Informazione: più tecnologia, meno qualità
PIOMBINO 15 gennaio 2014 — Dal fuorisacco e dalle corse ai treni alle mail ed al clic per un invio immediato. Dai bagni di sviluppo e di fissaggio, alle foto digitali pronte e modificabili in un attimo. Dalle enormi pagine dei giornali, distribuiti dai camioncini per le strade del Belpaese, al Televideo, agli Sms, ai social network, alle informazioni on line in tempo reale. È cambiato tutto in pochi anni. La tecnologia ci ha regalato modi impensabili per informare e per essere informati. Passi in avanti enormi a cui avrebbero dovuto corrispondere progressi altrettanto consistenti nell’organizzazione delle redazioni o comunque nei centri di produzione delle notizie. Ma così non è stato. La facilità di realizzare strumenti di informazione di pronta consultazione e di scarso costo ha finito per indebolire il già fragile tessuto dei media tradizionali che hanno perso lettori e pubblicità. Un trend al ribasso che più di un tecnico, a torto o forse a ragione, ha considerato inarrestabile e che comunque, come conseguenza, ha ridotto gli investimenti quando addirittura e sempre più frequentemente non ha prodotto ridimensionamenti di organici e di strutture. Si capisce che stampare su carta e distribuire con mezzi tradizionali è cosa che regge sempre meno in termini di costi e di concorrenza; oggi occorrono 7–8 ore dalla produzione di un testo su carta stampata alla sua distribuzione in edicola. Le dirette Tv e l’on line garantiscono lo stesso servizio in tempi reali ed a costi infinitamente più bassi. Non regge più neanche il vecchio discorso del quotidiano concepito come strumento di commento e di riflessione. I vantaggi in termini di tempi di realizzazione consentono oggi ai media più moderni di commentare, giudicare e vivisezionare un avvenimento praticamente in diretta.
Indubbiamente stiamo assistendo ad una autentica rivoluzione che sta trasformando il modo di informare con tutte le ripercussioni che una così radicale trasformazione ha per la partecipazione e, in ultima analisi, per la stessa democrazia.
Se l’abitudine vecchia a morire e propria soprattutto di generazioni non più giovanissime continua a richiedere e quindi a garantire la sopravvivenza della carta stampata una nuova abitudine si sta consolidando facendo perno sulle nuove, immediate e poco costose tecnologie.
Un vecchio nobile direttore, offrendomi tanti anni fa, il mio primo contrattino da cronista mi avvertì con tono solenne: “Oggi – mi disse – ti mettiamo in mano una pistola. Non la usare mai”.
Quella raccomandazione è senza dubbio valida anche oggi di fronte al mutare radicale delle condizioni di produzione e distribuzione dell’informazione, Credo anzi che lo sia di più.
Si consideri che quelli che una volta erano i grandi signori dell’informazione non riescono più a dispiegare la propria influenza con l’efficacia di un tempo. Anni fa per un grosso imprenditore avere un giornale era quasi un obbligo, oggi, salvo rare eccezioni non è neanche più un optional. Perfino le televisioni commerciali, dopo il boom degli anni ottanta e novanta e dopo il sostanziale duopolio nazionale, sono costrette alla convivenza in un condominio di cui si stenta ogni giorno a trovare i confini.
E se una volta partiti ed istituzioni erano un punto di riferimento per qualsiasi media, oggi essi più che comprendere, intervenire e correggere come forse sarebbe stato giusto, hanno cercato, stentando, di cavalcare il nuovo andazzo. Che tra l’altro ha permesso loro di diventare non oggetto ma soggetto di un’informazione autoprodotta. Una vecchia aspirazione che in passato si era limitata ai giornali di partito ed a qualche sporadico organo di servizio nelle istituzioni.
Addirittura le difficoltà dei partiti (secondo una recente indagine di Repubblica solo 5 italiani su cento si ostinano a mantenere la loro fiducia a questi organismi) ha generato la nascita di centri di potere spesso legati a singoli personaggi che, impossessatisi delle nuove tecnologie, le hanno usate ad esclusivo loro vantaggio. La vecchia ricerca di un minimo di obbiettività, che si è sempre tradotta nell’esigenza di dare spazio a più voci diverse, è stata accantonata per lasciar spazio all’esclusiva tesi di una unica fonte proprietaria e gestrice del mezzo di informazione.
