Jindal non firma, necessari altri approfondimenti
PIOMBINO 24 febbraio 2018 — Appena sceso dall’auto Carlo Calenda è stato circondato da un gruppo di operai della ex Lucchini e dell’indotto con i quali il ministro dello sviluppo economico ha subito accettato di confrontarsi. E sono state comprensibilmente incalzanti le domande soprattutto del sindacalista Paolo Francini. Del resto le questione sul tappeto e le ultime notizie offrivano spazio a valutazioni, considerazioni e soprattutto l’esigenza di capire.
Giovedì scorso, infatti, Piombino è stata raggiunta dalla notizia della vendita dell’intero complesso aziendale ex Lucchini da parte degli algerini del gruppo Cevital agli indiani di Jindal. Addirittura con l’indicazione di una firma, tra le parti prevista per le 9 di venerdì. Le indiscrezioni parlavano, infatti, di una trattativa ormai ai dettagli tanto che l’arrivo del gruppo asiatico, uno dei massimi produttori al mondo di acciaio, veniva salutato con commenti più che positivi dai principali attori politici: Rossi, Velo, Anselmi, Fabiani, Giuliani, Marras ed altri.
L’attesa della firma, venerdì, è stata però vana. Alle 16 l’agenzia della Regione Toscana, riportando le parole del presidente Enrico Rossi, annunciava che, mentre Cevital aveva sottoscritto il documento secondo programma, gli indiani avevano invece preso tempo e non avevano al momento firmato ancora nulla.
“Gli indiani – si poteva, tra l’altro, leggere nel documento della Regione — hanno chiesto tempo per effettuare alcuni approfondimenti circa i termini dell’intesa e quindi in Italia si resta in attesa di vedere una firma che al momento non è ancora stata apposta su un pre accordo che ieri sera, a tarda ora italiana, era stato chiuso. Ma a quell’ora in Corea (ndr: pare che Jindal fosse lì) era notte fonda e Sajjan Jindal difficile da contattare. Il testo inviato in India ieri sera era quello concordato tra i referenti italiani delle due società, un risultato che il presidente della Regione Toscana continua a ritenere estremamente positivo, ed importante per il futuro di tanti lavoratori”.
Anche il sindaco Massimo Giuliani, ignaro ancora della mancata sottoscrizione di Jindal, comunicava la notizia dell’accordo durante la seduta del consiglio comunale iniziata alle 8,30 di venerdì. Su proposta del consigliere Fabrizio Callaioli addittura il consiglio comunale votava a maggioranza la richiesta di un intervento di Calenda in Comune per chiarire la portata dell’intesa ed eventualmente rispondere alle domande dei gruppi consiliari.
Infatti, come noto, nel pomeriggio il ministro sarebbe giunto a Piombino dove, all’hotel Phalesia, avrebbe partecipato ad una iniziativa elettorale del Pd.
Ed eccoci quindi all’arrivo del ministero (una sua dichiarazione la potete ascoltare nel filmato alla fine di questo articolo) e all’incontro con gli operai nello spazio davanti all’albergo. Una cosa estemporanea ma utilissima della quale possediamo la registrazione. In pratica Calenda ha anticipato la sostanza di quel che poi ha riferito nel suo intervento nel salone dell’hotel. Il ministro ha voluto caratterizzare le sue risposte da una prudenza che oggettivamente finora si era vista poco dall’arrivo di tutti gli aspiranti risanatori della situazione di Piombino a partire dal mitico Khaled.
Da sottolineare al riguardo un passaggio del discorso nel salone del Phalesia relativo alla momentanea situazione della trattativa. Calenda ha, infatti, voluto chiarire che “per ora non c’è da festeggiare nulla ma proprio nulla”.
Non c’è dubbio alcuno che l’arrivo di Jindal, un vero industriale dell’acciaio, sia un fatto importante e da salutare con soddisfazione ma troppi elementi sono ancora da chiarire prima di poter esultare. È stato riferito che verrà avviata da Jindal una due diligence, cioè una verifica dello stato della fabbrica, e quindi dovrà essere presentato un piano industriale del quale per ora poco si conosce e nulla nei dettagli.
Al ministro, Francini ha posto questa domanda: “Se lo prende un impegno per garantire il rientro di tutti i lavoratori compresi quelli dell’indotto con la possibilità, fino a quando ripartirà lo stabilimento, di garantire gli ammortizzatori per non morire di fame, di predisporre le bonifiche e gli smantellamenti, e di avviare una diversificazione economica perché probabilmente l’acciaio non basterà più per tutti”.
La risposta di Calenda è stata netta: “No, non lo posso fare perché altrimenti diventerei un buffone che promette miracoli. Posso promettere invece che quando arriverà sul mio tavolo l’accordo tra le due parti, io che quell’accordo dovrò approvare, chiamerò i sindacati e esaminerò il piano industriale con loro. E con il consenso dei sindacati, cercheremo, come abbiamo sempre fatto, di ottenere il meglio. Se io oggi promettessi una cosa senza aver visto l’accordo e senza aver visto il piano industriale farei il buffone e alla mia prima visita a Piombino mi verrebbe di nuovo consegnato un volantino dal titolo:<Miracoli>. E io i miracoli non li so fare e non li prometto”.
Il ministro ha indicato in un mese il tempo per arrivare al closing, ovvero al definitivo accordo tra le parti. “Nell’ambito di questo mese – ha detto Calenda — , ammesso e non concesso che vada tutto bene perché è una roba tra le parti, Jindal dovrà presentare il suo piano industriale che il sindacato esaminerà e esprimerà le proprie valutazioni. Non ho mai preso una decisione che riguardasse la vicenda Piombino senza averne prima parlato con i sindacati e aver richiesto a loro cosa bisognasse fare e cosa non bisognasse fare”.
Fin qui la cronaca. Poco da aggiungere se non che la situazione è in evoluzione, che quindi va osservata con la prudenza indicata dallo stesso Calenda, il quale ha trattato fino ad oggi la questione ma — ecco un altro elemento da considerare — chissà e per quanto la potrà ancora seguire dato l’appuntamento elettorale del 4 marzo e i conseguenti successivi sviluppi.
(Foto di Pino Bertelli)