Imu: l’incredibile odissea dei contribuenti a credito
Ci siamo adattati diligentemente a pagare questa poco benedetta Imu ma almeno fatecelo fare in pace senza arzigogoli, peripezie e perdite di tempo infinite. Di questi tempi non è il caso. Ed invece, non bastassero le aliquote spesso elevate e, per la prima casa, anche più spesso insopportabili, ci si mette anche una burocrazia assurda e in qualche caso indecifrabile a turbare la poca serenità dei contribuenti.
L’esempio più eclatante – e ti pareva… — viene da San Vincenzo dove abbondano le seconde case che, non raramente, vengono offerte in comodato d’uso a parenti prossimi i quali, per la fattispecie, divengono a titolo definitivo cittadino residenti nel Comune. Di fatto queste seconde case acquistano a buon diritto il titolo di prime abitazioni per normali nuovi nuclei familiari al punto che il Comune riconosce a tali immobili una aliquota agevolata. Ovvero, per quest’anno il 4,6 per cento.
Chi si è trovato in questa condizione ha però dovuto pagare nell’acconto di giugno un importo fissato dall’aliquota iniziale imposta dallo Stato al 7,6 per cento (non erano ancora state definite le aliquote “vere” da parte dei Comuni).
Non tutti sanno che, fatta eccezione per gli alloggi di residenza, le somme che si versano per l’Imu vanno in parte ai Comuni ed in parte allo Stato che, comunque, esige sempre il 3,8 per cento dell’aliquota totale, qualunque essa sia per la scelta finale del Comune.
Così con l’acconto di giugno i cittadini proprietari di alloggi affittati a San Vincenzo in comodato d’uso gratuito hanno pagato (aliquota totale – ripetiamo — fissata dal Governo nel 7,6%) metà importo allo Stato (aliquota del 3,8%) e il resto al Comune, ovvero un altro 3,8% (3,8 più 3,8 uguale appunto 7,6).
Al saldo del mese di dicembre sono arrivate le complicazioni. Gli stessi cittadini hanno questa volta potuto pagare con l’aliquota vera stabilita, come detto, nel 4,6%. E di essa, quindi il 3,8 è andato, come prassi allo Stato, e solo il resto, cioè appena lo 0,8, al Comune. Morale, dopo aver pagato l’acconto di giugno con le aliquote molto superiori dello Stato, questi cittadini si sono trovati a dicembre a credito con il Comune ed a debito ovviamente con lo Stato. Ovvero l’importo totale che hanno dovuto versare quasi sempre, in questi casi, è risultato composto da una consistente somma da riversare nelle casse dello Stato meno una sommetta inferiore da avere dal Comune. Una compensazione tra dare e avere? In nessuno sportello di riscossione, bancario o postale, una cosa del genere è risultata però possibile. I terminali hanno impietosamente risposto: “Compensazione non prevista”. Ed allora? La regola che molti hanno consigliato è stata quella di versare tutto il dovuto allo Stato e attendere poi la restituzione della differenza da Comune. Come dire, pagate anche quello che non dovete e poi riavrete indietro ciò che avete versato in più. Quando? Forse tra sei mesi. Quindi pagate subito, pena accertamenti e multe, e attendete sei mesi per riavere quel che non si doveva dare. Una cosa tutta italiana.
Altri hanno fatto un’operazione self-service. Ovvero hanno versato nulla al Comune ed hanno pagato solo il dovuto allo Stato (cioè meno di quando all’erario effettivamente spettasse). Il rischio? Un accertamento. Ma gli accertamenti in questi casi li fa il Comune e sarebbe davvero il colmo che l’ente locale se la dovesse prendere per un’assurdità del genere con i contribuenti. Molti dei quali hanno spedito hanno lettere di spiegazioni all’ufficio tributi dell’ente locale.