La Costituzione che vorrebbe Confindustria

pervenuta in redazione

PIOMBINO 9 luglio 2016 — In sé la posizione di Con­find­us­tria a favore del ref­er­en­dum sul­la pro­pos­ta di Cos­ti­tuzione, non stupisce. Noto­ri­a­mente, a pri­mav­era, Ren­zi ha deter­mi­na­to i numeri del­la elezione del nuo­vo Pres­i­dente Boc­cia schieran­do a suo favore le gran­di soci­età con sig­ni­fica­ti­va influen­za pub­bli­ca. Quin­di uno scam­bio di corte­sie abit­uale nei cor­ri­doi del potere. Quel­lo che sor­prende, o meglio pre­oc­cu­pa (come vedremo), sono le ragioni del­la scelta addotte for­mal­mente da Con­find­us­tria. Un crescen­do di asserzioni che esp­ri­mono desideri scon­nes­si dal testo del­la pro­pos­ta e che di fat­to aus­pi­cano isti­tuzioni accen­trate e lon­tane dai cit­ta­di­ni .
Esamini­amo i cinque prin­ci­pali motivi scrit­ti dal­la Con­find­us­tria per il Si al ref­er­en­dum.
Pri­mo: “il supera­men­to del bicam­er­al­is­mo par­i­tario, che sig­nifi­ca più sta­bil­ità e gov­ern­abil­ità. I Gov­erni potran­no assumere deci­sioni nell’interesse gen­erale sen­za guardare al con­sen­so di bre­vis­si­mo peri­o­do ma pen­san­do al benessere dei cit­ta­di­ni”. Solo che, pas­sare dall’attuale bicam­er­al­is­mo par­i­tario al pro­pos­to bicam­er­al­is­mo dif­feren­zi­a­to, di per sé non pro­duce affat­to più sta­bil­ità e gov­ern­abil­ità. E’ il par­ti­co­lare asset­to isti­tuzionale immag­i­na­to dal­la pro­pos­ta di revi­sione che lo real­iz­za nel sen­so aus­pi­ca­to da Con­find­us­tria, attra­ver­so la dimi­nui­ta influen­za elet­torale del cit­tadi­no e la riduzione di forme e por­ta­ta del con­tin­uo con­fron­to tra idee e prog­et­ti diver­si, come se sta­bil­ità e gov­ern­abil­ità derivassero da sof­fo­care idee e prog­et­ti. Non è un mio giudizio mal­izioso. Sta scrit­to con evi­den­za nel sec­on­do peri­o­do di questo pri­mo pun­to con­find­us­tri­ale. I Gov­erni – e non i risul­tati elet­torali ­– sta­bilis­cono quale è l’interesse gen­erale dei cit­ta­di­ni e il benessere da loro volu­to.
Sec­on­do: “il miglio­ra­men­to del­la qual­ità dell’attività leg­isla­ti­va, che sig­nifi­ca riduzione del time to mar­ket delle politiche pub­bliche”. Solo che nel­la pro­pos­ta non esiste alcuno spun­to per atti­vare ques­ta mag­gior qual­ità, anzi le pro­ce­dure ven­gono molti­pli­cate e la stes­sa pro­pos­ta è un pro­totipo di pes­si­ma tec­ni­ca leg­isla­ti­va, abbor­rac­cia­ta e fori­era di fre­quen­tis­si­mi con­tenziosi, cioè il con­trario di una polit­i­ca pub­bli­ca pro­dut­ti­va di relazioni fun­zio­nan­ti.
Ter­zo: “la sem­pli­fi­cazione e mod­ern­iz­zazione dei rap­por­ti tra i diver­si liv­el­li di gov­er­no, che sig­nifi­ca mag­giore col­lab­o­razione tra Sta­to e autonomie e supera­men­to del­la log­i­ca dei veti”. Solo che, anco­ra una vol­ta, si trat­ta di puri desideri sen­za riscon­tro nel testo. Anche a pre­scindere dal fat­to che la pro­pos­ta di revi­sione com­pli­ca moltissi­mo le modal­ità leg­isla­tive par­la­men­tari, i rap­por­ti da essa pre­visti tra i diver­si liv­el­li di gov­er­no sono al tem­po stes­so trop­po devo­lu­ti allo Sta­to eppure trop­po inde­fin­i­ti e con­fusi. Basti citare alcu­ni dei tan­ti aspet­ti. Un com­ma del pro­pos­to art. 117 san­cisce che, su inizia­ti­va del Gov­er­no, la legge del­lo Sta­to può, sen­za con­dizioni ben spec­ifi­cate, decidere su ogni argo­men­to trascu­ran­do le norme esisten­ti in mate­ria. Ciò con­figu­ra il mas­si­mo del­la cen­tral­iz­zazione in tem­po di pace. Il pro­pos­to art. 55 definisce il Sen­a­to rap­p­re­sen­tante delle isti­tuzioni ter­ri­to­ri­ali ma il pro­pos­to art. 68 sta­bilisce che anche i Sen­a­tori eserci­tano le fun­zioni sen­za vin­co­lo di manda­to; di