Le battaglie si devono fare e si possono vincere

· Inserito in Spazio aperto

CAMPIGLIA 7 agos­to 2017 — Com­ple­ta­mente igno­ra­to dal­la stam­pa pre­sente all’inaugurazione del­la Mostra ded­i­ca­ta a Ric­car­do Fran­covich, il 4 agos­to scor­so, il dis­cor­so di Sal­va­tore Set­tis (nel­la foto in alto, ndr) è sta­to il “clou” del­la ser­a­ta. L’accademico dei Lin­cei, il più pres­ti­gioso delle per­son­al­ità invi­tate, è l’unico ad avere mes­so il dito sul­la pia­ga, ricor­dan­do  “le scon­fitte, le pre­oc­cu­pazioni, il dolore che accom­pa­g­nò Fran­covich negli ulti­mi anni“, illus­tran­dole con i mes­sag­gi scrit­ti dall’archeologo poco pri­ma del­la sua morte dove non nascon­de­va il suo pes­simis­mo sul futuro del­la Roc­ca di San Sil­ve­stro. Di segui­to il testo inte­grale del suo inter­ven­to.

Comi­ta­to per Campiglia

Più di 10 anni sono pas­sati da quel 30 mar­zo 2007 in cui Ric­car­do Fran­covich è tragi­ca­mente scom­par­so. Cel­e­brar­lo qui alla Roc­ca di San Sil­ve­stro, che può ess­er con­sid­er­a­to il cul­mine e il sim­bo­lo del suo apos­to­la­to per l’archeologia medievale in Italia, è sta­ta una bel­lis­si­ma idea, e ringrazio Sil­via Guideri che ha volu­to che io ne fos­si parte. Ric­car­do è sta­to per me e Michela ami­co frater­no, ma non vor­rei qui par­lare di sen­ti­men­ti per­son­ali, gelosa memo­ria inte­ri­ore; ma di lui come stu­dioso e come pro­tag­o­nista di una battaglia, anco­ra da vin­cere, per la tutela dei siti arche­o­logi­ci e del pae­sag­gio cir­costante.

Pri­ma di lui, l’archeologia medievale ave­va in Italia poca cit­tad­i­nan­za. Forse per­ché sopraf­fat­ti dal peso dell’antichità clas­si­ca, sia l’accademia ital­iana che gli organ­is­mi del­la tutela han­no a lun­go sten­ta­to ad asso­cia­re le metodolo­gie arche­o­logiche alla conoscen­za del Medio Evo. Intan­to, in altri Pae­si, l’archeologia medio­e­vale con­quis­ta­va ter­reno, e lenta­mente pen­e­tra­va in Italia. D’importazione tedesca fu da noi la Bau­forschung, qua­si “arche­olo­gia in ver­ti­cale” pun­ta­ta sull’analisi delle modal­ità e delle fasi costrut­tive dell’elevato; d’importazione inglese (e in parte francese) l’archeologia medievale di sca­vo, in siti abban­do­nati o in ambito urbano.

E’ su questo fronte che Fran­covich s’impegnò inten­sa­mente, col rig­ore di chi vuol com­pren­dere e la pas­sione di chi vuol con­vin­cere. A par­tire dagli anni Ses­san­ta del Nove­cen­to s’impiantavano gra­zie a Gian Piero Bognetti i cantieri di Cas­telseprio e quel­li di Tor­cel­lo, decolla­vano le ricerche di arche­olo­gia lon­go­b­ar­da, cresce­va la pre­sen­za medievale nelle indagi­ni di arche­olo­gia urbana (per esem­pio a Bres­cia e a Verona). Nelle uni­ver­sità, l’archeologia medievale comi­ciò a far­si stra­da nel­lo stes­so peri­o­do, col­le­gan­dosi all’inizio più ai dipar­ti­men­ti di sto­ria che a quel­li di altre arche­olo­gie, e prin­cip­i­arono inseg­na­men­ti e cat­te­dre (Fran­covich ne fu incar­i­ca­to a Siena dal 1975, ordi­nario dal 1986); solo negli anni Ottan­ta ispet­tori medievisti si aggiun­sero ai clas­sicisti e ai preis­tori­ci nelle Soprint­en­den­ze. Nasce­va intan­to nel 1974 la riv­ista Arche­olo­gia medievale , fon­da­ta pro­prio da Fran­covich e luo­go d’incontro di tut­ta la miglior ricer­ca ital­iana (per esem­pio, e sin dal pri­mo vol­ume, Tiziano Man­noni). Insom­ma, l’archeologia medievale si affer­ma­va e si rad­i­ca­va non solo come prat­i­ca, ma come dis­ci­plina.

