Le fatiche della riconversione del territorio
PIOMBINO 14 settembre 2013 — È triste dirlo ma la sensazione è molto netta. Più in Val di Cornia la situazione diventa grave e meno se ne parla sul serio. Tra chi erige barricate e chi declama la fine della guerra ormai avvenuta nessuno si chiede qual’ è la partita vera in gioco. Tra un modello produttivo, quello siderurgico nella versione tradizionale (il ciclo integrale), strutturalmente deficitario ed i sogni di un altro definito innovativo (la parola innovazione è ormai diventata la chiave per aprire tutte le serrature) ma ben poco praticabile nessun organismo che ha una funzione pubblica dice chiaramente per quali opzioni realmente praticabili lavora nei tempi dati che sono brevi. Alcuni nemmeno si pongono il problema tanto basta trovare un po’ di soldi pubblici ed è fatta, altri preferiscono rifugiarsi in un futuro fatto di megaprogetti portuali legati ad eventi molto poco sicuri (l’arrivo della Concordia ed il polo europeo per la rottamazione delle navi) e niente più.
Grandi enunciazioni ma un probabilissimo pugno di mosche in mano.
In realtà è questa la conseguenza di un atteggiamento che non ha voluto fare i conti con la realtà quando la realtà imponeva risposte chiare e coerenti in materie certo complicate ma tali da non poter essere eluse: le risorse energetiche, le aree industriali inutilizzate, la revisione del ciclo produttivo siderurgico, le infrastrutture, le bonifiche. Quando alcuni singoli temi sono stati affrontati sono stati così slegati l’uno dall’altro che mentre si immaginava furbescamente di rafforzarli in realtà si è indebolita la possibilità della loro soluzione. Di altri non si è nemmeno fatto emergere l’esistenza. Ad una crisi sistemica com’è quella della Val di Cornia si è pensato di rispondere con singoli e parziali pezzi di soluzione, senza un progetto in qualche modo integrato, e così anche i singoli pezzi hanno perso forza.
Il problema è che si continua sulla stessa lunghezza d’onda, tant’è che si parla di area di declino industriale e dunque di riconversione ma idee organiche e ragionate sulla riconversione non appaiono. L’area è definita area di crisi industriale complessa ma proprio per questo la riconversione non può non essere complessa e continua e non può dipendere dall’ evento unico e salvifico. Anche nel caso migliore, cioè anche nel caso in cui la crisi non precipiti, da un processo di riconversione lungo e difficile non si può non passare.
Meglio dire le cose così come stanno e non illudere. Dire quali sono i confini e le possibilità di un progetto e di un processo che affronti le compatibilità di una riconversione a partire dalla fattibilità finanziaria ed economica e non solo per i progetti industriali ma anche per quelli infrastrutturali, ambientali e culturali. Ricordando che come l’esperienza insegna spesso i soldi mancano perché i progetti sono troppo costosi ed inutili non perché mancano i soldi in sé.
C’è bisogno di una idea in cui tutto si leghi e c’è bisogno poi di almeno due condizione ineludibili:
- che la progettazione si svolga in un ambiente aperto al dialogo con un tasso di fiducia e di trasparenza che sia direttamente proporzionale alla difficoltà dell’impresa,
- che la riconversione abbia le caratteristiche di una competizione in cui i contendenti possano conoscere ed usufruire di regole uguali per tutti.
Si può anche perdere ma è meglio perdere tutti insieme. Meglio naturalmente vincere tutti insieme.
(Foto di Pino Bertelli)