con­seguen­za, la dichiara­ta rap­p­re­sen­ta­tiv­ità del Sen­a­to delle isti­tuzioni locali è accom­pa­g­na­ta dal divi­eto di manda­to da parte di queste ultime: ma allo­ra che rap­p­re­sen­tan­za è mai? Tan­to per citare un altro degli innu­merevoli casi di con­fu­sione, si ten­ga pre­sente che il pro­pos­to art. 117 elim­i­na la leg­is­lazione con­cor­rente tra Sta­to e Regioni, però , nel dis­tribuire le com­pe­ten­ze tra Sta­to e Regioni (tre quar­ti allo Sta­to), non attribuisce né allo Sta­to né alle Regioni la com­pe­ten­za esclu­si­va in materie impor­tan­ti, quali lavori pub­bli­ci, indus­tria, agri­coltura, arti­giana­to, miniere. Ciò sarà di cer­to fonte di con­tenziosi fre­quen­tis­si­mi.
Quar­to: “l’introduzione di mis­ure di effi­cien­ta­men­to del­la finan­za pub­bli­ca, che sig­nifi­ca soprat­tut­to mag­giore con­trol­lo sul­la quan­tità e qual­ità del­la spe­sa degli enti region­ali e locali”. Solo che, anco­ra una vol­ta, sono parole prive di riscon­tro in inno­vazioni sostanziali nel testo del­la pro­pos­ta di revi­sione. Infat­ti, le novità sono il pro­pos­to art. 97 che aggiunge ai prin­cipi cui gli uffi­ci pub­bli­ci devono rifar­si la sola paro­la “trasparen­za”, la quale però è già pre­sente da oltre un quar­to di sec­o­lo nel­la leg­is­lazione ordi­nar­ia in mate­ria. E poi, riguar­do alle risorse rac­colte da Comu­ni e Regioni per finanziare le rispet­tive fun­zioni, il pro­pos­to art. 119 aggiunge che il finanzi­a­men­to deve essere “inte­grale” e che la legge definisce indi­ca­tori di rifer­i­men­to per costi e fab­bisog­no. Quin­di nes­suna nuo­va misura introdot­ta per miglio­rare la spe­sa pub­bli­ca o con­trol­larne l’efficienza.
Quin­to: “il suc­ces­so del NO causerebbe il caos politi­co e inter­romperebbe il ricu­pero intrapre­so e facen­do ricadere l’economia ital­iana in reces­sione”. Questo è il pun­to rias­sun­ti­vo che fa emerg­ere il reale inten­to del­la Con­find­us­tria. Che non è la tesi di sapore un pò favolis­ti­co del ricu­pero già intrapre­so ben­sì l’idea stes­sa che la ricetta del­la pro­pos­ta di revi­sione (accen­trare lo Sta­to e ren­dere le isti­tuzioni più lon­tane dai cit­ta­di­ni) sarebbe il modo gius­to per far crescere l’economia del paese. Vale a dire l’idea che l’economia cresce solo a prez­zo di com­primere la lib­ertà dei cit­ta­di­ni. Per i lib­er­ali un sim­i­le con­cet­to è peri­coloso, per­ché va con­tro l’esperienza stor­i­ca per cui la capac­ità dei cit­ta­di­ni di intrapren­dere dipende dal­la loro lib­ertà. Ein­au­di, nel 1924 sul Cor­riere del­la Sera, già crit­i­ca­va diret­ta­mente gli indus­tri­ali i quali “insistono sul­la neces­sità pre­m­i­nente di un gov­er­no forte; e riten­gono che la tran­quil­lità sociale, il pareg­gio del bilan­cio, siano beni tan­gi­bili di gran lun­ga supe­ri­ori al dan­no del­la man­can­za di lib­ertà polit­i­ca. Per loro il pen­sare, il battagliare politi­ca­mente sono beni pura­mente ide­ali, dei quali si può anche fare a meno”. Ci risi­amo.
In con­clu­sione, le ragioni addotte dal­la Con­find­us­tria per appog­gia­re la pro­pos­ta di revi­sione cos­ti­tuzionale sono peri­colose in ter­mi­ni di cul­tura polit­i­ca usa­ta per sta­bilire le regole di con­viven­za e del tut­to sbal­late in ter­mi­ni di cor­rispon­den­za ai nor­mali cri­teri leg­isla­tivi. Può essere utile vedere sul sito del Comi­ta­to NO al peg­gio (www.perlelibertanoalpeggio.it) il con­fron­to com­ma per com­ma tra il testo del­la Cos­ti­tuzione vigente e la pro­pos­ta di revi­sione accom­pa­g­na­to da pun­tu­ali val­u­tazioni di mer­i­to.

Raf­fael­lo Morel­li del Comi­ta­to
Per le LIBERTA’ dei CITTADINI NO AL PEGGIO

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