Sia a Piombino che a Genova è comunque “fatta”
PIOMBINO 1 luglio 2014 — Nel giorno dell’epilogo, quando tutto è stato deciso con il relitto della Costa Concordia destinato a Genova, i giornali non lesinano spazio all’avvenimento. Che la vicenda della nave naufragata al Giglio sia stata per larga parte vissuta sui media è un fatto che abbiamo potuto verificare giorno dopo giorno peraltro non disdegnando una nostra doverosa partecipazione al dibattito. Per questo ci è parso opportuno ripercorrere i due anni della storia attraverso una sintesi di ciò che è stato pubblicato. Abbiamo tirato fuori dai nostri archivi i moltissimi articoli che abbiamo letto e riposto con frequenza quotidiana. Ne uscirà a breve sul sito una rassegna, purtroppo lunghissima, del materiale che ci è sembrato degno di essere riproposto proprio per offrire una lettura compiuta dell’incredibile storia del naufragio.
Siamo convinti che se i media ci hanno spesso messo del loro, se in qualche caso hanno cercato di far pesare la forza del loro tifo in favore delle realtà in cui operavamo evitando il sano esercizio della verifica, essi non sono stati comunque aiutati dalla politica che ha promesso anche ciò che era difficile mantenere purtroppo creando illusioni in chi aveva bisogno di tutto fuorché di aggrapparsi a qualcosa che non si è poi realizzato. Non ci sono media più bravi perché hanno indovinato ciò che altri hanno toppato, c’è piuttosto una situazione che sfugge al buon senso, che vive di rappresentazioni e di visibilità, che non conosce più il gusto del silenzio e “del fare e poi dire”, preferendo comunque annunciare, in una assurda gara a far prima, ciò che spesso non si sa neanche come poter portare avanti concretamente. Non stupisce quindi che, a distanza di più di un anno, i due giornali più diffusi a Piombino e a Genova si siano rivolti ai loro lettori con lo stesso entusiastico titolo.
La farsa della demolizione della Concordia è emblematica della parabola che la nostra città ha percorso dagli anni sessanta. Ero un liceale nel 1964 quando l’istituto organizzò una visita guidata al ciclo integrale che andava dallo sbarco del materiale ferroso proveniente dal Marocco all’uscita di rotaie dalla linea di produzione. Al termine del percorso ci sentivamo fieri di quella fabbrica. Ricordo una statistica nazionale che vedeva Piombino al primo posto nel rapporto automobili/numero di abitanti. Nei primi anni settanta, frequentando io l’università di Pisa, durante un fine settimana sentii commentare dal mio fratello, operaio all’Italsider, “Meno male, anche questa volta ci hanno dato quaranta miliardi per andare avanti!” Mi resi conto che lo stabilimento non era più competitivo. Tuttavia, come se nulla fosse, tutti, lavoratori, sindacalisti, politici, continuarono imperterriti a mangiare a quella greppia come se essa fosse un pozzo di san Patrizio. I miei compagni di scuola, quasi tutti rigorosamente allineati e coperti, trovarono adeguata sistemazione chi in Comune, chi in ospedale, chi nella scuola, chi negli stabilimenti. Uno, soprannominato in classe ‘Piccolo Lenin”, divenne sindaco e assessore regionale, un’altro addirittura ministro. Il sistema di potere era garantito dal fatto che ad ogni elezione, invariabilmente, i cittadini riversavano i loro voti nel partitone fiduciosi che esso avrebbe risolto i loro problemi. Così non è stato. Il ‘Piccolo Lenin’, venuta a mancargli la poltrona, si buttò addirittura con Montezemolo, l’ex ministro si è ridotto a galoppino di Vendola. E i lavoratori? Rivedetevi il film di Alberto Sordi ‘I vitelloni’.