L’integrazione è una parola, l’attesa è una realtà
CAMPIGLIA 2 dicembre 2016 — Sono 515 i richiedenti asilo presenti nei Comuni della Val di Cornia. È la prefetta Anna Maria Manzone in una recente intervista a dare questo numero, aggiungendo che rappresenta il 40% di tutta la provincia di Livorno.
La problematica dell’accoglienza dei richiedenti asilo è ormai un tema all’ordine del giorno della politica nazionale: clamorose sono state le proteste degli abitanti di Gorino che non volevano che 12, tra donne e bambini, venissero ospitati in un ostello del paese, ma a queste ve ne sono aggiunte altre che riaccendono ogni volta la questione dell’immigrazione nel nostro Paese. Anche nei nostri Comuni non sono mancate situazioni di criticità soprattutto all’interno dei centri e ormai sono gli stessi amministratori che affermano che i loro territori sono possono più accogliere altri arrivi.
Nella Val di Cornia si contano 10 centri d’accoglienza: la maggior parte dei profughi si trova nel Comune di Piombino, circa 350 persone, poi ci sono Campiglia e Suvereto con 75 richiedenti ciascuno, infine San Vincenzo con 10. Come abbiamo avuto modo di dire in un precedente articolo la procedura per la richiesta di protezione internazionale e il suo eventuale accoglimento è molto complicata ma soprattutto lunga. Così accade che possono trascorrere anche due anni prima che tale status sia accolto. Nel frattempo s’innesca la macchina dell’ospitalità e il richiedente è destinato in uno dei centri di accoglienza sparsi per tutta Italia. Lì dovrebbe ricevere assistenza sanitaria, psicologica, la consulenza di un mediatore culturale e magari un programma di integrazione. In realtà, come le cronache ci raccontano quotidianamente, non è così, e nei nostri Comuni la storia non cambia.
I centri di accoglienza, gestiti dalle varie cooperative sociali onlus, sono dislocati nelle lande più sperdute della Val di Cornia: il residence La Caravella a Torre Mozza, la ex scuola di Franciana, la ex Comunità delle Pianacce a Piombino, la Vivalda a Suvereto e la Stazione dei treni a Campiglia. Sono tutti luoghi che la maggior parte dei cittadini non sa nemmeno che esistono. E pensare che in alcuni di essi si possono ospitare fino a 400 richiedenti (residence La Caravella a Torre Mozza). Difficile parlare di accoglienza e integrazione quando si è esiliati ai margini della civiltà.
Anche il numero degli ospiti in ogni singolo centro è importante; gli operatori sociali che lavorano in questi ambiti affermano che 15 è il numero massimo di persone per riuscire a gestire una buona assistenza e integrazione dei profughi, oltre la situazione è incontrollabile. Ma, come abbiamo visto, qui i numeri sono ben superiori e quindi invece di parlare di accoglienza e di integrazione si parla di gestione: si cerca di gestire gruppi di persone provenienti da paesi con cultura e lingua diversa, l’attesa di mesi e mesi facendo ben poco ingrandisce i piccoli problemi di convivenza che sfociano in episodi anche gravi.
È giusto dunque chiedersi se è questo il modello di accoglienza che si vuole portare avanti e quanto ancora potrà durare.
Articoli correlati
Dall’interno di un’esperienza con i profughi