La Val di Cornia come la vedo io
PIOMBINO 15 luglio 2013 — Quando penso a Piombino, la prima sensazione che provo è affetto, calore, sicurezza: è la città in cui sono cresciuta, maturata, che mi ha accompagnato in tutte le fasi della mia vita, è quella in cui la mia famiglia ha da sempre vissuto e lavorato.
Quando penso a Piombino, le prime immagini che si delineano nella mia mente sono quelle della costa, del porticciolo di Marina, di Piazza Bovio, della silhouette dell’Elba che si staglia all’orizzonte, delle strade antiche della città vecchia.
Purtroppo, da qualche anno a questa parte, quando penso a Piombino queste immagini, questi ricordi sono sempre più fugaci, lasciano spazio a dubbi, timori, talvolta a un po’ di risentimento. La nostra città si è allargata e ha basato il suo intero sviluppo economico sulla fabbrica, sull’industria, dando lavoro a generazioni di operai e impiegati che grazie all’acciaio hanno potuto regalare prosperità alle loro famiglie. Ora però la crisi è arrivata anche qui, ci ha colpiti duramente: la siderurgia è andata declinando, e con lei la situazione economica e sociale di tutte le famiglie che si reggevano sugli stipendi di quegli operai e di quegli impiegati. Da molti anni si sente parlare della necessità di “diversificare” l’economia della città e dei suoi dintorni, ma in concreto questo processo ha avuto grosse difficoltà a decollare, nonostante la possibilità di usufruire di ciò che avevamo per tentare almeno di aprire una seconda via. Io però non voglio pensare che sia troppo tardi: certo è vero che la fabbrica non può e non deve chiudere, diversificare non significa cancellare dalle fondamenta ciò che per anni è stata la fonte principale della nostra ricchezza. Ma sono dell’opinione che innanzitutto Piombino dovrebbe cambiare mentalità. Ho come l’impressione che Piombino, tutto sommato, sia soddisfatta di come è e l’innovazione, l’idea di uscire fuori dagli schemi, un po’ la spaventi: io parlo della Piombino giovane, delle nuove generazioni, quelle che dovrebbero incaricarsi di portarla nel nuovo millennio. Chi ha ambizione, speranza, voglia di rimettersi in gioco, cerca altrove la propria occasione di emancipazione: Pisa, Roma, Milano, magari l’estero. Difficilmente torna indietro e regala alla città il valore aggiunto acquisito in tanti anni di studio, lavoro, sacrificio. Chi rimane invece mette le proprie radici dove trova terreno fertile, pronto a lottare con tutte le sue forze per non perdere quello che ha, ma diffidente verso quello che potrebbe avere.
Parlando con alcuni miei amici, altri ragazzi che provengono da altre realtà, più o meno distanti da Piombino, la sensazione tuttavia non è molto differente: spesso sento le stesse identiche parole, gli stessi dubbi, la stessa sfiducia, provenire da giovani che vivono nei borghi, nelle campagne, nell’entroterra. Ovviamente io parlo per me, posso riflettere sulla città in cui vivo da tanti anni, ma se cerco di allargare la visuale, attraverso gli occhi di altri, mi rendo conto di come la nostra sia solo una goccia in un mare di realtà simili. La globalizzazione dell’informazione, la diffusione su larga scala di mezzi di comunicazione come quello televisivo ha contribuito all’affermazione di modelli di vita scintillanti, patinati, caratterizzati dal denaro facile e dal trionfo di un’estetica particolare: quella della ricchezza e della superficialità, dell’apparenza e dell’effimero. Difficilmente i ragazzi più giovani si dedicano alla visione di programmi di tipo diverso rispetto ad un reality o una partita di calcio, e questo livellamento culturale (al ribasso) contribuisce alla sensazione generalizzata di sfiducia verso istituzioni e lavoro. Questo perché raramente vengono veicolati i modelli positivi di chi ce l’ha fatta con le proprie forze e le proprie abilità, di chi ha utilizzato il suo bagaglio di studio e innovazione per emanciparsi. Anche se Internet con le sue infinite potenzialità potrebbe contribuire ad un riequilibrio informativo, generalmente chi ne fa uso non se ne serve come un mezzo di informazione o approfondimento, a meno che non parta con un’idea già precisa di cosa cercare. Non dimentichiamoci che la rete è tanto fonte di opportunità quanto di sciocchezze, e con i miliardi di informazioni che giornalmente vi vengono immessi è sempre più arduo distinguere le due categorie. Ed ovviamente, essendoci nelle province un clima culturale e intellettuale per definizione molto meno fertile che nei grandi centri abitati, diventa più difficoltoso creare al di fuori dei mezzi di comunicazione di massa delle occasioni ricreative che non si traducano in mero svago, ma che sappiano unirlo a qualcosa di costruttivo.
Non è solo un problema economico, anche se ogni altro aspetto finisce per ruotare intorno a quello principale, cioè la crisi. Per uscire dalla crisi non bastano gli aiuti del governo, i progetti di ampliamento del porto, la salvezza della fabbrica: ci vuole lo spirito giusto, una speranza nuova per la mia generazione e per quelle che hanno fatto seguito. In passato abbiamo superato momenti ancora più gravi di questo e ne siamo usciti a testa alta, quindi io confido ancora nella nostra capacità di rimetterci in gioco, nel portare idee nuove, di ridare entusiasmo ad una città che ormai sembra essersi impantanata nel timore di non uscirne. Per far questo dobbiamo cambiare noi per primi, trovare la forza di osare e soprattutto di crederci.
(Foto di Pino Bertelli)