L’integrazione è una parola, l’attesa è una realtà

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Niccolò Pini

CAMPIGLIA 2 dicem­bre 2016 — Sono 515 i richieden­ti asi­lo pre­sen­ti nei Comu­ni del­la Val di Cor­nia. È la prefet­ta Anna Maria Man­zone in una recente inter­vista a dare questo numero, aggiun­gen­do che rap­p­re­sen­ta il 40% di tut­ta la provin­cia di Livorno.
La prob­lem­at­i­ca dell’accoglienza dei richieden­ti asi­lo è ormai un tema all’ordine del giorno del­la polit­i­ca nazionale: clam­orose sono state le proteste degli abi­tan­ti di Gori­no che non vol­e­vano che 12, tra donne e bam­bi­ni, venis­sero ospi­tati in un ostel­lo del paese, ma a queste ve ne sono aggiunte altre che riac­cen­dono ogni vol­ta la ques­tione dell’immigrazione nel nos­tro Paese. Anche nei nos­tri Comu­ni non sono man­cate situ­azioni di crit­ic­ità soprat­tut­to all’interno dei cen­tri e ormai sono gli stes­si ammin­is­tra­tori che affer­mano che i loro ter­ri­tori sono pos­sono più accogliere altri arrivi.
Nel­la Val di Cor­nia si con­tano 10 cen­tri d’accoglienza: la mag­gior parte dei profughi si tro­va nel Comune di Piom­bi­no, cir­ca 350 per­sone, poi ci sono Campiglia e Suvere­to con 75 richieden­ti cias­cuno, infine San Vin­cen­zo con 10. Come abbi­amo avu­to modo di dire in un prece­dente arti­co­lo la pro­ce­du­ra per la richi­es­ta di pro­tezione inter­nazionale e il suo even­tuale accogli­men­to è molto com­pli­ca­ta ma soprat­tut­to lun­ga. Così accade che pos­sono trascor­rere anche due anni pri­ma che tale sta­tus sia accolto. Nel frat­tem­po s’innesca la macchi­na dell’ospitalità e il richiedente è des­ti­na­to in uno dei cen­tri di accoglien­za spar­si per tut­ta Italia. Lì dovrebbe rice­vere assis­ten­za san­i­taria, psi­co­log­i­ca, la con­sulen­za di un medi­a­tore cul­tur­ale e mag­a­ri un pro­gram­ma di inte­grazione. In realtà, come le cronache ci rac­con­tano quo­tid­i­ana­mente, non è così, e nei nos­tri Comu­ni la sto­ria non cam­bia.

tabellaI cen­tri di accoglien­za, gesti­ti dalle varie coop­er­a­tive sociali onlus, sono dis­lo­cati nelle lande più sper­dute del­la Val di Cor­nia: il res­i­dence La Car­avel­la a Torre Moz­za, la ex scuo­la di Fran­ciana, la ex Comu­nità delle Pianac­ce a Piom­bi­no, la Vival­da a Suvere­to e la Stazione dei treni a Campiglia. Sono tut­ti luoghi che la mag­gior parte dei cit­ta­di­ni non sa nem­meno che esistono. E pen­sare che in alcu­ni di essi si pos­sono ospitare fino a 400 richieden­ti (res­i­dence La Car­avel­la a Torre Moz­za). Dif­fi­cile par­lare di accoglien­za e inte­grazione quan­do si è esil­iati ai mar­gi­ni del­la civiltà.

Dislocazione di alcuni Centri

Dis­lo­cazione di alcu­ni Cen­tri

Anche il numero degli ospi­ti in ogni sin­go­lo cen­tro è impor­tante; gli oper­a­tori sociali che lavo­ra­no in questi ambiti affer­mano che 15 è il numero mas­si­mo di per­sone per rius­cire a gestire una buona assis­ten­za e inte­grazione dei profughi, oltre la situ­azione è incon­trol­la­bile. Ma, come abbi­amo vis­to, qui i numeri sono ben supe­ri­ori e quin­di invece di par­lare di accoglien­za e di inte­grazione si par­la di ges­tione: si cer­ca di gestire grup­pi di per­sone prove­ni­en­ti da pae­si con cul­tura e lin­gua diver­sa, l’attesa di mesi e mesi facen­do ben poco  ingran­disce i pic­coli prob­le­mi di con­viven­za che  sfo­ciano in episo­di anche gravi.

È gius­to dunque chieder­si se è questo il mod­el­lo di accoglien­za che si vuole portare avan­ti e quan­to anco­ra potrà durare.

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