Lettera aperta con nove domande al dottor Azzi
PIOMBINO 27 novembre 2018 — Lettera aperta con nove domande al dottor Azzi.
Egr. dott. Fausto Azzi,
consci del Suo importante ruolo nell’azienda siderurgica cui sono legate le speranze per il futuro nostro e, in gran parte, della città di Piombino, abbiamo letto attentamente le interviste da Lei rilasciate di recente al quotidiano “Il Tirreno” (6 e 22 novembre u.s.). Comprendiamo che, per il ruolo che ricopre, Lei debba necessariamente lanciare messaggi tranquillizzanti circa lo sviluppo della situazione; a sua volta comprenderà come ci renda guardinghi e poco inclini alle illusioni la passata esperienza in “era Cevital” (che Lei ha conosciuto direttamente), conclusasi rovinosamente con la inutile perdita di 4 anni preziosi. Come lavoratori abbiamo imparato a dar credito, più che alle dichiarazioni, alle cose concrete che vediamo ogni giorno in fabbrica e quel che vediamo ci sembra stridere non poco con le dichiarazioni ufficiali. Ci consenta pertanto di esternarLe qualche nostra perplessità e di porLe qualche domanda.
Ancora non vediamo all’orizzonte quella continuità di produzione, necessaria per la credibilità di tutto il progetto, che dovrebbe, a suo dire, realizzarsi in 6–9 mesi. I lavoratori presenti mediamente ogni giorno in fabbrica non ci pare siano 540, come Lei afferma, ma molti meno. Possiamo sbagliarci (ovviamente non siamo noi i detentori dei dati precisi) ma ci conforta che anche una delle maggiori organizzazioni sindacali di fabbrica (certamente più informata di noi) abbia sottolineato pubblicamente questo aspetto. Aspetto non secondario, visto che la scarsità di ore lavorate ha creato grossi problemi per usufruire dell’ammortizzatore sociale e ostacola l’ applicazione di eventuali future forme di CIG “incentivate”. Anche la commessa di Rete Ferroviaria Italiana è ben più esigua di quanto atteso.
Domanda n. 1: forse l’ azienda trova più difficoltà di quanto avesse immaginato a reinserirsi sul mercato?
Domanda n. 2 : Si è messo mano, ed in che modo, ad un robusto potenziamento di tutto il settore “marketing” dell’ azienda, ridotto in coma dopo la fallimentare esperienza Cevital?
Non vediamo investimenti impiantistici consistenti sui treni di laminazione; le manutenzioni ci sembrano ridotte ai minimi termini: tanta vernice e pochi pezzi nuovi. Eppure nella informativa consegnata alle organizzazioni sindacali circa il Business Plan (BP) c’era un lungo elenco di importanti interventi da fare.
Domanda n. 3: Come è possibile riconquistare mercato se non si investe, mettendo impianti e uomini nella condizione di realizzare prodotti di qualità?
In ordine agli smantellamenti di vecchi impianti, Lei afferma che “Gli studi di progettazione sono in corso e crediamo che tra fine 2018 e inizio 2019 partiranno gli appalti” e aggiunge: “speriamo che i permessi necessari arrivino rapidamente”.
Domanda n. 4: se a novembre “gli studi sono in corso”, cioè non ancora terminati, come può sperare di far partire gli appalti all’inizio del 2019? Vi siete informati a sufficienza sui tempi per le necessarie autorizzazioni? Sarebbe troppo facile addossare alla burocrazia responsabilità su inadempienze in realtà dipendenti da ritardi nella elaborazione di progetti. Ancora in tema di smantellamenti e demolizioni nel BP e nello Accordo di Programma (AdP) affermate che gli interventi sono soggetti a “studi di fattibilità”. Ci nasce un dubbio nel caso in cui il costo dell’ intervento sia elevato, come ad esempio per la cokeria e annessa area “sottoprodotti”.
Domanda n. 5: demolirete anche impianti “ad alto costo di smantellamento”, come la cokeria o li lascerete degradare alle intemperie ? Occuperebbero spazi preziosi per altre attività, minacciando la salute pubblica col loro carico di sostanze cancerogene, quali amianto, catrame, idrocarburi aromatici e altro ancora.
Nella intervista del 6 novembre si conferma che “Jindal è a Piombino per colare acciaio. Non ci sono dubbi al riguardo.”. La cosa non può che farci piacere. Però ricordiamo bene le parole riportate nel BP : “La Fase 2 implica la possibilità di un’espansione futura, basata sullo studio di fattibilità” (concetto ripreso nello AdP). Come a dire che tutta la fase 2 non è un impegno, né una promessa, ma solo una possibilità.
Domanda n. 6: può confermarci che con le Sue interviste ha inteso comunicare alla città, per conto di JSW che effettivamente ci saranno una fase 2 e 3 (con relativi forni elettrici) o occorre attendere l’ inizio del 2020 (piano di fattibilità) per capire quali siano le reali intenzione dell’azienda ?
