“La mia esperienza all’interno di un doposcuola”
PIOMBINO 10 giugno 2013 — Sono ormai quattro anni che frequento come volontaria il Circolo Interculturale Arci Samarcanda di Piombino. Quando mi ci avvicinai avevo conseguito il diploma di maturità da poco, ero in una di quelle fasi della vita in cui si è alla ricerca di noi stessi e ci inoltriamo in sentieri inesplorati. L’obiettivo della mia ricerca era quello di capire se l’insegnamento poteva essere la giusta strada da intraprendere nella vita: mi misi a cercare un doposcuola dove poter dare una mano e testare le mie attitudini. Iniziai a mettermi in gioco come volontaria al doposcuola per bambini stranieri.
Questa esperienza mi ha fatto conoscere moltissimi bambini e, di conseguenza, le loro famiglie. Ogni tipo di contesto educativo mette in stretto contatto le persone: i bambini, in particolare, si aprono molto e tendono a raccontare le proprie storie. E’ stato grazie ai loro racconti che mi sono affacciata per la prima volta ad un mondo tanto complesso come quello dell’immigrazione. I bambini mi hanno fatto sbirciare dietro porte segrete: ascoltavo rapita storie di viaggi per mare e per terra, mi inebriavo di colori, suoni e profumi di città lontane, leggevo la gioia nei loro occhi quando pensavano alla prospettiva di trascorrere le vacanze estive dai loro nonni in Marocco, in Ucraina, in Romania ecc. Quei bambini che sono nati e hanno vissuto per qualche tempo nel paese d’origine dei genitori ma che frequentano da anni la scuola italiana, trasmettono una sensazione fantastica, ovvero quella di possedere un’identità poliedrica. Rimandano la sensazione di sentirsi sì marocchini, moldavi, domenicani ecc. ma anche italiani: questo lo si capisce quando parlano di scuola, dei loro compagni, delle maestre, dei compiti, della squadra calcistica cittadina di cui fanno parte e quando si scatenano accese discussioni su quanto sia buono il cous-cous ma anche la pizza. Questo aspetto lo si nota ancor di più in quei bambini figli di stranieri nati in Italia, le così dette seconde generazioni. Anche se la solidità della famiglia che hanno alle spalle conta molto, solitamente questi bambini non hanno nessun problema con la lingua italiana, anzi, molto spesso strascicano la “c” e padroneggiano intercalari tipici della nostra zona. Sono bambini spesso bilingue che portano nel loro bagaglio più culture: quella d’origine trasmessa dai genitori e quella italiana trasmessa a scuola e acquisita nella quotidianità. Questi giovanissimi celano ricchezza infinita, troppo spesso poco valorizzata se non addirittura ignorata.
Leggendo tra le righe dei racconti infantili si individuano le numerose problematiche che assillano gli immigrati nel nostro Paese: i genitori che non trovano lavoro, che se ne vanno in cerca di occupazione e che spesso riportano i figli in patria nei momenti più sbagliati, come i primi mesi di scuola.
L’esperienza successiva al doposcuola è stata quella della gestione di un corso di italiano per adulti dove ho imparato ad osservare questa realtà con gli occhi del disincanto. Ho incontrato uomini e donne con la necessità di imparare una lingua per poter iniziare a far parte di una comunità di cui hanno paura e che a sua volta ha paura di loro. L’educazione assume un significato che non avevo mai vissuto, quello dell’emergenza. Sono gli uomini coloro che popolano maggiormente i corsi di italiano, uomini giovani e anziani ferventi fedeli di religioni sconosciute che, però, raramente mancano di rispetto all’insegnante. Quando in un gruppo è presente una donna bisogna stare molto attenti ai delicati equilibri interni che sussistono fra maschi e femmine, equilibri e regole non esplicitate a noi completamente estranee. Quando si tratta di bambini le diverse nazionalità hanno poca importanza, mentre nel contesto educativo degli adulti è bene tenere di conto questo tipo di differenze per imparare a relazionarsi nel modo più proficuo con ogni soggetto. E’ in una situazione del genere che capisci come sia difficile interagire con persone che leggono i gesti e i comportamenti in modo tanto diverso dal tuo. Il compito dell’educatore diventa allora più importante: deve essere un ponte fra due culture per fare in modo che queste si incontrino e poter aprire un vero dialogo sull’inclusione.
