L’eterno Porcellum ci ha portati in una porcilaia
PIOMBINO 5 dicembre 2013 – Il Corriere della sera ha titolato: “La scure della Consulta sul Porcellum”, La stampa: “La Consulta dice no al Porcellum”, Il Fatto: “È tutto incostituzionale”, Il Foglio: “Da 7 anni siamo incostituzionali”, La Nazione: “Parlamento fuori legge”. Un coro unanime per un avvenimento mai visto prima nella storia della Repubblica. Sono stati bocciati i premi di maggioranza e le liste bloccate. Di fatto 148 dei 340 deputati assegnati alla coalizione vincente e buona parte del 55 per cento dei seggi senatori della maggioranza sono irregolari. Delegittimati dalla Consulta. Nel mazzo ci sono anche parlamentari delle nostre parti. Ne consegue che gli atti che sono stati approvati dal Parlamento eletto col Porcellum hanno il marchio dell’irregolarità: sia quelli importanti, come l’elezione del presidente della Repubblica, che quelli di minore valenza.
Di più. Con la legge elettorale che non ha superato l’esame dei giudici costituzionali sono stati eletti i parlamentari che hanno votato la fiducia e permesso la vita non solo dell’attuale governo ma anche di quelli presieduti da Romano Prodi (2006–2008), da Silvio Berlusconi (2008–2011) e Mario Monti (2011–2013). Anni ed anni di assemblee pesantemente viziate da un’elezione irregolare.
Si attendono in questo momento le motivazioni della Corte ma l’incertezza di fronte ad un evento anomalo e inatteso è enorme.
Il Porcellum, privato del premio di maggioranza e delle liste bloccate diventa più porcellum di quello che già è: una sorta di leggina elettorale inapplicabile di stampo proporzionale.
Quel che appare evidente è che ancora una volta la politica, quella che si caratterizza e si dovrebbe nobilitare con il voto del popolo, soccombe ad un potere terzo dello Stato non eletto a suffragio diretto ma in grado, in difetto di un’attività del legislativo, di indirizzare i destini della nazione. Che tutto questo si configuri come un deficit di democrazia appare confermato dallo sconcerto con cui gli organi elettivi si stanno muovendo nel caos conseguente al pronunciamento della Consulta (nella foto).
La domanda su cosa si debba fare incontra risposte spesso risentite dalle quali traspare la riluttanza a mollare una poltrona indebitamente occupata. Quasi che la delegittimazione decretata da un così importante organismo costituzionale sia una cosuccia da rotocalco che oggi cavalca una moda per mollarla domani di fronte ad altre esigenze di cronaca.
C’è chi ha fatto perfino i conti, scorporando, per esempio alla Camera, i parlamentari passati col premio di maggioranza. Si arriverebbe così ad un Pd con 192 deputati a fronte del Pdl con 190, con i grillini a 166 ed il gruppo di Monti a 66. Una rivoluzione che lascia immaginare una sorta di porta girevole a Montecitorio con gente che mogia esce di scena ed altra gente che, baciata dalla sorte, corre ad occupare le poltrone ancora calde degli estromessi. Se non fosse tragica, la cosa potrebbe apparire anche divertente. Conoscendo i costumi italici, simili scenari non sembrano proprio prevedibili. Anche se c’è da dire che in giunta per le elezioni sono ancora in corso le convalide di molti deputati promossi dal premio di maggioranza. Quale sarà, in questi casi, il pronunciamento dei membri della commissione?
C’è da dire, al riguardo, che la stessa Corte costituzionale, ha precisato che la validità della sua decisione decorrerà dal momento in cui verrà depositata ufficialmente la sentenza, cioè tra qualche settimana. Non ci sarà da meravigliarsi – sarebbe comunque scandaloso – di fronte ad una corsa alla convalida degli eletti prima che sia difficile farlo (come se invece oggi, dopo il pronunciamento in mondovisione della Consulta, fosse invece agevole e decoroso).
E quale sarà la sentenza di un Tribunale amministrativo di fronte al possibile prevedibile ricorso di un cittadino che si sente penalizzato da una legge votata da parlamentari delegittimati dalla Consulta?
Un pasticcio infinito.
Chi se ne intende ipotizza tre scenari. Primo, il ricorso immediato alle urne rispolverando, gioco forza, il Mattarellum, cioè la precedente legge elettorale che venne sostituita dal Porcellum perché ritenuta inadatta. La richiesta delle urne è invocata da molti, in testa i grillini e i falchi di Forza Italia. Chi la contrasta invoca l’esigenza di una stabilità politica e fa appello ai richiami di un’Europa restia al movimentismo italiano e sbalordita di fronte ai salti mortali della politica del Belpaese che più di sempre non riesce a comprendere.
Secondo, l’avvio immediato di un dibattito per varare in tempi rapidi una legge elettorale per poi andare immediatamente al voto. E’ una prospettiva che vorrebbe salvare capra e cavoli ma che si scontra con le abitudini di un parlamento che ormai non riesce a mettersi d’accordo su nulla e che in tanti mesi, pur avendo l’argomento in programma, non ha mai neanche iniziato a discutere di una qualsiasi legge elettorale.
Terzo, portare la barca alla meno peggio fino al suo porto finale indicato da Letta e Napolitano nel 2015 per avere il tempo necessario a varare una nuova legge elettorale ed insieme per cercare di tamponare le principali emergenze del paese non sdegnando più di tanto la riluttante Europa della Merkel e di Olli Rehn. È la tesi del presidente della Repubblica al quale questa volta potrebbe però non bastare la sua indiscussa autorità. Con la quale Giorgio Napolitano fino ad oggi l’ha sputata ma che domani potrebbe non bastargli proprio perché anche su di lui peserà un voto giunto da elettori che non avevano titolo per esprimersi.