La conseguenza è stata una mortificazione del dibattito politico che, quando ha resistito, lo ha fatto in forme esclusive a vantaggio dei soliti consueti interlocutori dal pensiero peraltro conosciuto già prima che essi aprano bocca.
La forma dei social net con la possibilità di scegliere un target amico a cui destinare i messaggi ha ulteriormente ridotto lo spazio del confronto. Siamo arrivati al punto che il dissenso, o più banalmente la civile distinzione rispetto alla tesi dominante, vengono cancellate semplicemente premendo un tasto ed estromettendo così il presunto rompiscatole dal gruppo degli “Amici”. Non succede a Roma, Milano, Napoli, Firenze o Palermo, accade ormai anche ne centri più minuscoli, nessuno escluso. Neanche i nostri che in più di un caso si sono più che adattati.
Sarebbe già grave se queste forme dirette ed immediate di comunicazione fossero limitate alla grande piazza che si scambia messaggetti sull’attività quotidiana, sul variare del tempo e sulle esperienze vissute nell’ultima gita. Il fatto è che ormai anche la comunicazione istituzionale corre in grande e crescente parte su questi binari. Il presidente del consiglio Enrico Letta, uscendo da una importante riunione a livello europeo, ha recentemente affidato a twitter le sue prime riflessioni sull’andamento e sulle risultanze del meeting. Con la conseguente mortificazione degli addetti stampa che pure un contatto umano hanno sempre avuto con i cronisti e con la corsa degli organi di informazioni meno rapidi a rilanciare, quasi sempre senza verifiche, ciò che è stato postato nel socialnet.
In questa situazione può diventare davvero grande la tentazione all’annuncio, cioè a postare una mezza verità che suona quasi sempre come incenso per chi la divulga e troppo spesso come una vera bufala alla verifica del tempo. L’incredibile mole di messaggi di ogni tipo finisce però per annacquare ricordi anche recenti per cui la bufala passa spesso nel dimenticatoio sopraffatta da nuovi annunci.
Un meccanismo perverso tipico di un paese ricco di storia che all’improvviso si dimentica di continuare a costruire la propria storia.
Il risultato come si legge nel citato sondaggio di Repubblica è una totale sfiducia verso le istituzioni (di esse si fidano solo 7 italiani su cento) a cui fa debito riscontro un calo crescente nei valori fondanti della democrazia.
L’informazione, la comunicazione e di conseguenza la partecipazione hanno costituito per anni strumenti essenziali di confronto democratico al quale non si sono sottratte le istituzioni che, con la loro azione quotidiana, hanno offerto le basi per la discussione.Oggi tutto questo viene meno a dispetto della ricchezza di mezzi tecnici. Gli stessi organismi democratici, nati da libere elezioni, vengono spesso marginalizzati di fronte a scelte adottate in poche stanze e santificate dal consenso pilotato che si ricerca nella Rete.
I più vecchi di noi, quelli che hanno passato ore diurne e notturne nei consigli comunali, provinciali, regionali o addirittura nelle aule del parlamento, troppo spesso avvertono inorriditi, passaggi politici che una volta avrebbero provocato scandalo e che oggi passano come acqua sul marmo. Neanche si possono raccontare tanta è la superficialità con cui simili cadute di stile (chiamiamole così) vengono digerite.
Forse della crisi in cui ci stiamo dibattendo questo particolare capitolo, meno recepito di tanti altri, ha un valore particolare perché tocca la nostra coscienza, il nostro vivere nella società, il nostro essere Persone capaci di applaudire e di criticare. Riguarda intimamente la nostra società che indubbiamente diviene povera ed ancor più povera al confronto con amici, alleati e partner stranieri che ci tengono sotto esame e che dalla tecnica anche in un caso come quello dell’informazione, stanno traendo il meglio per progredire. Il mondo ormai è un villaggio aperto basta nulla per cercare una conferma e purtroppo per trovarla facilmente.