Ius soli e ius sanguinis: uno sguardo sull’Europa
Di recente il neo-ministro Cecile Kyenge ha criticato l’opportunità di mantenere un regime improntato prevalentemente sullo ius sanguinis, ossia sull’acquisto della cittadinanza italiana in base alla genealogia dell’individuo, piuttosto che sullo ius soli, legato alla nascita dell’individuo sul territorio della Repubblica, sostenendo la necessità di modificarlo e di introdurre elementi che consentano l’acquisto della cittadinanza anche in base al secondo. Ne sono seguite immancabili polemiche e prese di posizione più o meno aprioristiche, generalmente legate a motivi ideologici e politici, ma in larga parte dovute anche ad una generalizzata ignoranza sulla sostanza di un provvedimento simile. I principali detrattori della proposta hanno sottolineato che in Italia esiste già una legge, la 91/1992, che prevede che l’acquisto della cittadinanza spetti anche a colui che nasce da ignoti o apolidi, a colui che ha risieduto ininterrottamente in Italia sino al compimento della maggiore età, nonché allo straniero che ha o ha avuto ascendenti in linea retta cittadini per nascita e che dunque il problema non si pone.
Ma quale differenza c’è tra l’acquisto della cittadinanza sin dalla nascita e l’acquisto posticipato ai diciotto anni di età?
Principalmente una questione morale: posto che non ci siano differenze giuridiche tra il non-cittadino e il cittadino (ma in realtà ce ne sono), perché un bambino che riceve un’istruzione dallo Stato italiano, che parla correntemente la lingua italiana, che vive la propria crescita personale e civile all’interno della nostra società, non può essere considerato “cittadino” tanto quanto il coetaneo che ha fatto lo stesso percorso, ma è nato da cittadini italiani? Partendo da un presupposto linguistico e culturale, l’argomentazione è piuttosto debole: la globalizzazione, nel bene e nel male, ha portato ad una diversificazione del tessuto sociale in tutti i Paesi occidentali, il multiculturalismo è un aspetto con cui ogni governo, sia di destra che di sinistra, è chiamato a fare i conti, cosa che del resto testimoniano le frequenti tensioni sociali scatenatesi tanto in Italia, quanto in Francia o in Svezia, solo per fare alcuni esempi.
Secondariamente una questione giuridica: in realtà lo straniero non cittadino viene ammesso a godere dei diritti civili, cioè quelli derivanti da rapporti di diritto privato, a condizione di “reciprocità” (art. 16 disposizioni preliminari al codice civile), quindi a condizione che il suo Stato di appartenenza li riconosca in ugual misura al cittadino italiano. Tuttavia questa previsione deve essere letta in combinato disposto con l’art. 2 della Costituzione, in base al quale “la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale” e con l’art. 10, per cui “[…] la condizione dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali [..]”. Pertanto i diritti inviolabili, quelli elencati nei primi dodici articoli della nostra Carta costituzionale, spettano all’essere umano in quanto tale, sia egli cittadino o meno. I diritti enucleati invece nella Parte Prima della Costituzione stessa spettano per definizione ai “cittadini” e grazie a quell’art. 10 al legislatore spetta una riserva di legge assoluta sulla regolamentazione dell’accesso a quei diritti medesimi da parte degli stranieri (in conformità e mai in senso deteriore rispetto a quanto sancito dagli accordi internazionali).
Detto questo la situazione non può essere eccessivamente banalizzata, non si può non tener di conto dell’impatto che l’incremento del fenomeno migratorio ha avuto sulla nostra società, sia in senso positivo che negativo e la proposta di legge, depositata alla Camera il 21 marzo 2013 dalla stessa Kyenge, assieme ai deputati PD Bersani, Chaouki e Speranza, costituisce un ottimo punto di partenza per una modernizzazione della nostra legislazione in materia. È inoltre fondamentale sottolineare come questa proposta non sia l’unica. Di recente ve ne sono state altre: la Turco-Violante del 2001, il ddl del ministro Amato del 2006, la bipartisan Sarubbi-Granata della scorsa legislatura, più un’altra presentata da Scelta Civica, primi firmatari Marazziti e Santerini, che condivide con quella del PD molti aspetti.
Ciò che immediatamente balza agli occhi della proposta di legge di Cecile Kyenge è la sua vicinanza ad altri modelli già presenti all’interno dell’UE: lo ius soli puro non esiste in nessun altro Stato d’Europa, anche perché un’applicazione incondizionata di tale principio comporterebbe più effetti negativi che positivi ed in particolar modo spingerebbe verso un vero e proprio afflusso di partorienti verso il nostro Paese, come ha giustamente sottolineato il presidente del Senato Pietro Grasso. In Irlanda è sopravvissuto fino al 2004, poi è stato cancellato con referendum: del resto l’Irlanda era l’unico Paese d’Europa in cui vigeva lo ius soli puro. In Francia, che ha vissuto flussi migratori molto intensi sin dagli anni ’20 del ‘900, esiste un meccanismo di “doppio ius soli”, ossia l’acquisizione della cittadinanza per quei bambini nati sul territorio dello Stato da genitori nati a loro volta sul territorio: un simile regime vige anche in Olanda, Lussemburgo e Spagna, mentre in Germania, dal 2001, lo ius soli è concesso ai figli di stranieri legalmente residenti da almeno otto anni. Belgio, Portogallo e Grecia seguono un regime di ius soli risultante da una combinazione di queste due diverse impostazioni.
La proposta del ministro Kyenge, come quella presentata da Scelta Civica, prevede una combinazione di tre elementi: innanzitutto “doppio ius soli”, per i figli dello straniero nato in Italia e regolarmente residente sul territorio da almeno un anno; altrimenti, come in Germania, l’attribuzione della cittadinanza ai figli nati da stranieri regolarmente residenti in Italia da almeno cinque anni; infine, “corsie preferenziali” per chi, nato sul nostro territorio o immigrato da bambino, abbia frequentato un certo numero di anni di scuola in Italia. Solo quest’ultimo aspetto avrebbe un impatto immediato sulla popolazione attuale, perché per vedere i risultati dei primi due dovremmo aspettare svariati anni.
Un’impostazione di questo tipo consentirebbe all’Italia di munirsi di una legislazione sull’immigrazione all’avanguardia e pertanto è auspicabile che le forze politiche decidano di prenderla seriamente in considerazione, apportando i dovuti emendamenti, per permettere la più larga condivisione possibile. Di sicuro costituirebbe un passo avanti fondamentale, per quanto piccolo, sul piano dell’acquisizione di consapevolezza che ci troviamo a vivere all’interno di una società multiculturale e interculturale e che gli strumenti con cui è stata fronteggiata finora l’evoluzione sociale derivante dai fenomeni migratori non sono più né sufficienti né adeguati.
I minorenni in Val di Cornia
I minorenni stranieri in Val di Cornia che nel 2004 erano 265 sono diventati 856 nel 2011 con un aumento del 223% mentre tutti i minorenni, italiani e stranieri, nello stesso periodo sono passati da 7852 a 8856 con un aumento del 12% (http://www.tuttitalia.it/toscana/provincia-di-livorno/).
Numerosi e crescenti nel tempo hanno contribuito a rinnovare la popolazione della Val di Cornia, si sono ricongiunti ai genitori presenti o sono nati qui.
(Foto di Pino Bertelli)