Per quan­to stra­no pos­sa oggi apparire, l’archeologia medievale fu allo­ra una dis­ci­plina di fron­tiera, che dovette com­bat­tere per far­si spazio non solo nelle uni­ver­sità, ma nel­la tutela. In imp­rese di arche­olo­gia urbana come quelle nel cen­tro di Firen­ze o di Roma, gli strati medievali con­tin­uarono ad apparire a molti come “sec­on­dari” rispet­to a quel­li di età clas­si­ca, e per­ciò deg­ni di minor tutela: men­tre Fran­covich ne riven­di­ca­va il pari val­ore di tes­ti­mo­ni­an­za, le eguali neces­sità di con­ser­vazione.

E’ su questo ter­reno, let­teral­mente e metafori­ca­mente “sul cam­po”, che Fran­covich elaborò la sua con­cezione del­la tutela dei siti arche­o­logi­ci come pro­fon­da­mente inte­gra­ta a quel­la dei pae­sag­gi cir­costan­ti, e com­p­rese, luci­da­mente come pochi altri, che alle imp­rese di sca­vo dove­va subito accom­pa­g­nar­si un alto impeg­no nel­la comu­ni­cazione dei risul­tati non solo ai col­leghi ma ai cit­ta­di­ni tut­ti, e una nuo­va strate­gia di ges­tione dei siti. L’archeologo che sca­va e poi abban­dona il sito al pro­prio des­ti­no non entra­va nell’orizzonte eti­co e politi­co di Fran­covich. Esem­pio mas­si­mo è la Roc­ca di San Sil­ve­stro: dopo aver ripor­ta­to alla luce l’intero vil­lag­gio in oltre dieci anni di scavi esem­plari, egli seppe tradurre le sue indagi­ni in un par­co arche­o­logi­co, inte­gra­to a quel­li del­la Val di Cor­nia.

Si con­giungevano, in quell’impresa, tutte le ani­me di Fran­covich: quel­la del­lo stu­dioso e dell’organizzatore di cul­tura, quel­la del cit­tadi­no che avverte il sig­ni­fi­ca­to politi­co del­la tutela del pae­sag­gio, quel­la del pro­fes­sion­ista che vuol pro­muo­vere la sper­i­men­tazione di nuove forme di ges­tione, come la Parchi Val di Cor­nia.

Ric­car­do Fran­covich

Ma Ric­car­do non amerebbe ess­er ricorda­to solo con affet­to, solo con nos­tal­gia, solo come un pio­niere che vince le sue battaglie. Il rispet­to che a lui dob­bi­amo impone di ricor­darne anche le scon­fitte, le pre­oc­cu­pazioni, il dolore che lo accom­pa­g­nò negli ulti­mi anni. Ho ritrova­to per ques­ta occa­sione la cor­rispon­den­za che ho avu­to con lui nel mese di feb­braio 2007, fino a poche set­ti­mane dal­la sua morte. Sono cinque let­tere, tutte con alle­gati, di cui darò ora a Sil­via Guideri il testo, per­ché ven­ga con­ser­va­to nel con­testo di questo Par­co di San Sil­ve­stro. Di queste let­tere, quat­tro riguardano San Sil­ve­stro (il luo­go dove siamo), una riguar­da Fiesole (il luo­go dove Ric­car­do sarebbe mor­to). Ne leg­gerò solo qualche pas­so:

4 feb­braio 2007

Mi fac­cio vivo per seg­nalar­ti una situ­azione par­ti­co­lar­mente incresciosa che investe il par­co di San Sil­ve­stro, che tu hai vis­i­ta­to ai suoi esor­di e  hai riv­is­i­ta­to anche in questi ulti­mi mesi, e soprat­tut­to per­ché sono sicuro che i prob­le­mi di con­ser­vazione del pat­ri­mo­nio ti fan­no super­are le pos­si­bili residue con­seguen­ze del tuo “dolore” provo­ca­to dal­la mia coc­ci­u­tag­gine [rifer­i­men­to a nos­tra cor­rispon­den­za del 2005 a propos­i­to di Italia SpA, anch’essa com­pre­sa nel­la cartel­la]. Un’occasione , per me triste, ma che col­go anche per risen­tir­ti e salu­tar­ti con affet­to

tuo Ric­car­do

P.S: nel­la foto San Sil­ve­stro sta fra la col­li­na cop­er­ta di veg­e­tazione imbian­ca­ta e la cava

7 feb­braio 2007

Ti invio altri doc­u­men­ti e la car­ta dei vin­coli arche­o­logi­ci dell’area di San Sil­ve­stro (estrat­ti dai vin­coli on line del­la Regione Toscana), che non ven­gono rispet­tati, men­tre man­cano i con­fi­ni dell’area pro­tet­ta e il sic (sito di inter­esse botan­i­co), col­lo­ca­to anche esso sul­la vet­ta del Monte Calvi (quel­lo del­la cava). Cre­do che si trat­ti di un caso che non ha con­fron­ti in tut­ta l’Europa.

ALLEGATI : arti­co­lo La Nazione 6.02.07, arti­co­lo Tir­reno 6.2.07 (+ altro, su Rim­igliano),  arti­co­lo Repub­bli­ca 6.2.07.

tut­ti per protestare con­tro il man­ca­to ripristi­no ambi­en­tale nelle cave.

15 feb­braio 2007

Purtrop­po cre­do che sarebbe sta­ta suf­fi­ciente l’attenzione delle strut­ture di tutela per evitare i dan­ni arrecati e quel­li che si van­no a pro­durre nel­la Val di Cor­nia. Non vi è dub­bio quin­di che, se per real­iz­zare imp­rese sig­ni­fica­tive in scala ter­ri­to­ri­ale, i gov­erni locali sono deter­mi­nan­ti, è altret­tan­to vero che per con­ser­var­li è asso­lu­ta­mente nec­es­sario dis­porre di strut­ture di con­trol­lo lon­tane dagli affari locali e capaci di un giudizio ter­zo e inap­pella­bile (quel­lo che io chi­amo con­trol­lo forte del­lo Sta­to, che potrebbe essere eserci­ta­to da una Autorità indipen­dente). Oggi abbi­amo comu­ni in fase di rapi­do “decli­no” prog­et­tuale e ges­tionale (anche in Toscana) e  strut­ture di tutela con­cen­trate alla con­duzione di tartu­fistiche ricerche e, invece,  dis­at­tente alla costruzione delle car­tografie region­ali e sub region­ali e ai pro­ces­si di trasfor­mazione pae­sag­gis­ti­ci.  Per questo mi ritro­vo fra l’altro a battagliare anche per Fiesole, dove il comune, con l’avvallo delle sovrin­ten­den­ze, sta trasfor­man­do l’immenso depos­i­to arche­o­logi­co del cen­tro inter­no alle mura in aree fab­bri­ca­bili (era giun­to fino a noi in con­dizioni dis­crete).

Scusa lo sfo­go, ma come puoi immag­inare sono un po’ teso, anche se sicuro che le battaglie si devono fare e si pos­sono vin­cere,

tuo con affet­to Ric­car­do

Alle­ga­to: Appel­lo Italia Nos­tra Nazionale per la Parchi Val di Cor­nia

23 feb­braio 2007

Ti invio un pez­zo (di prossi­ma pub­bli­cazione sul­la stam­pa locale) di Zuc­coni, Pres­i­dente del­la Val di Cor­nia Spa, che sta con­ducen­do una dura battaglia per tentare di man­tenere i gov­erni locali dell’area su posizioni di impeg­no a dife­sa del pat­ri­mo­nio. Cosa che, come avrai let­to dai miei doc­u­men­ti,  appare asso­lu­ta­mente dif­fi­cile, ma indis­pens­abile per garan­tire l’assetto di con­ser­vazione del “pae­sag­gio” defini­to nel­la piani­fi­cazione ter­ri­to­ri­ale degli anni 80–90. Come vedrai vi sono rifer­i­men­ti anche al tuo ulti­mo inter­ven­to su Repub­bli­ca: pen­so che sarebbe davvero utile un incon­tro sull’argomento con lui e, se ti fa piacere, anche con me. Ma questo sarà facile nel sen­so che ti potrem­mo rag­giun­gere o a Campiglia o a Pisa.

[CHIUNQUE può vedere che, in decen­ni di attiv­ità nelle cave di Campiglia non solo si stan­no pro­gres­si­va­mente dis­truggen­do tes­ti­mo­ni­anze minerarie di rara impor­tan­za arche­o­log­i­ca, ma non vi è trac­cia sig­ni­fica­ti­va di ripristi­no ambi­en­tale. Se oggi si decantano i risul­tati dell’attività di cava le cose sono due: o i con­trol­li per il rispet­to dei piani di colti­vazione non ven­gono fat­ti con la dovu­ta atten­zione o quegli stes­si piani sono grave­mente car­en­ti. Così come grave­mente car­en­ti sono i piani e gli stru­men­ti ammin­is­tra­tivi che con­sentono il per­manere a Mon­tor­si di una con­ces­sione mineraria sostanzial­mente immo­ti­va­ta, di fat­to fun­zionale alle attiv­ità di cava di Monte Vale­rio. L’insieme di questi episo­di mette in tut­ta evi­den­za una palese con­trad­dizione: lo stes­so Comune che, con il sis­tema dei parchi, ha saputo con­cepire dal bas­so un impor­tante prog­et­to di tutela e val­oriz­zazione del pat­ri­mo­nio archeominerario e nat­u­ral­is­ti­co, oggi non sem­bra in con­dizione di porre arginiall’aggressione spec­u­la­ti­va delle cave che dis­trug­gono pae­sag­gio e tes­ti­mo­ni­anze storiche».]

 

E’ triste con­clud­ere ricor­dan­do che  quell’appuntamento con Ric­car­do lo ave­va­mo poi pre­so, fra Piom­bi­no e Campiglia, fis­san­do­lo a pochi giorni dopo quel 30 mar­zo in cui Ric­car­do ci ha las­ci­a­to.

Che cosa direbbe Ric­car­do se tor­nasse oggi tra noi, qui a Roc­ca San Sil­ve­stro? Sarebbe con­tento di sapere che è in vista, su finanzi­a­men­to del­la Regione Toscana, la “Via Etr­usca” da Volter­ra a Piom­bi­no, un itin­er­ario di mobil­ità lenta che rien­tra nel cosid­det­to piano di “Eccel­len­za in Etruria”; ma non sarebbe con­tento di sapere che in questo per­cor­so si apre a quel che pare un “buco”, e pro­prio a San Sil­ve­stro, per­ché in quest’area la via­bil­ità è gra­va­ta dall’interferenza delle attiv­ità di estrazione e movi­men­tazione delle Cave di Campiglia.

Ric­car­do sarebbe con­tento di ved­er­ci qui a par­lare di lui; ma sarebbe altret­tan­to con­tento del­la per­sis­ten­za del­la cava nell’area del par­co? Che cosa direbbe degli esi­ti del­la “dura battaglia” di Mas­si­mo Zuc­coni di cui parla­va nel­la sua ulti­ma email? Che cosa farebbe e direbbe, se fos­se oggi con noi?

Ebbene: per ono­rar­lo davvero oggi, por­ti­amo con noi non il solo ricor­do, non un’astratta cel­e­brazione, non l’elogio o il rimpianto : ma por­ti­amo con noi queste domande, questi dub­bi, questi pun­ti su cui riflet­tere, e rispet­to a cui agire. Per­ché (dici­amo­lo con le sue parole) bisogna colti­vare den­tro di noi la sicurez­za che «le battaglie si devono fare e si pos­sono vin­cere».

Sal­va­tore Set­tis
Roc­ca di San Sil­ve­stro, 4 agos­to 2017

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