Lei parla di 1500 posti di lavoro all’ eventuale completamento dell’intero piano di investimenti; sappiamo che questa è la previsione più ottimistica. Oggi i dipendenti ci risulta siano circa 1920.
Domanda n. 7 : avete calcolato quanti saranno i posti di lavoro persi e quanti i lavoratori in esubero? Inoltre, non abbiamo avuto modo di vedere un lay-out di massima che chiarisse la dislocazione territoriale dei nuovi impianti.
Domanda n. 8: i nuovi impianti a caldo saranno tutti confinati nella area a nord dell’altoforno e le aree attigue alla città saranno definitivamente liberate da lavorazioni di rilevante impatto ambientale? Se così non fosse, non sarebbe possibile evitare una sorta di guerriglia permanente tra l’azienda e i cittadini di Piombino, che non tollererebbero più, con la pazienza di un tempo, il ritorno all’epoca dei fumi, delle polveri e dei miasmi che accompagnavano la loro vita quotidiana. Quei cittadini sono diventati anche ipersensibili alle questioni riguardanti discariche e rifiuti, quelli industriali compresi. Essi vedrebbero con favore un vostro impegno a contribuire alla sopravvivenza di RIMateria come strumento per la salvaguardia dell’ ambiente nel riciclo, trattamento e conferimento di rifiuti siderurgici, sia di vecchia che di nuova produzione locale (e sottolineo “locale”). Quindi è bene che Lei abbia affermato di ritenere RIMateria “essenziale per concretizzare il progetto JSW”.
Domanda n. 9: perché avete preteso che nello AdP la questione dei rifiuti fosse trattata con formulazioni ambigue che sembrano alludere ad una autosufficienza dell’ azienda nel trattamento e conferimento?
Domanda n. 10: perché vuole rimandare“sine die” i tempi di una definizione dei rapporti tra Jsw e RIMateria, pur sapendo che il fattore tempo è fondamentale per la sopravvivenza stessa di una RIMateria funzionale alle esigenze locali di miglioramento della situazione ambientale complessiva?
Concludendo, questo è quel che a noi sembra di vedere: treni che stentano; scarsa occupazione; carenza di investimenti per produzioni di qualità; ritardo sui progetti per demolizioni e smantellamenti; chiarimento sulla gestione dei rifiuti rinviato, un vero piano industriale rinviato addirittura all’ inizio del 2020; forti incertezze sulla realizzazione di nuovi impianti. Sembra che la parola d’ ordine sia “aspettare ‑guardare-assicurarsi supporti e incentivi pubblici ‑non investire — spendere il meno possibile”. Disponibili, però, a mettere altri 300 milioni di euro sul porto, per attività che vadano anche al di là della siderurgia. C’è chi interpreta tutto questo come un disegno per arrivare non ad una moderna acciaieria con forni elettrici, ma ad un centro, in territorio europeo, per lo smercio di semilavorati importanti dall’India, avendo cura di assicurarsi il monopolio delle attività portuali. Su questa interpretazione più che una risposta verbale Le chiediamo, cortesemente, di rispondere con i fatti, facendoci quanto prima la gradita sorpresa di trovare, quando entreremo in fabbrica, cantieri aperti per demolizioni, smantellamenti, messe in sicurezza e soprattutto per le fondamenta dei nuovi impianti. Per il settore logistico-portuale, ci auguriamo che chi di dovere non cada nella trappola di affidare le sorti della necessaria diversificazione economica del territorio ad un unico soggetto imprenditoriale.
Un’ultima questione, di cui Lei non parla ma che ci preme sottoporre ugualmente alla Sua attenzione. Sentiamo lamentele per la vita quotidiana in fabbrica: bagni e spogliatoi in condizioni igieniche precarie; dubbi sulla idoneità delle condizioni di sicurezza; pretesa di allungare di fatto l’orario di permanenza in fabbrica in entrata e in uscita; pressioni sui ritmi di lavoro. Qualcuno parla di “clima da caserma”. Ora , quando al Metropolitan ci fu detto “benvenuti nella famiglia Jindal”, sapevamo bene che una acciaieria non è un centro vacanze, ma non pensavamo che “casa Jindal” fosse una caserma. È l’ubbidienza cieca e militaresca cui JSW allude quando chiede il “supporto” del sindacato? La preghiamo di riferire al suo datore di lavoro che in Italia le relazioni industriali non funzionano così. C’è una Costituzione della Repubblica che non si ferma ai cancelli dalle fabbrica e che impone reciproco rispetto per la dignità, la sicurezza, la libertà di pensiero e, pur negli ovvi limiti di legge, anche di espressione. In caserma si impara a far la guerra; noi vogliamo lavorare.
Egr. dr Azzi, nel ringraziarLa per il tempo che ha dedicato alla lettura di questa nostra, Le porgiamo i nostri rispettosi saluti e restiamo in fiduciosa attesa di una Sua risposta ai quesiti posti.
Coordinamento Art. 1 – Camping CIG