ integrazione del reddito del lavoro dipendente in Val di Cornia è stata molto utilizzata in diversi contesti, talvolta intersecantisi, che vanno dalla crisi aziendale alla ristrutturazione aziendale, dai contratti di solidarietà all’amministrazione straordinaria, al concordato preventivo. Sta sotto l’unica dizione di cassa integrazione guadagni straordinaria anche se in essa esistono contemporaneamente forme diverse che possono aumentare o diminuire quantitativamente l’integrazione del reddito, in altre parole ciò che concretamente arriva al singolo lavoratore. Una cosa sono i parametri attraverso cui si calcola la cassa integrazione straordinaria tradizionale, altri quelli usati in caso di contratti di solidarietà. Il caso più abnorme cui si è arrivati è quello dell’ ammortizzatore di cui godono i dipendenti di Aferpi e Piombino Logistics dal luglio 2017 che, pur essendo una forma di cassa integrazione straordinaria, garantisce l’entità finanziaria che scatterebbe nel caso di contratto di solidarietà.
Difficile calcolare l’esborso complessivo dello Stato (è questo, insieme ai numeri delle ore autorizzate ed utilizzate e dei lavoratori interessati, un dato che invece dovrebbe essere messo a disposizione delle autorità pubbliche, loro stesse lo dovrebbero pretendere, impegnate in processi di reindustrializzazione senza trincerarsi dietro un presunto diritto alla privacy) ma, tanto per far capire di cosa stiamo parlando, possiamo fare un calcolo aggiornando quello che Stile libero ha pubblicato qualche tempo fa riguardante le aziende Lucchini in amministrazione straordinaria ed Aferpi, comprendendo in queste anche il personale di Lucchini servizi in amministrazione satraordinaria e Piombino Logistics (https://www.stileliberonews.org/quanto-costano-quegli-ammortizzatori-sociali/ https://www.stileliberonews.org/scambio-non-riuscito-salari-ammortizzatori-lavoro/).
Ipotizzando che
dal 1° luglio 2015 fino al 31 dicembre 2015 sono stati occupati in Lucchini 1.098 lavoratori che usufruivano della cassa integrazione straordinaria tradizionale ed in Aferpi 1.080 lavoratori che usufruivano della cassa integrazione straordinaria legata ai contratti di solidarietà,
- dal 1° gennaio 2016 al 1° novembre 2016 sono stati occupati in Lucchini 749 lavoratori che usufruivano della cassa integrazione straordinaria tradizionale, in Aferpi 1.380 che usufruivano della cassa integrazione straordinaria legata ai contratti di solidarietà,
- dal 1° novembre 2016 al 1° luglio 2017 sono stati occupati in Aferpi 2.100 lavoratori che usufruivano della cassa integrazione straordinaria dei contratti di solidarietà,
- dal 1° luglio 2017 al 1° novembre 2017 sono stati occupati in Aferpi 2.100 lavoratori che usufruivano della cassa integrazione straordinaria parificata a quella dei contratti di solidarietà anche se non legata a quel tipo di contratto
si arriva alla conclusione che
- l’intervento per la cassa integrazione straordinaria tradizionale calcolato mediamente su lavoratori di 5° livello ai quali viene applicando il 1° massimale è pari a 14.986.682 euro mentre se si applica il 2° massimale è pari a 26.441.836 euro,
- l’intervento per la cassa integrazione straordinaria dei contratti di solidarietà e per la cassa integrazione straordinaria parificata a quella dei contratti di solidarietà anche se non legata a quel tipo di contratto è pari a 65.852.236 euro,
- in totale una variazione da 80.838.918 euro a 92.294.072 euro.
A queste cifre va aggiunta quella dell’integrazione regionale per i lavoratori di Aferpi e Piombino Logistics che usufruivano dei contratti di solidarietà: dal luglio 2015 ad oggi il contributo regionale è stato di 4.777.520 euro.
Complessivamente una cifra non da poco, pari a quella di cui Issad Rebrab si è vantato in quanto messa personalmente nell’affare “siderurgia ed altro a Piombino”.
È chiaro che i soldi messi dall’algerino sarebbero stati inutili se non avessero poggiato su un sostegno finanziario dello Stato di non poco conto.
Non è affatto tranquillizzante il fatto che sono stati inutili anche così, con l’ammortizzatore garantito.
Aggiornamento del 4 dicembre 2017
Al fine di dare un quadro ancor più completo di quanto successo ed esposto nell’articolo di cui sopra pubblichiamo anche i dati della Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria relativi agli anni 2012 e 2013: