Le cause del degrado della sanità pubblica
PIOMBINO 16 aprile 2016 — La domanda che mi pongo è se un cittadino, pur non avendo competenze specifiche sul funzionamento di un ospedale e della sanità pubblica in genere, ovvero pur non essendo un’addetto ai lavori, possa comunque esprimere opinioni in merito. La risposta che mi do è che, essendo un ospedale pubblico patrimonio di tutti chiunque ha il diritto di esprimersi ed io vorrei farlo prendendo a pretesto il drammatico episodio avvenuto nell’ ospedale di Piombino. Ciò che importa è non anteporsi a chi sta lavorando sulla vicenda, non stigmatizzare, non sentenziare, non distorcere le notizie, ma sopratutto non gettare tutto e tutti in un unico pentolone. Scriveva Rita Levi Montalcini che molte tragedie umane si consumano a causa del prevalere nel nostro cervello della componente emotiva rispetto a quella cognitiva. Con i suoi studi sulle fibre nervose ci ha indicato la via maestra per arrivare al controllo di questa componente emotiva che, quando prevale, può essere causa di quelle che lei stessa definiva terribili deflagrazioni sociali. Tutto questo può aiutare anche noi cittadini comuni a comprendere con la massima semplificazione possibile come ciascuno di noi possa, in linea di principio, caratterizzare la propria vita facendo scelte di straordinaria bellezza ed altruismo, cosi come scivolare nell’orrore più profondo.
Il caso sconvolgente di tredici persone che entrano in un ospedale pubblico per curarsi e ne escono inspiegabilmente cadaveri apre scenari complessi e molto diversificati tra di loro, porta a fare ragionamenti più ampi ed a costruire ipotesi e supposizioni anche se molto spesso condizionate da ciò che si legge sui giornali. Per esempio leggere di una palese mancanza di tempestività nel prendere le decisioni necessarie a me ha fatto riflettere su quanto sia importante che chiunque svolga un lavoro mentalmente impegnativo, e lo è ancor più se come nel caso dei medici e degli infermieri coinvolge altri soggetti la cui salute e integrità dipende dal proprio operato, non si trovi a svolgerlo in condizione di stress pesante come invece troppo spesso avviene. Credo sia capitato a tutti di trovarsi in una corsia ospedaliera e vedere il personale in preda ad agitazione e nervosismo correre da una parte all’altra, medici che si negano a domande che vengono loro rivolte dai familiari dei pazienti e che in preda ad un evidente stato di nervosismo rispondono, magari non volendo, in un modo non proprio improntato ad una giusta e doverosa cortesia. Da tutto questo una considerazione la si può trarre, ovvero quanto sia difficile per chi lavora in queste condizioni dare il meglio di sé e riuscire a trovare lo spazio mentale e la concentrazione necessaria per guardare oltre la propria stretta routine operativa. Questo aspetto, semplificando, mi sembrerebbe l’unica spiegazione plausibile, da non assumere assolutamente come giustificazione, ma che potrebbe forse spiegare come sia stato possibile che nell’arco di circa due anni tra i medici, i dirigenti e gli operatori sanitari di vario livello non vi sia stato nessuno che abbia colto dei segnali che qualcosa non andava come avrebbe dovuto e non abbia allarmato chi di dovere anticipando possibili azioni rispetto a quanto poi è avvenuto con inaccettabile ritardo. Su questa drammatica vicenda psicologi, psichiatri, sociologi, scrittori impegnati scriveranno pagine e testi approfonditi nei quali, percorrendo le strade più impervie e profonde, andranno a ricercare le motivazioni ed a trovare risposte ai mille perché ed il prodotto del loro forse contribuirà ad aggiungere tasselli al gigantesco puzzle che una volta completato, se un giorno mai lo sarà, ci consentirà di dipanare i misteri che avvolgono il cervello umano. A noi persone dedite ad altre attività più “normali”, ma inevitabilmente potenziali utenti di ospedali pubblici, resta l’inquietudine, la paura, ma anche l’amarezza e la rabbia di sentirci meno sicuri e meno tutelati, proprio là dove si è più fragili perché malati e ciò di cui si ha bisogno è la massima serenità possibile e magari qualche sorriso. Per quanto concerne il caso specifico, mi sento di osservare, riprendendo i concetti sopra esposti, che forse, ma il condizionale è d’obbligo, in un ambiente ragionevolmente sereno, dove chi lavora trova anche lo spazio necessario per verifiche e riflessioni, gli eventi avrebbero potuto avere un altro corso e magari il numero delle morti misteriose sarebbe stato inferiore. Ma gli interventi dei governi, di qualunque colore essi siano stati, riferiti alla sanità pubblica, da molti anni a questa parte non vanno nella direzione che porta a migliorare le condizioni di chi lavora e ancor meno la qualità del servizio offerto. È pur vero che, in un mondo da sempre terra di conquista e di spartizione da parte della politica che persino il commissario anticorruzione Cantone ha definito “terra di banditi e delinquenti”, c’è moltissimo da fare per riportare dignità rigore e onestà, ma ciò non può avvenire attraverso interventi demagogicamente propagandati come” razionalizzazioni ai fini del miglioramento del servizio ai cittadini”, che altro non fanno che provocare una caduta verticale della qualità dei servizi stessi. Alcuni esempi? Si taglia la Tasi ma per farlo si tolgono quattro miliardi alla sanità pubblica, in ogni legge di bilancio in primis si mette mano alla sanità pubblica, si vogliono ridurre gli sprechi e si coglie l’occasione per togliere ancora soldi alla solita sanità pubblica ormai esangue, dove vi erano tre specialisti se ne mettono due, si allargano i confini di una Asl e alcuni medici diventano piccioni viaggiatori, si riduce la permanenza in ospedale alle persone operate in maniera talmente drastica da provocare timori e inaccettabili disagi, vi è sempre un maggior ricorso a strutture private per analisi e prestazioni di vario genere a causa di tempi di attesa inaccettabili e gli esempi potrebbero moltiplicarsi. In sostanza, la sanità pubblica intesa come principale bancomat per le continue necessità di bilancio, oltre che terra di conquista della peggior politica e di imprenditori spregiudicati e tutto ciò ignorando quanto la materia sia sensibile e delicata e meriti al contrario rispetto e grandi attenzioni. In conclusione, come non vedere in tutto questo un disegno che, a prescindere da qualunque bisogno di far cassa, parla di diritti acquisiti nelle grandi battaglie di democrazia del ventesimo secolo che, in un’ottica di nuovi valori e ridistribuzione del benessere, non possono più essere tali? In sostanza una volontà ferma di rimettere in discussione diritti sacrosanti come lavoro, studio e salute che, a prescindere da ogni ideologia, dovrebbero essere assunti come valori fondanti di qualunque società che si basi su saldi principi di democrazia.