Questa è la prospettiva da cui io osservo il mondo dell’immigrazione, un punto di vista personale che non può essere assolutamente generalizzato. Ci si può servire di statistiche, si può cercare di descrivere un particolare gruppo di studenti che ha frequentato il corso di italiano a Piombino in un dato periodo, ma dobbiamo scordarci di poter riuscire ad avere una descrizione puntuale su che cosa sia l’immigrazione nel suo complesso e tantomeno chi sia l’immigrato.
Chi si occupa di politica e chi è in procinto di prendere decisioni su riforme e leggi in tema di immigrazione (vedi la questione dello ius soli) dovrebbe chiedersi quali siano i vantaggi che si potrebbero acquisire con un tipo di politica accogliente e includente.
Una profonda e necessaria riflessione dovrebbe essere fatta sul concetto di diversità. Io mi sono accorta che prima della mia esperienza a stretto contatto con gli immigrati vivevo quotidianamente la diversità ma non l’accettavo, anzi, molto spesso la negavo. Ciò che vediamo nello straniero prima di ogni altro aspetto è la sua diversità, dimenticando che il fatto di essere diversi è qualcosa che accomuna anche tutti noi autoctoni. Io amo insegnare, c’è chi ama disegnare, chi andare in Chiesa e magari farsi suora. Questa non è diversità? Certo che lo è, anche all’interno di una stessa comunità. E allora credo che veramente sia riduttivo parlare di “immigrazione” prima di aver approfondito seriamente la nostra percezione interna di diversità. Se la società italiana avesse già assimilato questo concetto, risulterebbe davvero più facile ratificare leggi relativi a immigrazione e inclusione sociale. Lo stesso ius soli, che tra tutti i temi caldi di questo periodo è quello che più mi appassiona proprio perché sento che è una condizione che ha bisogno solo di essere formalizzata per essere vista, troverebbe una naturale soluzione qualora i legislatori avessero ben interiorizzato il senso di associare la linea dell’apertura a quella della diversità.
Gli studenti stranieri in Val di Cornia
Anche in Val di Cornia c’è una presenza crescente di studenti stranieri in tutte le scuole: ormai il 20% della popolazione scolastica è costituita da studenti stranieri comunitari e extracomunitari.
Secondo il Rapporto sulla scuola livornese 2011 dell”Osservatorio scolastico provinciale « …La cittadinanza maggiormente rappresentata per consistenza numerica, nel territorio provinciale è quella albanese con 653 alunni rispetto ai 574 dello scorso anno (+79 alunni). Questa costituisce il 20% della popolazione straniera ed ha un’incidenza sulla popolazione scolastica totale dell’1,7%; seguono quella rumena, con 429 presenze rispetto alle 339 dell’anno precedente (circa il 13% della popolazione straniera), con un incremento di 90 alunni, la nazionalità marocchina pari a circa l’11% della popolazione scolastica straniera, quella peruviana (6,4%), moldava e ucraina, con una percentuale sulla popolazione scolastica straniera rispettivamente del 5,4% e del 5%. La Bassa Val di Cecina (24,6%) e l’area Livornese (22,4%) presentano la più alta concentrazione di studenti di nazionalità albanese. Particolarmente consistente è l’incidenza degli studenti rumeni nelle scuole del territorio della Val di Cornia (20,4%). Gli studenti di nazionalità peruviana sono prevalentemente presenti nell’area Livornese (12% circa). La nazionalità Moldava presenta una incidenza particolarmente consistente (23%) nell’Isola d’Elba. Gli studenti marocchini si trovano prevalentemente nell’area della Val di Cornia (15,5%), all’Isola d’Elba e nella Bassa Val di Cecina (13%), mentre quelli di nazionalità ucraina sono più concentrati nell’area della Val di Cornia, (8,2%), seguita dalla Bassa Val di Cecina (6%)…»
(Foto di Pino Bertelli)