Le Costituzioni non sono reperti di archeologia
ROMA 29 novembre 2016 — Se è vero che prudenza ed esperienza ci inducono a non dare per certa una vittoria percepita, non è certamente imprudente prepararsi a gestire la difficile fase politica che si aprirà dopo il voto referendario e a predisporre idee, strumenti e iniziative per far fronte a due possibili scenari.
Se prevarrà il NO, verrà bloccato l’assalto all’impianto democratico della Costituzione. È questo un obiettivo essenziale ma dobbiamo essere consapevoli che non si bloccherà, da parte dello schieramento battuto, il tentativo di svuotamento dei contenuti di autonomia e del carattere di sovranità statale e democratica della Carta. I tentativi di rivincita riemergeranno anche perché vasto è il fronte, interno ed esterno, dai connotati non solo economici ma anche politici e culturali, che ormai colloca le Costituzioni dei popoli come reperti di archeologia, inadatte a farsi permeabili ai processi di globalizzazione, alle necessità di unificazione e omogeneizzazione della governance, alle leggi del mercato.
L’obiettivo di questo largo fronte è chiaro, più volte dichiarato ed anche teorizzato: le Costituzioni devono perdere la “rigidità” fondata sulla sovranità nazionale e popolare, unica titolare della difesa e della revisione del sistema dei diritti e dei poteri democraticamente conquistati; le Costituzioni — in sostanza — devono perdere la loro forma storica a favore di una forma “flessibile”, di “legge-regolamento” la cui malleabilità deve seguire i cicli congiunturali dell’economia mondiale e dell’equilibrio dei poteri che di volta in volta si ridisegnano.
Da tempo forze potenti si stanno muovendo contro il costituzionalismo democratico, individuato soprattutto in quei sistemi politici dell’Europa “periferica”, marginale, come viene classificata l’Italia. In un noto report di J.P. Morgan del maggio del 2013 (The Euro area adjustment: about halfway there) tali sistemi si sono ricostruiti in seguito a dittature e sono segnati da tali esperienze. Le Costituzioni “tendono a mostrare una forte impronta socialista, riflettono la forza delle Sinistre politiche, una forza conquistata nella lotta al fascismo”. Sistemi politici da correggere, quindi, perché da questa forza discendono: esecutivi deboli, un debole centralismo dello Stato rispetto alle regioni, la costituzionalizzazione dei diritti dei lavoratori, il clientelismo e tanto altro da raddrizzare. Ma non è solo l’opinione di una Banca mondiale. Recentemente molti rappresentanti di interessi forti si sono espressi a favore di un “riorientamento” della nostra Costituzione nel senso del “vento” dei mercati, dalla Goldman Sachs (settembre 2016) alla Confindustria.
La riforma costituzionale di Renzi è dentro questa “tendenza”. L’obiettivo della Costituzione malleabile era già dentro la nascita di questo Governo. Nel disegno di legge costituzionale presentato dal Presidente del Consiglio l’8 aprile del 2014, si legge con chiarezza che il processo di revisione deve seguire “l’esigenza di adeguare l’ordinamento interno alla recente evoluzione della governance economica europea (…) e alle relative stringenti regole di bilancio.” Il governo Renzi, senza alcuna dichiarazione al Parlamento, ha annullato il processo di revisione costituzionale dell’articolo 138 già avviato e a buon punto dell’iter parlamentare, sostituendolo con una iniziativa, non del Parlamento ma di una commissione, che ha dato al governo centralità di iniziativa nel ridisegno costituzionale.
La riforma costituzionale del governo segue il “vento” dei mercati. La “nuova” Costituzione, secondo Renzi, è pensata per far fronte alle “sfide derivanti dalla internazionalizzazione delle economie e dal mutato contesto della competizione globale” e a questo imperativo si deve sacrificare l’impianto del costituzionalismo democratico.
A dividere il Paese e a infiammare la campagna referendaria non è stata certamente la comune e sentita richiesta di ridurre il numero dei parlamentari (e non secondo le recenti pulsioni populistiche del nostro premier) oppure il superamento del bicameralismo paritario (ben dibattuto sin dentro la Costituente del 1947!) o –ancora- il superamento del CNEL. Quello che divide e dividerà anche dopo il 4 dicembre, è la natura della nostra Costituzione declassata a legge-regolamento. Non si fa fatica a riconoscere che la vittoria del SI’ aprirebbe la prospettiva di una revisione “permanente” della Costituzione perché la forza politica che vincerà le elezioni, con il premio di maggioranza che trasforma le minoranze politiche in maggioranze parlamentari, potrà prendere in ogni momento iniziative nel solco della demolizione del costituzionalismo democratico.
Questo sarà il terreno di battaglia politica dei socialisti a partire dal 5 dicembre e su questo terreno lavoreremo con le forze riformiste che hanno scelto il NO e quella parte della sinistra che avrà la forza e l’intelligenza di non farsi trascinare in una battaglia di pura difesa dell’esistente.
I socialisti per il NO, come hanno già detto nella Lettera aperta a tutta la sinistra, rivolgono un appello a tutte le forze democratiche e riformiste per aprire un confronto che prenda atto della necessità di dar vita a una Costituzione che si collochi in una dimensione globale partendo dall’ identificazione del confine tra sovranità nazionale inalienabile e parti di sovranità nazionale negoziabili.
Comitato Socialista per il NO
Presidente Bobo Craxi
Presidente Onorario Rino Formica